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QT n. 17, 16 ottobre 2004 Servizi

Chi è Andreas Hofer e perché si parla tanto di lui

Non c’è dubbio che per i tirolesi alternativi o di sinistra sia un po’ difficile scaldarsi per l’anno hoferiano.

Anni e anni di culto dell’eroismo tirolese "anno 1809" ci sono passati sopra con le più svariate e sempre efficaci strumentalizzazioni. Nel 1959 tutta la preparazione degli attentati dei primi anni ’60 (quelli più autenticamente tirolesi, intendo) si è intrecciata con i festeggiamenti hoferiani. Decine e decine di bande musicali, di gruppi di "Schützen", di inziative di disciplinamento sociale e ideologico sin nei più piccoli paesi si sono fatte scudo dell’oste-partigiano.

L’epopea di un popolo che si solleva perché rivuole il suo ancien régime ed il suo imperatore, anche quando costui lo ha già abbandonato, e che va sulle barricate per riavere le sue processioni e le sue gerarchie sociali non ispira entusiasmi a chi oggi si trova a lottare contro un regime che ancora usa con tanto successo il cemento ecclesiastico, nostalgico, autoritario, gerarchico e reazionario. E nel 1968 sudtirolese si trova anche una manifestazione di un gruppo di giovani che il 20 febbraio ostentatava cartelli con "Schluss mit dem Andreas-Hofer-Kult! " (basta con il culto di Andreas Hofer!), in margine ad una celebrazione patriottica.

D’altro canto esiste un episodio illuminante che testimonia della percezione deliberatamente selettiva dell’esempio hoferiano: l’unico gruppo partigiano sudtirolese, nel periodo nazista, si era denominato "Andreas-Hofer-Bund" ed operava prevalentemente in Val Passiria, ma è stato rimosso dalla memoria sudtirolese come è stata rimossa la lapide nella cappella hoferiana di Sand in Passeier, senza che qualcuno dei tanti promotori di festeggiamenti ufficiali abbia mai sentito il bisogno di rimediarvi.

Mentre per certi periodi storici è possibile contrapporre degli "eroi alternativi" a quelli ufficiali – per esempio i pacifisti ai guerrieri, i dissidenti ai dittatori, le donne qualunque agli uomini di Stato, ecc. - e quindi ritagliarsi uno spazio di contestazione e magari di anti-festeggiamenti, tutto ciò, non funziona per il periodo della rivolta anti-francese ed anti-bavarese dei tirolesi.

Non si trovano facili identificazioni. Né si vorrebbe stare senza riserve dalla parte dell’oste passiriano che lottava in nome della restaurazione del buon tempo antico cattolico ed imperiale contro il periodo rivoluzionario ed illuminista, ma bisogna pur riconoscere con rispetto e simpatia che si è trattata di una autentica sollevazione partigiana, di contadini in lotta per difendere la propria piccola patria contro gli usurpatori ed oppressori, incuranti della ragion di Stato che li aveva già sacrificati.

Tanto meno ci si può schierare dalla parte degli occupanti francobavaresi, anche se andrebbe apprezzata più di una delle loro riforme illuminate, soprattutto a confronto con la restaurazione metternichiana seguita al congresso di Vienna.

Ed anche le tante figure minori - dal fantastico Haspinger al diplomato vescovo di Bressanone, all’onesto oste "an der Mahr" (Peter Mayr), ai molti altri combattenti - non si prestano per gli altari tirolesi alternativi.

Hofer abbandonato da tutti

Semmai ci si potrebbe ritrovare di più in quell’Andreas Hofer che, già tradito dal proprio imperatore e bandito e ricercato dai francesi, non volle gettare la spugna e continuò la rivolta, nonostante che la situazione fosse priva di prospettive e destinata alla sconfitta. Un’esperienza che in modo meno drammatico ma non meno profondo hanno rivissuto tutti quelli che nel Sudtirolo del 1981/82 non hanno accettato di sottoporsi alla schedatura etnica, pur sapendosi ormai schiacciati dall’intesa tra i propri dittatori e lo Stato (ed il Parlamento) italiano: contro la forza della ragion di Stato interna ed esterna anche loro hanno continuato la lotta sino a sacrificare, in molti casi, i propri diritti ed il proprio futuro materiale (casa, lavoro, diritti civili, ecc.).

II "progresso" importato

Un aspetto caratteristico ed in qualche modo tragico della storia tirolese meriterebbe forse qualche considerazione in occasione del "Gedenkjahr 1984", visto che si è manifestato in modo emblematico nella rivolta hoferiana, ed è questo: fin dalla sconfitta dei contadini rivoluzionari di Michael Gaismair, nel ‘500, c’è un’infausta costante che attraversa la storia tirolese. Innovazioni, progressi, aperture, riforme non scaturiscono più dalla forza propria del popolo tirolese (che per lunghi secoli si lecca le ferite della sconfitta dei contadini rivoltosi), ma provengono ormai solo dall’esterno.

L’illuminismo arriva sulle baionette dei battaglioni franco-bavaresi; il liberalismo viene imposto dal governo di Vienna, al quale il Tirolo si oppone (nella seconda metà dell’ottocento) in un lungo e tenace "Kulturkampf"; le idee socialiste vengono ben presto identificate soprattutto nella parte meridionale del Tirolo come "walsch", italiane, e così diventa più facile denunciarle e combatterle, imputando al "socialismo" oltretutto i peccati del dominio italiano nel Sudtirolo (del tutto a sproposito) ed individuando nella sinistra una specie di cavallo di Troia della snazionalizzazione italiana.

Grazie alla circostanza che le idee nuove vengono sempre da fuori, sarà agevole diffamarle e isolarle. Di converso, diventerà dovere civico, quasi patriottico, dei tirolesi, assumere posizioni conservatrici quando non reazionarie.

Una sola volta, nel tempo recente, un’idea nuova ed "esterna" ha trovato adesione nel Tirolo, nonostante l’opposizione di buona parte del clero: era il caso del nazismo, che non è stato smascherato e combattuto come corpo estraneo, ma invece venne accolto dalla gran parte dei tirolesi come il più adeguato antidoto all’infezione socialista e repubblicana (nel Nordtirolo) ed all’oppressione nazionalista italiana (nel Sudtirolo).

Tema per il "Gedenkjahr"

Ci sarebbe quindi una cosa cui pensare utilmente nell’anno del giubileo (inventato ed enfatizzato per tutt’altri scopi): come promuovere la critica ed il rinnovamento della società tirolese dall’interno, in maniera tale da non farsi respingere dagli anticorpi posti a vigilanza contro le infiltrazioni estranee, senza per questo perdere legami sufficientemente solidi con i movimenti e le correnti di rinnovamento nella più ampia Europa?

Chi non scioglie questo dilemma, finirà sempre per, bloccarsi alle soglie della coscienza tirolese (come l’illuminismo, il liberalismo, il socialismo, ecc.) o per essere isolato e tradito da qualsiasi Raffl del caso, una volta che l’accordo tra l’imperatore ed i francesi abbia tolto ogni respiro e prospettiva alla rivolta.

E’ questa la sfida per l’altro Sudtirolo: crescere tanto dall’interno da essere organici alla realtà sudtirolese, con legami esterni tanto forti da non poter essere isolati e battuti in nome della ragion di Stato. Qualche passo in questa direzione è stato fatto. Se ne possono fare molti altri.

29 giugno 1984