Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Lettera dal Golan

Erica e Sara dal Golan occupato

C’è nello stato d’Israele una terra di cui pochi parlano, che vive sotto occupazione da quasi quarant’anni: il Golan. Dopo essere state in Palestina, venendo qui abbiamo trovato una situazione diversa, ma altrettanto opprimente. Qui non ci sono check-point, scontri a fuoco, o gli obiettivi dei giornalisti puntati, ma la gente è privata ogni giorno della propria libertà, identità, cultura.

Il Golan, regione a nord-est del lago di Tiberiade, è stato occupato nel 1967 dall’esercito israeliano. Nel 1981 il governo ha in pratica annesso questa regione contro la volontà della gente, che ha reagito con uno sciopero di ben sei mesi. La resistenza continua oggi in forma nonviolenta: la popolazione rifiuta di prestare il servizio militare in Israele e non ne accetta la cittadinanza. Sul piano individuale questo comporta delle limitazioni notevoli: senza cittadinanza non si può avere il passaporto, e senza questo non si può passare il confine. Ci sono studenti che, pur avendo borse di studio per l’estero, non possono usufruirne. Ci sono famiglie divise dal confine che da anni non possono più incontrarsi. 131.000 persone sono state costrette ad andarsene durante l’occupazione e ora non possono ritornare nei loro villaggi. Passando per le strade del Golan, sono ancora visibili i segni della guerra: case distrutte, mezzi blindati abbandonati, basi e strade militari inaccessibili, trincee sulle cime dei monti. Una di queste è stata addirittura trasformata in un luogo nel quale si celebra l’occupazione. Dei 131 villaggi rasi al suolo rimangono solo le macerie. Alcuni sono stati smantellati e le loro pietre usate per ricostruire parte dei 33 insediamenti israeliani. Tra le case di Majdal Shams, uno dei sei villaggi siriani rimasti, ci sono ancora mine funzionanti: in periodo di "pace" sedici persone sono rimaste uccise, quarantacinque ferite. Sui monti e nei campi si trovano ancora molti oggetti inesplosi, che hanno già provocato ventun vittime e ferito altre trentun persone.

Una delle cause dell’occupazione è la questione dell’acqua: l’economia locale, basata sulla coltivazione delle mele, ne risente pesantemente: la popolazione araba può utilizzare solo tre milioni di metri cubi dell’acqua sui 79 disponibili.

L’occupazione non è però solo quella visibile. E’ occupazione anche il tentativo di sostituire una cultura con quella dello stato invasore: nelle scuole del Golan oggi lingua e cultura araba sono trattate in modo superficiale, mentre l’insegnamento si concentra sulla letteratura ebraica. La lotta di questo popolo per l’indipendenza sembra considerata marginale dalla comunità internazionale. L’Italia poi, a differenza di altri stati europei, non accetta i documenti degli abitanti del Golan, perché su di essi non è definita una cittadinanza. Le persone che abbiamo incontrato ci hanno chiesto perché nel mondo non si parla del Golan. Anche noi come loro crediamo nell’importanza di informarsi e far circolare le informazioni per cambiare le cose.

Articoli attinenti

In altri numeri:
Lettera dalla Palestina n° 2
Piergiorgio

Commenti (0)

Nessun commento.

Scrivi un commento

L'indirizzo e-mail non sarà pubblicato. Gli utenti registrati non devono inserire altre verifiche e possono modificare il proprio commento dopo averlo inserito.

Riporta il codice di 5 lettere minuscole scritto nell'immagine. Puoi generare un nuovo codice cliccando qui .

Attenzione: Questotrentino si riserva la facoltà di cancellare commenti inopportuni.