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QT n. 11, novembre 2013 Trentagiorni

Diario di una serata elettorale

Campagna elettorale a Rovereto, presentazione dei candidati locali per il centrosinistra-autonomista, introdotta dal candidato-presidente Ugo Rossi.

Dibattito di routine, piatto, finché non si passa alle domande dal pubblico. Prima parlano due o tre cittadini normali, poi il microfono non può che passare ai NO-TAV, che saranno la metà del pubblico. Venuti qui con le loro bandiere solo per contestare il progetto per la TAV del Brennero, che attraverserà la val d’Adige con una seconda linea dedicata quasi tutta in galleria (solo nel Trentino ne sono previste per 70 km), che costerà una barca di soldi (le stime vanno dagli 11 miliardi delle previsioni ufficiali, ai 60 delle stime indipendenti) e che terrà occupata la valle fino al 2050, senza risolvere fino a quel momento - ovviamente - alcun problema di viabilità.

I NO-TAV attaccano dicendo - giustamente - che in questa campagna elettorale nessuno parla di quello che è il più colossale progetto che riguarda la zona, la TAV appunto, argomento da tutti evitato. E poi partono con i loro soliti fuochi d’artificio di accuse generiche ai partiti mafiosi. Il manageriale candidato-presidente non si scompone (mostra fastidio solo ricordando che qualcuno all’ingresso gli ha chiesto se l’auto con cui è arrivato gli è stata regalata da qualche impresa coinvolta), ma poi nel merito dice un’unica cosa: “Noi siamo per la TAV perché ci collega all’Europa”, e chiude così in quattro e quattr’otto la serata, senza nessuna replica.

Questa proprio non doveva dirla. Come fa a collegarci con l’Europa un treno veloce che scorre nelle viscere delle montagne senza fermarsi neanche a Trento, lasciando qui solo i problemi ambientali? Lo so che non è il candidato-presidente che ha deciso tutto questo, che - anche lui - può solo subirlo: il progetto TAV non è mica provinciale, alla Provincia nessuno ha chiesto se la voleva o no, le hanno chiesto solo dove voleva che la si facesse passare. Ma la politica locale dovrà pur renderne conto comunque a chi questo territorio lo vive, e rappresentarne gli interessi anche provando a mediare verso i poteri nazionali e sovranazionali, se serve.

Candidato-presidente e No-TAV sono speculari nel loro non voler affrontare l’argomento, nel non intavolare discussioni, nel delegittimarsi reciprocamente. Effettivamente di TAV non si parla in queste elezioni locali, nemmeno i NO-TAV hanno fatto domande specifiche: la farete davvero? Quando? Quanto costerà, dove prenderete i soldi, siete sicuri di trovarli? Quali danni ambientali produrrà la TAV? Preferiscono scrivere sui muri “Padroni della TAV ci vedremo sulle barricate”: molto romantico, un po’ infantile.

L’impressione è che chi prende le decisioni siano altri manager, quelli che siedono nei posti di potere della società che costruisce: il potere di riconfigurare volto e ruolo dei territori si vorrebbe farlo passare direttamente all’economia, con sempre meno mediazioni. È forte il sospetto che il modello ferroviario della TAV sia stato scelto più per gli interessi di chi la costruisce che per quelli di chi poi la utilizzerà, rischiando di scaricare i suoi costi sul debito pubblico futuro. La TAV è uno specchio della crisi di questa politica, di quanto la politica è stata svuotata, perché le più importanti decisioni un tempo considerate “politiche” si sono autonomizzate, aziendalizzate, finanziarizzate. Stanno di fronte a noi come potenze oggettive “altre”, mentre sono i frutti delle nostre azioni, che però non riusciamo più a riprenderci in mano.