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QT n. 1, gennaio 2016 Monitor: Teatro

“Father and son”

Ragazzi di ieri e di oggi

Lucrezia Barile

Negli ultimi anni c’è un gran parlare dei ragazzi. La televisione è ossessionata dall’adolescente, lo fa danzare, cantare, gareggiare, esibire in tutti i modi. Nella pubblicità, nel cinema, nell’editoria è onnipresente. Il mercato dei consumi si rivolge a lui e si regge su di lui. Anche una parte del mondo della scuola guarda, direi finalmente, ai suoi studenti in modo diverso, cercando nuove metodologie per coinvolgerlo e facilitarne l’apprendimento. Se da un lato però l’adolescente è sempre più protagonista, sembra dall’altro un nuovo soggetto sociale che desta curiosità, riflessioni perché strano, diverso.

Ma perché d’improvviso è diventato così difficile capire i ragazzi di oggi?

Certo il mondo è cambiato, la rivoluzione tecnologica ha il suo peso, ma forse ancora di più sono stravolti i parametri delle relazioni familiari. E allora viene da pensare che forse il problema non sono gli adolescenti, piuttosto i ragazzi di ieri, che hanno generato quelli di oggi. I ragazzi, si sa, sono per definizione incomprensibili, portatori di problemi e cose strane. Allora, perché adesso sono diventati una questione? Il problema credo stia nel mondo di oggi, così come si è andato. Anni fa era più facile: da un lato c’erano i genitori soffocanti e autoritari, con le loro ideologie e convinzioni vetuste, dall’altro i figli ribelli portatori di un mondo nuovo, libero e più giusto. Ma il terreno su cui si muovevano gli uni e gli altri era lo stesso.

Adesso invece qualcosa si è rotto, le ideologie e le convinzioni dei genitori forse non sono così ferree e definite e quindi succede che il gioco delle parti si è modificato, succede che i due ruoli continuano ad essere contrapposti, ma si muovono su piani, se non su mondi, diversi.

Ed è quello che accade in “Father and son”, lo spettacolo andato in scena al Teatro Sociale di Trento per la regia di Giorgio Gallione.

In scena un padre, Claudio Bisio, alle prese con un figlio inconcludente, incomprensibile, sciatto, disordinato, assente sulla scena come nella vita. Il monologo interiore di un uomo in difficoltà nel suo ruolo di genitore, un racconto ironico quanto amaro dell’inadeguatezza di essere padre in una dimensione, quella attuale, in cui i ragazzi sembrano inarrivabili, protetti dai loro cappucci, indolentemente sprofondati nei divani, sempre iperconnessi e multitasking. L’occasione della riflessione è offerta da una proposta che il padre fa al figlio, una gita in montagna. L’intero monologo segue diverse digressioni, dal pretesto di convincere il ragazzo a svegliarsi di buon ora e a impegnarsi, una volta tanto, in uno scopo: raggiungere la cima assieme.

Sulla scena c’è un uomo, solo. In alto, sospeso, c’è un armadio e per terra ce n’è un altro, sovrastato da grandi massi, metafore rispettivamente di un figlio inarrivabile e imprendibile e di un padre sfinito e sconfitto. Il testo è tratto da due libri di Michele Serra, “Gli sdraiati” e “Breviario comico”, e si sviluppa usando un linguaggio che mescola in modo efficace comicità e dolore, verbosità incontrollata e pause riflessive, dialogando costantemente con la musica eseguita da una violinista e un chitarrista che sottolineano i momenti topici del monologo. Bisio fa bene quello che sa fare, efficace e abilissimo nell’utilizzo dell’ironia non solo verbale, ma anche espressiva e fisiognomica.

Un ragazzo di ieri che si rivolge ad uno di oggi. Quella messa in scena non è dunque soltanto una faccenda privata. Ogni convinto tentativo che fa il padre di offrire al figlio uno spunto di impegno e di responsabilità nel mondo reale mette in risalto come invece proprio nel mondo reale tutto sia saltato e si trasforma inevitabilmente in un ennesimo motivo di fuga e di ripiegamento in una dimensione avulsa o virtuale per il figlio. È una riflessione sul tempo di adesso, un tempo incomprensibile, poco credibile e poco autorevole, di fronte al quale gli stessi adulti non possono che ammetterne l’inadeguatezza.

Nel finale, che riprende la conclusione de “Gli sdraiati”, è chiaro come siano piuttosto le paure e le insicurezze del padre non tanto a generare, quanto a giudicare come tali la sciatteria e l’inconcludenza del figlio.

Uno spettacolo facile, di immediata comprensione, che ammicca divertendo allo spettatore (soprattutto adulto) senza nessuna pretesa di colpire col virtuosismo o con l’introspezione psicoanalitica d’effetto, ma che mette in scena con abilissima semplicità e in modo credibile la relazione tra genitori e figli, un conflitto antichissimo, aggravato però dal rapporto di ciascun individuo con un presente, quello di adesso, che non sembra offrire neanche agli adulti punti fermi e verità indiscutibili.

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