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QT n. 4, aprile 2017 Servizi

Quando avremo l'acqua del Brenta?

L'acquedotto che servirebbe, ma che non vogliono fare

Storicamente Trento divenne città anche grazie alle sue sorgenti di montagna, che dalla Paganella, dal Bondone e da Maranza, fornivano acqua di ottima qualità.

Ma con il crescere della città, queste sorgenti non bastavano più. Si cercarono quindi risorse più lontane, escludendo, per i costi delle tubazioni in acciaio, le grandi sorgenti del Brenta, già allora ben note, e optando invece per la captazione da subalveo delle acque del torrente Fersina, approfittando dei lavori condotti alla fine dell’Ottocento per arrestare i trasporti alluvionali con la realizzazione della serra di Ponte Alto e successivamente di Cantanghel.

Ma ancora non bastava. La società SIT, che gestiva l’acquedotto, scartava ancora l’opportunità di recuperare le grandi sorgenti del Brenta - pur essendosi nel frattempo ridotti i costi delle tubazioni - scegliendo invece la massima economia (e precarietà). Quindi niente acquedotto che convogliasse le acque del Brenta, e invece via libera al prelevamento dell’acqua dal subalveo dell’Adige-Avisio, attraverso pozzi drenanti - realizzati nella zona industriale, allora in pieno sviluppo, di Spini di Gardolo – e via libera anche al conseguente pompaggio nella rete cittadina, nei piccoli serbatoi della collina e successivamente nei grandi serbatoi realizzati per compensare la rete. Così fino ad oggi l’acqua in città e nei sobborghi è prevalentemente assicurata dai pozzi di Spini di Gardolo, acqua pompata con costi energetici di circa un milione di euro all’anno.

L’acquedotto di Trento è ora gestito da una società parapubblica, Nova Reti, del gruppo Dolomiti Energia, con una componente maggioritaria di azionariato pubblico. Il servizio reso all’utenza è di buona qualità, ma da tempo le norme che regolano le forniture per “ambiti territoriali” della dimensione del Trentino centrale prevedono che questa società debba essere o di totale proprietà pubblica (corrispondendo così anche al risultato del recente referendum di pubblicizzazione degli acquedotti), oppure debba essere messa in gara. Insomma, una società privata o semi-privata, non può gestire l’acqua senza gara.

A fronte di tali norme che obbligano alla gara o all’acquisto della porzione di acquedotto ancora privato, il Comune di Trento sta lentamente tentando di arrivare alla regolazione della materia, con difficoltà e ripensamenti, anche perché ad alcuni pare ancora assurdo che il Comune debba cambiare un sistema che “funziona”.

Marco Merler, Amministratore Delegato di Dolomiti Energia

Intanto però, in attesa delle decisioni del Comune, sono già trascorsi una decina d’anni e Dolomiti Energia, forse in previsione degli obblighi della gara, ha rallentato i lavori di ammodernamento della rete, limitandosi a quelli meno impegnativi, quelli cioè volti all’ottimizzazione dei costi di manutenzione. “Abbiamo spinto molto sulla gestione software delle reti, sui sistemi innovativi di controllo – ci dice l’amministratore delegato Marco Merler. – Abbiamo varato un modello che simula il funzionamento dell’intero acquedotto, con l’obiettivo di ridurre le pressioni d’esercizio, risparmiando su perdite e spese di pompaggio”.

Sta di fatto, comunque, che in questa situazione di incertezza sul futuro (“Non possiamo investire in progetti della durata di dieci anni”) la creazione di una condotta d’alta capacità di fondovalle a servizio del Trentino centrale ed il recupero delle sorgenti del Brenta in parziale o totale sostituzione delle acque dei pozzi di fondovalle, non è più all’ordine del giorno.

In realtà un primo collegamento è stato realizzato dalla Provincia: una galleria di 2.000 metri di lunghezza e 15.000 metri cubi di capacità, che preleva l’acqua della sorgente Acquasanta di Spormaggiore. Un primo passo nella costruzione della condotta dell’ambito del Trentino centrale da Mezzolombardo a Rovereto e Ala.

Dolomiti Energia, invece, non prosegue i lavori ed opta per il collegamento con la sorgente Acquaviva di Mattarello. Una visione che appare riduttiva e precaria, se si confrontano le caratteristiche di portata e qualità che emergono dai documenti ufficiali della Provincia.

La sorgente Acquaviva di Mattarello infatti sgorga a 184 metri sul livello del mare, quindi sul fondovalle dell’Adige, dal quale andrà pompata, con dispendio di energia, per garantire la pressione anche nelle zone abitate di collina sino a circa 450 metri; ha una portata media annua di 30 litri al secondo ed è stata abbandonata nel passato, quando la si voleva imbottigliare - con lo scorretto consenso dell’allora medico provinciale, che ne pagò le conseguenze penali - per la sua dimostrata vulnerabilità.

Acquasanta del Brenta, invece, sgorga a quota 479 metri, è pertanto in grado di raggiungere in modo autonomo, cioè senza pompaggio, le aree di collina di Trento, ma anche di superare il passaggio verso la Valsugana ed alimentare Pergine e sostituendo in tal modo le sue acque con contenuto di arsenico; ha una portata media annua di 600 litri al secondo, utilizzabili tutti per almeno 220 giorni all’anno, mentre per 280 giorni ne sono garantiti almeno 300; è parzialmente utilizzata da tempo per uso acquedottistico dalla società AIR per la zona nord dell’ambito Trentino centrale, senza alcun problema di vulnerabilità e può essere collegata con l’acquedotto di Trento, già in pressione, facendo risparmiare una buona fetta di quel milione di euro all’anno di energia di pompaggio oggi impegnati.

Il collegamento dell’acquedotto di Trento alla sorgente del Brenta porrebbe finalmente la città nelle condizioni di possedere una doppia alimentazione, sorgenti incontaminate, per i periodi di sufficiente portata delle stesse, integrabile grazie alla portata dei pozzi in eventuali condizioni di perdurante siccità, così ponendo Trento alla pari, in termini di qualità e sicurezza, con la zona alimentata dalla società Air (la Piana Rotaliana da Lavis a Roverè della Luna, più Faedo e Tuenno) e con la città di Rovereto.

I primi segnali di contaminazione da tetracloroetilene di uno dei pozzi della zona di Spini di Gardolo – che viene abbandonato – e le problematiche sull’acqua derivata da Serra Cantanghel risultata contaminata da arsenico sopra la soglia ammessa, e ora depurata attraverso un apposito impianto, obbligherebbero ad una rapida decisione del collegamento dell’acquedotto di Trento con la sorgente del Brenta e alla realizzazione dell’acquedotto d’alta capacità di fondovalle. D’altra parte il Consiglio Comunale di Trento si era già espresso anni addietro in tal senso, all’unanimità.

Il fatto è che la visione strategica di cui parliamo sarebbe giustificata, oltre che dai benefici di sicurezza e garanzia all’utenza, anche dal punto vista economico, con il risparmio di buona parte dell’energia di pompaggio a coprire la spesa della parte di condotta ad alta capacità oggi mancante tra la galleria della Sorgente Acquasanta ed il collegamento con la rete di Trento, a Spini.

Speriamo che le perplessità, che appaiono persino capziose e comunque dilatorie, nel concludere la trattativa per la realizzazione di un unico acquedotto d’ambito, vengano superate, per l’interesse di tutta la comunità del Trentino centrale.