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Precariato e cultura: un appello

Per la preoccupante situazione lavorativa in cui si trovano i lavoratori della cultura e dello spettacolo che il virus ha solo accentuato

Lettera firmata

Siamo lavoratrici e lavoratori intermittenti del mondo della cultura trentina e abbiamo deciso di unirci per far sentire la nostra voce, rimasta da troppi anni inascoltata. Siamo precari che lavorano sia in realtà museali, come Mart, Muse e Fondazione Museo Storico del Trentino, nel ruolo di mediatori in ambito didattico-culturale, sia nello spettacolo, come tecnici.

Scriviamo per lanciare un appello alla comunità trentina e ai nostri rappresentanti politici per sottoporre alla loro attenzione la preoccupante situazione lavorativa in cui ci troviamo e in cui normalmente siamo costretti a lavorare. È una condizione ulteriormente aggravata dall’emergenza sanitaria e che coinvolge l’intero sistema culturale trentino, museale e dello spettacolo, che normalmente in questi mesi vede fiorire le proprie attività, mentre quest’anno è tutto fermo e l’assenza di lavoro comporta un danno non solo per le realtà culturali e la cittadinanza, ma ancor più per quei lavoratori che ordinariamente garantiscono l’esistenza dei servizi museali e dello spettacolo, e che oggi sono privi di tutele e desidererebbero essere coinvolti in processi decisionali e creativi che dovranno delineare un nuovo futuro.

L’emergenza sanitaria, e le sue conseguenze sono solo la punta di un problema che riguarda anni di precariato di professionisti laureati e qualificati: il denominatore comune della condizione di molti di noi è la costante instabilità contrattuale, l’assenza di riconoscimento professionale e la mancanza di visione futura. La condizione di quelli di noi che sono lavoratori intermittenti non rispetta la nostra professionalità e le nostre competenze.

Le realtà in cui lavoriamo sono differenti, ognuna con specifiche caratteristiche ma accomunate da una inadeguata condizione di noi lavoratori intermittenti, e non solo, che svilisce le nostre professionalità, oltre a depauperare il mondo culturale locale. È il caso del Mart, che vede noi mediatori museali lavorare in assenza di un monte ore stabilito e di uno stipendio costante, oltre che di tutele minime come la malattia o la maternità/paternità. Ci troviamo in balìa di un sistema di prenotazioni e organizzazione delle attività museali che favorisce la massima flessibilità, penalizzando la gestione professionale del lavoro nonché la sostenibilità economica di questa tipologia di contratti, il che ci costringe ad avere lavori paralleli per mantenerci, influenzando negativamente anche la progettualità delle nostre vite private. Inoltre, da più di tre anni, questo quadro si è ulteriormente incancrenito con l’esternalizzazione dei servizi educativi, che ha comportato un’ulteriore riduzione dei nostri stipendi e che con quest’anno vede il rinnovo di tale prassi per i prossimi 5 anni, anche con un cospicuo taglio dei fondi da parte della Provincia.

Tutte queste preoccupazioni si innestano in un contesto in cui è assente ogni considerazione e attenzione nonostante le sollecitazioni inviate a più tavoli istituzionali per poter essere inseriti in una qualche forma di ammortizzatore sociale o forma di sostegno al reddito.

Il problema della mancanza di orari e giornate di lavoro costanti, nonché di tutele, è molto sentito in tutto il comparto della cultura; anche i lavoratori dello spettacolo (siano essi soci di cooperative, partita IVA, …), di cui nell’ultimo mese si è molto parlato, sono nella nostra stessa situazione: non possono contare su uno stipendio continuativo e non hanno accesso a tutele.

Anche al Muse la situazione si è aggravata dopo l’esternalizzazione dei servizi, creando un contesto di estrema precarietà. La desolante fotografia dello stato attuale è rimarcata da alcuni dati. In quasi 7 anni siamo arrivati a un centinaio di abbandoni del posto di lavoro, divenuto inconciliabile con una dignitosa vita sociale e familiare. Infatti negli anni non è stata registrata alcuna paternità tra gli operatori e molte madri si sono trovate costrette ad abbandonare il lavoro. Dati del genere dovrebbero da soli far emergere il fallimento delle politiche lavorative ed occupazionali adottate.

La crisi attuale, d’altronde, ha messo a nudo quanto già era emerso negli ultimi anni e a poco serviranno le labili tutele in atto, insufficienti in molti casi a pagare l’affitto di una stanza. La riduzione delle attività è probabile che venga proiettata all’anno prossimo, con conseguenze che potranno divenire drammatiche qualora non venga pianificata una valida alternativa programmatica.

Le opportunità ci sono, ma vanno indagate e pensate in tempo, partendo proprio da chi si occupa di divulgazione scientifica. Per questo è fondamentale il coinvolgimento degli operatori per poter costruire un nuovo modello di museo. Le preoccupazioni maggiori, infatti, sono per il dopo. Quando sarà necessario riaprire, il sospetto di finire schiacciati da certe logiche di mercato è molto alto. Questo perché negli ultimi anni ci si è ostinati a non riconoscere ai musei un ruolo educativo fondamentale per lo sviluppo di una cittadinanza consapevole ed attiva.

Per questi motivi, non dobbiamo farci trovare impreparati, e crediamo che il primo passaggio da fare sia quello di riconoscere e garantire dignità a tutte le categorie dei lavoratori. Fingere di non vedere la situazione gravissima che si sta vivendo a causa della selvaggia esternalizzazione di servizi essenziali riteniamo sia riprovevole. I nostri rappresentanti politici devono considerare la nostra situazione lavorativa come parte di un sistema culturale da ripensare totalmente, a partire dall’errore delle esternalizzazioni dei servizi educativi dei musei provinciali, e nell’ottica di affrontare i cambiamenti che l’emergenza sanitaria impone.

In conclusione, desideriamo avanzare delle proposte di aiuto concreto immediato. Per tutti i lavoratori assunti con contratto intermittente, a chiamata e collaborazione occasionale si richiede la possibilità di accedere a forme di sostegno del reddito quali potrebbero essere: il bonus una tantum pensato per i lavoratori con partita IVA, allargato anche ai lavoratori intermittenti; un reddito di emergenza con anticipo o almeno una velocizzazione dei tempi di erogazione, aggiungendo un’estensione del reddito sui 12 mesi al di là dell’emergenza sanitaria; la NASpI, per i lavoratori dello spettacolo, per i giorni “buchi” tra una chiamata lavorativa e quella successiva.

Inoltre, chiediamo di poter continuare a svolgere il nostro lavoro producendo materiali utili per la didattica a distanza o la fruizione televisiva e lezioni o visite on line agli spazi museali. I musei provinciali in parte lo hanno fatto, ma chiediamo che questa attività venga ampliata anche con la collaborazione dei lavoratori dello spettacolo, le cui competenze sono utili per realizzare prodotti multimediali e video-televisivi, e pensare per il prossimo futuro a progetti di interrelazione tra la scuola e i musei, dove la didattica si possa muovere tra aule e spazi educativi alternativi sperimentando arte, scienza, storia e altre materie. Ciò consentirebbe di rendere le nostre istituzioni culturali più adeguate alla contemporaneità e di valorizzare le nostre competenze svilite dal precariato. Perché questa situazione non è solo frutto della pandemia ma affonda le sue radici nello svilimento della professionalità degli operatori culturali, che ha anche depauperato il servizio offerto al pubblico.

Per questo chiediamo, oltre all’accesso a quegli ammortizzatori sociali da cui molti di noi sono stati ingiustamente esclusi, anche un ripensamento complessivo della gestione dei nostri luoghi di lavoro e di ciò che ci viene chiesto di fare. Occorre uscire dalla logica per cui si costruiscono musei che costano miliardi o si organizzano “grandi eventi” per mettere a lavorarci dentro dei precari sottopagati.

Si è detto che dobbiamo cercare di immaginare il mondo del “dopo” e per questo occorre ragionare nell’ottica del servizio alla popolazione, e non del mercato fine a se stesso o dell’immagine. Questo servizio, che deve essere di qualità, lo si può attuare solo implementando le produzioni multimediali e valorizzando chi nelle istituzioni culturali o nello spettacolo lavora ogni giorno. Occorre ripensare radicalmente l’approccio alla cultura attraverso la valorizzazione dei lavoratori del settore, dando loro la possibilità di esprimere al meglio le proprie capacità e competenze.

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