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QT n. 4, aprile 2021 Monitor: Libri

“La spia intoccabile”

L’uomo che sapeva tutto. Un libro di Giacomo Pacini. Einaudi, 2021, pp. XX-268, € 28.

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Federico Umberto D’Amato
p]Perché leggere un libro su Federico Umberto D’Amato? E soprattutto: chi era Federico Umberto D’Amato?

Per rispondere a questa domanda Giacomo Pacini, ricercatore che si occupa da anni dei servizi segreti italiani nel dopoguerra, ha scritto una specie di biografia postuma di quella che, con ottime ragioni, ha definito “La spia intoccabile”.

Perché D’Amato è stato il vero dominus dei servizi di intelligence italiani, istituzionali o deviati che fossero, dal 1944 fino alla strage di piazza della Loggia a Brescia nel 1974. Ufficialmente. Ma la sua influenza su tutto quello che non è stato mai scritto nelle cronache ufficiali continuerà fino a quando morì, il 1° agosto 1996. Se il suo nome continua a non dirvi niente, aggiungiamo quello dell’Ufficio Affari Riservati - da lui diretto al Ministero - che fa capolino in ogni episodio orrendo e mai totalmente chiarito della storia italiana. Il libro è rigoroso dal punto di vista storico, ma nonostante lo stile quasi accademico, è comunque una lettura appassionante per chi voglia capire gli affari sporchi italiani degli ultimi decenni.

La storia di D’Amato comincia nel 1944 quando, giovane commissario di polizia, viene reclutato da James Angleton, capo del controspionaggio alleato in Italia, per far parte di un gruppetto scelto di uomini che dovevano prendere contatto con Guido Leto, ultimo capo dell’Ovra, nel ridotto fascista della Repubblica di Salò.

Questi uomini avevano il compito di ripescare le spie fasciste rifugiate a Salò perché gli americani intendevano “salvare la crema degli agenti segreti dell’Ovra coi quali poi ricostruire un regime poliziesco in Italia”. La Cia non si chiamava ancora Cia, ma già quello era.

“La spia intoccabile” di Giacomo Pacini. Einaudi, 2021, pp. XX-268, € 28.

Questo rapporto tra D’Amato e gli americani percorrerà tutta la sua carriera, ma l’intelligence americana in realtà sarà anche uno sponsor - in denaro, consigli e tecnologie avanzate - molto influente del famoso Ufficio Affari Riservati. Che esisteva prima che D’Amato ne arrivasse al vertice all’inizio degli anni ’60 e che per molto tempo prima e durante il regno di D’Amato, fu una specie di servizio segreto che rispondeva solo a se stesso e - non sempre - al ministro dell’Interno in carica. Un regno autonomo.

Tutto questo finisce quando a Brescia scoppia la bomba. In quel momento la posizione ambigua dell’UAR viene un po’ troppo allo scoperto e l’allora ministro Paolo Emilio Taviani decide di chiuderlo, spedendo D’Amato a dirigere la polizia di frontiera.

Ma su questo torneremo poi. Prima dobbiamo riavvolgere il film fino al 12 dicembre 1969. Di quello che successe in piazza Fontana a Milano abbiamo nel tempo saputo molte cose, ma ci sono rimasti anche molti buchi neri. Il ruolo dell’UAR nelle indagini sulla bomba alla Banca dell’Agricoltura però è venuto alla luce solo in tempi, storicamente parlando, molto recenti. Soprattutto dopo che D’Amato muore e giusto tre mesi dopo sulla via Appia a Roma viene casualmente (?) scoperto un enorme archivio di documenti riservati.

Da lì viene ricostruito il ruolo depistante svolto dagli uomini dell’UAR nelle indagini di cui, dice Pacini, gli 007 nostrani prendono fin da subito il controllo per indirizzarle pervicacemente contro le sinistre più o meno extraparlamentari. Storia nota, si dirà. Ma i fatti e i documenti citati da Pacini descrivono nei dettagli quel quadro che, seppur ormai noto nel suo insieme, continuava a rimanere un chiaroscuro con molti scuri e pochi chiari.

Quando la stessa operazione viene tentata a Brescia, c’è una fortissima reazione di piazza. E Taviani scioglie l’UAR. D’Amato viene mandato a dirigere la polizia di frontiera. Ma sarebbe un errore pensare ad una sua marginalizzazione. Dalla polizia di frontiera sono passate nel tempo le operazioni di intelligence più ambigue. Come accadde nel periodo delle bombe in Sudtirolo. Nel frattempo “accadono” la P2, Licio Gelli e la strage di Bologna: il ruolo di D’Amato, che dal 1984 è in pensione, appare e scompare, come nel suo stile.

Ma è troppo per darne conto in una breve recensione. Resta il fatto che fino alla sua morte D’Amato ricevette dal ministero dell’Interno un congruo mensile (Pacini dice nell’ordine dei cinque milioni al mese) per le sue consulenze. Rigorosamente in contanti, consegnati in buste a mano.

Consulenze importanti, se è vero come dice Pacini che in casa di D’Amato dopo la sua morte venne trovato un appunto risalente al 1990 dell’allora capo della polizia Vincenzo Parisi. Il quale annotava che il presidente della Repubblica Cossiga lo aveva invitato a prendere contatto con D’Amato su questioni di intelligence relative ai paesi dell’Est. Una volta spia, spia per sempre, verrebbe da dire.

Ma perché intoccabile? E’ forse questa la cifra più interessante del libro. Dal ritratto a volte perfino minuzioso di Pacini emerge la capacità di D'Amato di far percepire il suo potere reale senza quasi apparire. Un potere che, si dice, trovava ragion d'essere in un archivio personale custodito nella sua villa sul litorale ostiense. Mai trovato. Ma che molti supponevano e che faceva dire di lui che sapeva quasi tutto di tutti e quello che non sapeva, tutti pensavano che lo sapesse.

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