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Tramonta l’era dei Bulli?

In questa estate 2025 il mondo è cambiato: sono emersi altri poli di aggregazione e altre potenze.

Non credo di esagerare se affermo che tra giugno e agosto il nostro mondo ha assistito a una serie di eventi che segnano una svolta nella storia recente: dalla guerra in giugno dei 12 giorni tra Israele e Iran all’incontro in Alaska tra Trump e Putin a metà agosto, fino al recente incontro dei 10 paesi del Patto di Shanghai in Cina tra 31 agosto e 1 settembre. Vediamoli separatamente per poi trarre le conclusioni.

La guerra tra Israele e Iran ha segnato una svolta tra i due paesi che è emersa in tutta la sua chiarezza nei mesi successivi. Lo scontro, nelle intenzioni dell’aggressore, Israele, doveva portare a almeno due risultati: la caduta del regime e la fine del suo programma nucleare, entrambi in sostanza falliti. Nonostante la spettacolare azione di decapitazione dei vertici militari e di una dozzina di scienziati nucleari, l’Iran è stato in grado di reagire nel giro di meno di 24 ore. I generali sono stati sostituiti, le catene di comando hanno ripreso a funzionare e una gragnuola di missili e droni ha colpito ogni angolo di Israele, con una intensità senza precedenti e con obiettivi precisi: l’industria militare (con il testa la Rafael, produttrice di missili), le raffinerie del paese, i porti, le istituzioni di ricerca militare (l’Istituto Weizmann in particolare). Nonostante la cortina di nebbia della propaganda, le distruzioni causate dalle giornaliere ondate di missili iraniani sono state catastrofiche. Ma soprattutto, dopo una settimana di martellamenti,i comandi israeliani sono entrati in crisi per un semplice calcolo: la scorta dei famosi missili di Iron Dome era in fase di esaurimento (ciascuno può costare da 100.000 a oltre un milione di dollari per i più sofisticati (THAAD, Patriot), e gli Stati Uniti non erano in grado di rifornire Israele perché, come è stato dichiarato a posteriori, le forze armate israeliane avevano consumato l’equivalente di due anni di produzione di questi sofisticatissimi e costosi missili. A fronte di ciò, l’Iran continuava a contare su decine di migliaia di missili e droni di costo molto inferiore, ma sparati a raffica per saturare le difese israeliane e consentire ai più micidiali missili ipersonici (difficili da intercettare) di colpire gli obiettivi più sensibili: basi militari, raffinerie, fabbriche di armi, centrali elettriche.

Israele si è trovato a implorare gli USA di entrare in guerra per supportare l’esercito di Tel Aviv e magari chiudere la partita con bombardamenti di almeno qualche settimana. Le cose non sono andate come auspicato da Israele: alcuni analisti hanno sostenuto con buoni argomenti che l’azione americana, risoltasi in un unico massiccio bombardamento di tre siti nucleari iraniani dichiarati con i superbombardieri “invisibii” B-2, sia stata in buona sostanza una azione teatrale: gli iraniani avevano avuto tutto il tempo di portare via indisturbati le loro riserve di 400 kg di uranio arricchito al 60% (vicino alla soglia della bomba nucleare) e di lasciare in superficie solo le centrifughe più vetuste; gli americani ne erano al corrente, ma hanno ugualmente proclamato per bocca di Trump di avere distrutto l’intero programma nucleare iraniano. Salvo essere smentiti pubblicamente da portavoce del Pentagono e della CIA. Ma gli iraniani, in modo intelligente, sono stati al gioco e hanno ammesso pubblicamente di avere subito gravi danni…

Al di là del balletto della propaganda, la domanda cruciale è: l’Iran è in grado di proseguire il suo programma nucleare? Se danni ci sono stati, di quanto tempo tale programma sarebbe stato ritardato? Ci sono due correnti d’opinione, la prima dice che il ritardo se c’è è di pochi mesi; la seconda afferma che non si è mai fermato nulla, perché le più moderne strutture di arricchimento (le centifughe non sono più, o non sono soltanto, nei tre siti “dichiarati” (Fordow, Natanz e Isfahan), bensi disseminati in diversi altri luoghi mai dichiarati e ben sepolte sotto le montagne. Ma c’è una seconda domanda assai più delicata: l’Iran quanto tempo ci metterebbe a costruire con i 400 kg. di uranio arricchito, messi al sicuro, una decina di bombe o testate nucleari per i suoi missili?

Terza domanda: dopo l’attacco israelo-americano l’Iran ha compreso che il suo indulgere in trattative estenuanti con gli americani non ha portato ad alcun accordo, per cui che cosa lo tratterrebbe da imitare la Corea del Nord che, costruendosi un piccolo arsenale nucleare già 20 anni fa, si è garantita l’intoccabilità e la sicurezza dalle minacce americane? Il prof. Ted Postol, già professore di Tecnologie nucleari al MIT (Massachusetts Institute of Technology) e consigliere del governo americano, in varie interviste facilmente reperibili su YouTube ha dimostrato che, testuale, “l’Iran è uno stato nucleare non dichiarato”, ossia è già nella situazione di Israele, di cui tutti sanno che ha un centinaio e passa di bombe nucleari anche se, ufficialmente, non lo ha mai dichiarato. Dopo la guerra dei 12 giorni, in effetti, si sa che l’Iran è stato ampiamente rifornito di batterie missilistiche anti-aeree dalla Cina e sta ricevendo moderni aerei da combattimento dalla Russia, ma questo non lo mette affatto al sicuro da ulteriori attacchi di Israele, il cui Primo Ministro notoriamente ha la tendenza incresciosa a inventarsi nuove guerre per allontanare il momento in cui, a pace raggiunta, dovrà inevitabilmente fare i conti con la giustizia del suo paese e probabilmente anche con quella internazionale della Corte dell’Aja, dove notoriamente pende un mandato di cattura a suo carico per crimini di guerra.

Riassumendo: la guerra Israele-Iran non ha dato nessuno dei risultati sperati da Bibi Netanyahu e il suo stato maggiore e si è risolta in una sorta di hara-kiri per l’aggressore che, oltre ai danni subiti, non può più sbandierare urbi et orbi la sua invulnerabilità dopo che l’Iron Dome, come mostrano analisi e vignette satiriche, è stato sforacchiato come uno scolapasta. Inoltre, un secondo attacco all’Iran rischia di innescare una guerra nucleare tra i due paesi, con rischio di esiti catastrofici e irreversibili soprattutto per Israele, paese piccolo come la Lombardia e in certi punti non più largo di 50 km, a differenza dell’Iran che è un paese grande 5 volte l’Italia. E soprattutto l’America di Trump, limitando la sua azione bellica a una sola incursione, ha chiaramente segnalato a Israele la sua indisponibilità a entrare in una guerra vera e propria con un Iran che ha mostrato capacità missilistiche di prim’ordine, e oggi può tranquillamente mettere sotto tiro non solo le basi USA del Medio Oriente, ma anche le navi della marina americana.

Il vertice del Patto di Shangai

L'Europa con le pive nel sacco

Il vertice in Alaska ha segnalato al mondo soprattutto una cosa: gli USA sono troppo interessati a riprendere le relazioni commerciali con la Russia (mai interrotte del tutto, in verità, giacché gli americani continuano a importare dalla Russia uranio arricchito a buon mercato!) e, perfino, a sfruttare insieme le occasioni di business che si prospettano in Ucraina e nell’Artico. L’Europa, insomma, rimane con le pive nel sacco: gli USA le venderanno tutto quello che desidera per implementare il suo nuovo Programma Decennale di Riarmo in funzione anti-russa, ma gli americani non faranno nulla di più. Anche la recente riunione dei cosiddetti. “Volonterosi”, che sognano di mandare truppe europee in Ucraina, si è scontrata con il rifiuto americano di partecipare all’impresa, che evidentemente manderebbe all’aria il riavvicinamento russo-americano e gli affari che Trump e Putin si propongono per il dopoguerra. Resta da spiegare perché tanta ostinazione europea nel dar fiato alle trombe del riarmo, quando gli USA si sono discretamente ma decisamente tirati indietro dal pantano ucraino: cui prodest? Alle industrie degli armamenti americane e europee, di sicuro, ma a scapito di che cosa e di chi? Quel che resta dello Stato Sociale è evidentemente in via di smantellamento in Europa che, fra un decennio, potrebbe sotto questo aspetto trovarsi a essere una brutta copia del sistema americano.

Infine il vertice in Cina del Patto di Shanghai o SCO (Shanghai Cooperation Organization) di fine agosto ha segnato, direi, la conferma degli smottamenti in atto nel Vecchio Ordine uscito dalla II Guerra Mondiale, che aveva al suo centro gli Stati Uniti. Si noti che nello SCO vi sono gli stessi tre big presenti nei BRICS, ossia Cina India e Russia, più altri stati classificabili come medie potenze (Iran, Kazakhstan e Pakistan, potenza nucleare) e altri minori, con la novità della partecipazione in veste di osservatori interessati di altri due grandi paesi del mondo musulmano: Turchia e Indonesia. Il padrone di casa ha parlato da vero capo del fronte anti-atlantico, particolarmente soddisfatto della presenza dell’indiano Modi e del turco Erdogan. Xi JIn Ping, col suo sorriso sornione, ha tranquillamente raccolto, senza quasi muovere un dito, quel che l’improvvida per non dire dissennata politica dei dazi di Trump gli ha messo su un piatto d’argento: i paesi SCO-BRICS si sono stretti a coorte, non perché pronti alla morte evidentemente, ma perché pronti a rispondere a muso duro alla arroganza del bullo d’oltreoceano, come ha detto il presidente cinese senza aver bisogno di far nomi.

È grazie a questa sempre più stretta alleanza che paesi come il Brasile di Lula e l’India di Modi possono dire di no alle politiche economiche all’insegna del ricatto del Grande Bullo. Ed è grazie all’esistenza di questa grande rete alternativa alla NATO, che mette insieme paesi dell’ex-Terzo Mondo oggi proiettati alla ribalta della storia, che altri paesi come l’Iran possono oggi tener botta come si dice alle aggressioni e minacce continue del Piccolo Bullo di Tel Aviv. Insomma, in questa estate 2025 il mondo è cambiato davvero, sono emersi altri poli di aggregazione e altre potenze, come l’India di Modi, che ci fanno capire come l’unipolarismo a guida USA è finito e si prepara un mondo multi-polare.

Non è detto più giusto, ma che certamente offre qualche chance in più a chi non vuole, come ahinoi l’Europa di Von der Leyen e Kallas, vivacchiare come vassallo umiliato e troppe volte fatto fesso e contento da Zio Sam d’oltreoceano.

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