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QT n. 4, 21 febbraio 1998 Servizi

Studiano insieme i “negoziatori” di domani

A Rovereto un'esperienza unica in Europa: giovani palestinesi e israeliani avviano un percorso comune di studio che durerà quattro anni.

Fortunato Federica

Nelle prime due settimane di febbraio un gruppo misto e ben motivato (30 studenti di giurisprudenza, 15 palestinesi e 15 israeliani) ha svolto a Rovereto la prima tappa di un programma di studio destinato a concludersi fra quattro anni a Strasburgo. L'intenzione è quella di creare un quadro di riferimento ideale e scientifico comune, ma anche di promuovere l'avvicinamento personale e il confronto diretto tra persone destinate a svolgere professionalmente un ruolo di "negoziatori" all'interno di una società divisa.

L'UNIP (Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace) è stata madrina del processo, nel doppio senso di aver organizzato questo primo stage (unica esperienza finora in Europa) e di aver curato l'avvicinamento e la comunicazione fra i partecipanti, cosa tutt'altro che banale. Per quanto si sappia della situazione israelo-palestinese, sentire e vedere interagire rappresentanti dei due popoli fa toccare a viva pelle la lontananza di fatto delle parti e l'imperativo di far avvicinare e conoscere gli individui, come presupposto per qualsiasi evoluzione pacifica nei rapporti tra gruppi avversari.

Oltre a un programma di studio su questioni del diritto, della nonviolenza e della conduzione dei gruppi, queste due settimane sono state un laboratorio di convivenza che ha messo a confronto abitudini diverse; attraverso i piccoli eventi della quotidianità si sono rivelate reciprocamente due culture, ignote l'una all'altra, con propri, anche diversissimi, codici di comportamento e di espressione.

Se le tensioni non sono mancate, il bilancio finale è più che positivo. Le questioni politiche continuano ad essere zona di altissima tensione, ma, a livello personale, gli accordi raggiunti e gli atteggiamenti rinnovati sono tanti.

Come ha sintetizzato uno dei partecipanti: "Per cambiare le nostre relazioni, bisogna imparare a mettere insieme i sogni delle due parti." Ed è più facile cominciare a farlo in zona neutrale. Così come, paradossalmente, per i palestinesi è stato più facile venire in Italia che non muoversi da una zona all'altra del proprio stato.

La nuova situazione, potenzialmente esplosiva, ha messo in moto dinamiche potenti, soprattutto ha fatto apprezzare la dimensione individuale e, attraverso questa, le ragioni dell'altro e la comune condizione di "vittime" di una situazione data.

Parliamo con quattro dei corsisti, alternando le voci di Idit Gudas e Sagit Kedan, studentesse israeliane all'Università di Tel Aviv, e quelle di Gadha Jawad Muswadi e Ahamad Rwaidj, palestinesi di Gerusalemme, iscritta al 3° anno la prima, avvocato e responsabile per il Peace and Democracy Institute il secondo.

Conoscevate esperienze di lavoro comune tra gruppi israeliani e palestinesi, nella scuola o nell'associazionismo?

Idit: "No, la separazione dei due gruppi è radicale, sarebbe impensabile una scuola mista o un locale di ritrovo e di associazione misto. Ci sono, sì, alcune esperienze, ma pochissime, isolate, più che minoritarie. C'è poi qualche incontro con arabi nell'università di Tel Aviv; certo, da parte governativa non è mai stato facilitato nessun momento di scambio".

Cosa conoscevate gli uni degli altri, prima di incontrarvi qui? E soprattutto cos'è cambiato nella vostra reciproca percezione?

Ghada: "Una divisa verde: questo è tutto quello che un palestinese conosce direttamente degli israeliani. Venendo qui noi abbiamo accettato un contratto, quello di lavorare per conoscerei e per trasformare il nostro modo di guardare gli uni agli altri. Non voglio dire niente di romantico o idealistico, ma la verità è che, dopo queste giornate, tutto sta cambiando".

Sagit: "Sì, tutto sta cambiando, vale anche per me. Io abito a Tel Aviv e non ho mai conosciuto direttamente un palestinese; li vediamo alla TV, sui giornali, ma non c'è nessun contatto individuale. Era difficile immaginare cosa sarebbe accaduto trovandoci qui, dovendo condividere non solo le lezioni, ma anche il tempo dei pasti, le serate... Certo non credevo nemmeno prima che tutti i palestinesi fossero dei terroristi, ma un conto è pensare ad un popolo come ad un 'unità indistinta, un conto è stare braccio a braccio con chi, dopo due settimane, ti diventa amico. Sì, tutto sta cambiando ".

Idit: "Anche per me il cambiamento cominciato in questi giorni è radicale. Credo che sia stato determinante uscire dal nostro territorio; basta questo per cambiare modo di essere e di considerare le questioni; è come vivere in una diversa 'bolla d'aria'. Qui ci siamo mescolati lavorando, ma soprattutto vivendo insieme il tempo libero, ritrovandoci nelle stanze dell'ostello; abbiamo cantato insieme, ci siamo scoperti nei riti di tutti i giorni. Pensa che non avevo mai avuto l'occasione di abbracciare un'amica palestinese. Prima, parlando dell’Intifada per esempio, come tutti ero sempre rimasta in una dimensione astratta: noi da una parte, gli altri, con la loro lotta, dall'altra. E' sempre mancata la conoscenza della realtà e delle motivazioni di chi "lanciava pietre " e questo non favorisce nessuna adesione profonda ad un processo di pace ".

Ahmed: "A livello accademico da sempre si lavora su concetti importanti come pace, democrazia, diritti umani; ma è vero che, nonostante questo, non è mai stato facile parlare tra esponenti dei due gruppi in campo. L'interlocutore viene sempre visto come parte del popolo "avversario ", con tutto ciò che ne deriva. Per questo il progetto tra Tel Aviv e AlQuds (il progetto in corso, n.d.r.) è fondamentale: non basta parlare di pace e diritti, bisogna sperimentarli insieme, studiare e condurre attività pratiche in comune. Non si può credere nei diritti umani, universali, e poi negarli nelle scelte politiche. Dobbiamo mettere a confronto i due punti di vista, discutere le esperienze, sgretolare gli stereotipi per poter discutere senza che una barriera ci renda impossibile l'ascolto reciproco. Nonostante la difficile situazione in cui ci troviamo oggi (tutto è bloccato: economia, relazioni, progetti), dobbiamo discutere come soggetti politici che cercano un 'intesa non solo a livello governativo: al di là degli accordi, delle trattative, oltre Arafat o Netanhyau, dobbiamo svolgere azioni concrete nella società, portare il processo di pace entro e fra i due popoli. E dobbiamo così inviare messaggi chiari ai nostri leader, coinvolgere i media a una rappresentazione più positiva della volontà popolare del cambiamento e della pace ".

Come pensate di poter tradurre questo vostro cambiamento personale e l'impegno anche nella vita di tutti i giorni?

Sagit: Di sicuro parlerò diversamente delle relazioni con i palestinesi, almeno a livello familiare, con il mio ragazzo, con i miei amici. In pubblico sarà più difficile; da noi non è ben visto, anzi è giudicato "immorale", avere atteggiamenti di disponibilità e di comprensione nei confronti dell'altro popolo".

Idit: "Io mi riprometto di incontrare di più ragazzi palestinesi e di portare con me degli amici. Sarà importante organizzare incontri, attività comuni, ma anche, perché no, andare a ballare insieme ".

Ghada: Vedo difficile cambiare gli atteggiamenti di chi non ha vissuto un 'esperienza diretta come la nostra. Ma certo sarà necessario mantenere i contatti tra noi, usare la lista dei nostri indirizzi, dei nostri numeri di telefono, incontrarci e progettare insieme piccole cose. Dovremo procedere 'step by step ', a piccoli passi. Dobbiamo formare una nuova generazione che lavori a progetti concreti di pace; forse nel prossimo futuro, attraverso questi, si potranno cambiare molte cose ".

Idit: "Forse? No, di sicuro. Un'esperienza come questa non è solo un passo accademico: è la spinta a promuovere altre attività. Abbiamo bisogno di queste e di altre occasioni. Incontrarci, restare collegati: questa è la nostra unica chance di cambiamento reale.

Comunque andranno le cose, ho però almeno una certezza: Ghada ha una magnifica voce e le chiederò di venire a cantare al mio matrimonio ".

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