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QT n. 15, 12 settembre 1998 Servizi

Esami di maturità: diario di un presidente

Il dialogo coi ragazzi, il rapporto fra colleghi e le difficoltà di una scuola sicuramente da cambiare; ma che non è il disastro troppo spesso descritto.

Appena ricevo la nomina a presidente di commissione per gli esami di maturità dei Ragionieri in una scuola di Trento, provo un sottile senso di soddisfazione: dopo aver partecipato in numerose occasioni come commissario esterno di italiano e come membro interno, mi pare importante, quest'anno, l'ultimo prima della riforma, fare anche questa esperienza.

Poi mi informo: i candidati appartengono a due classi della scuola statale, a una di una scuola non statale, l'Arcivescovile, più dieci privatisti. Questa eterogeneità mi mette in ansia, presidente principiante.

Il 22 giugno si riunisce la commissione: incredibilmente sono presenti tutti i quattro commissari nominati dal Ministero, e i tre membri interni.

Ho preparato un discorsetto sull'importanza del compito a cui siamo chiamati; sull'esame come snodo finale, per i giovani, fra scuola e mondo del lavoro, per cui la società, anche attraverso i mass media, vi dedica un'attenzione particolare; sulla "ruggine" di questo strumento, che ha bisogno da tanti anni di una riforma, sulla quale anche fra noi le opinioni possono essere naturalmente diverse. Sulla difficoltà infinite, ma anche sull'opportunità professionale, in cui siamo coinvolti, perché, abituati a lavorare in classe come monarchi assoluti, dovremo qui lavorare in gruppo, ascoltare, osservare, criticare, decidere insieme. Concludo svelando di essere un novellino, e chiedendo collaborazione.

Che mi viene concessa: rapidamente vengono nominati il vicepresidente e il segretario. Tutti dichiarano di non essere imparentati con i candidati, ne di aver dato loro lezioni private. Incominciamo ad esaminare la documentazione: domande, schede, programmi; io nomino, dopo un giro di telefonate non facili, i membri aggregati. Soprattutto ascoltiamo le relazioni degli insegnanti rappresentanti delle classi: così abbiamo un primo contatto con i giovani, la loro storia, i loro problemi, le loro attese.

Il giorno successivo partecipo alla riunione in Sovrintendenza di tutti i presidenti della provincia. E' un palazzo che non conosco, ci vado in autobus, per la prima volta, e scendo alla fermata sbagliata, su indicazione di uno studente. Un ispettore ci informa sulla legge in vigore. Ma l'atmosfera è quella di un normale collegio docenti: c'è chi chiacchiera, chi arriva in ritardo, chi legge il giornale. L'ispettore si interrompe, richiama i più discoli. Il mio vicino mi dichiara sicuro che ogni problema sarebbe risolto se l'esame fosse fatto dagli insegnanti di classe. Cioè se venisse abolito -ribatto io, e perché gli sia chiaro il pluralismo esistente anche fra la società dei presidenti, mi schiero a favore di commissioni totalmente esterne. La delusione è tale che dimentico su una seggiola l'agenda e il borsello. Me ne avvedo che sono già in centro città, ma un amico, presidente anche lui, mi riaccompagna con l'auto. Ritrovo nella sala l'ispettore che con due ritardatari cerca di risolvere, mi pare di capire, il problema dei commissari "ammalati". Io mi sento fortunato perché i miei stanno continuando, completi e da soli, i lavori, e sarà il vicepresidente a chiudere l'aula con il secondo mazzo di chiavi.

Al mattino, prima della prova scritta di italiano, ricordo ai commissari che per i giovani l'esame è il primo reale incontro con lo Stato: lo fece notare, a me giovane inviato in Friuli tanti anni fa, una presidente milanese, bravissima. Quindi li invito alla serietà, e alla gentilezza, per ridurre l'ansia degli studenti.

Affido l'appello alla voce tonante del commissario di matematica. Nel saluto ai candidati ricordo che li stanno guardando con attenzione il mondo dell'economia, della cultura, della politica. Con il diploma di scuola superiore entreranno nella società a pieno titolo, non solo da cittadini che votano, ma anche come lavoratori qualificati. Li esorto a lavorare con impegno e serenità, e ad approfittare dei loro diversi percorsi scolastici, segno del pluralismo della società italiana, per parlarsi, per conoscersi, fra giovani della scuola statale, non statale, privatisti. Non copiare diventa lavorare in autonomia, il mese di esami diventa un tratto di strada da percorrere insieme. Li informo che la commissione sta già lavorando da due giorni al completo, e che li conosciamo già bene, per le parole con cui ce li hanno presentati i loro insegnanti. Mi pare che apprezzino il mio sforzo di motivarli e rassicurarli, per quanto lo consente l'audio dell'immensa palestra.

Il tema di italiano non è uno strumento che mi ispira fiducia, né per insegnare né per valutare l'abilità dello scrittore. Vedo comunque i ragazzi scrivere pagine fitte sulla bioetica e sulla scienza, sul Novecento nella storia e nella letteratura. Un giovanotto mi chiede, mentre giro fra i banchi, se le "riflessioni" richieste da un titolo sono le "sue proprie opinioni personali". Io accenno di sì, imbarazzato, ma lui non se ne accorge.

Controllo le carte di identità. La data di nascita degli studenti ordinari è il '79, l'anno fra l'assassinio di Moro e la strage alla stazione di Bologna. Vedo elencati i paesi e le città del Trentino, ma parecchi sono nati in altre regioni: rappresentano quel 63% che nella nostra provincia raggiunge il diploma: un numero in crescita, ma sempre inferiore al 68% del resto d'Italia, e soprattutto dei paesi europei più sviluppati.

Alla fine delle sei ore esco dalla palestra con i pacchi dei compiti, e vedo nel cortile un nugolo di ragazzi che, armati di telefonino, scambiano le prime impressioni con parenti e amici. Al loro pomposo presidente, invece, non è mai capitato di usare l'ordigno simbolo degli attuali tempi moderni: se sapessero che io non so schiacciare i bottoni che loro maneggiano con tanta perizia!

Il giorno della prova professionale, ragioneria, nell'attesa che ci portino la busta sigillata, intrattengo i giovani sui titoli di italiano. Racconto che venendo a scuola ho sbirciato la prima pagina dei quotidiani: per l'Alto Adige sono facili, per l'Adige difficili! In palestra scoppia una risata sonora e liberatoria. Poi si gettano su banche ed aziende, a calcolare utili e perdite.

Incominciamo le correzioni. Chiedo al commissario di italiano di leggerci a caso un elaborato sulla bioetica. Poi i dieci commissari, anonimamente, lo valutano: si distribuiscono fra il cinque e mezzo, e l'otto più, passando per tutte le frazioni intermedie. Toccare con mano l'estrema soggettività di queste valutazioni dovrebbe darci il senso del limite, e confermare l'urgenza della riforma, con prove maggiormente strutturate e oggettive.

Affido le mie riflessioni all'Adige. Lo stesso giorno della pubblicazione mi telefona il sovrintendente, indignato perché di passaggio, nell'articolo, mi lamentavo per i criteri di nomina delle commissioni, a cui troppi insegnanti riescono abilmente a sottrarsi.

Passa qualche giorno e ricevo, per conoscenza, in busta raccomandata, il testo della lettera di indignazione inviata dal sovrintendente all'assessore provinciale all'istruzione.

Infine, dopo altri giorni, compare il comunicato sull'Adige, in cui il mio intervento è definito "pesante, diffamatorio e disinformato", e incline alla moda di "dir male dell'istituzione". Ricevo qualche attestato di solidarietà, ma l'avvilimento, così a sorsi crescenti, mi avvelena alcune giornate. Per fortuna i candidati agli esami non leggono molto i giornali.

Durano cinque giorni le correzioni dei compiti scritti: la collaborazione fra commissari esterni ed interni mi pare buona, e non numerosi i casi di scarto sensibile fra prove di esame e giudizi della scuola. Alla fine chiedo al commissario di italiano di rileggere un tema letto e corretto il primo giorno, ma lui si rifiuta affermando che è nota la diversità di giudizio a distanza di tempo. Così però questa consapevolezza non viene estesa agli altri insegnanti, e mi dispiace.

La mia commissione decide, all'unanimità, di interrogare oralmente cinque candidati al giorno. Ci pare così di essere seri, e di rispettare la fatica dei giovani. Poi scopriamo che la commissione parallela alla nostra, nella stessa scuola, ha programmato sette colloqui al giorno: così quei colleghi finiranno dieci giorni prima di noie guadagneranno gli stessi soldi! Io so che ai tempi del pagamento a giornata si verificavano abusi d'altro genere, per cui certi problemi sembrano non avere soluzione. Speriamo che i giovani almeno sappiano apprezzare la nostra decisione costosa.

Il colloquio è la parte più problematica dell'esame, costituisce per il giovane un'altra prova, diversa da un'interrogazione in classe con il proprio insegnante: qui deve padroneggiare l'intero programma, dimostrare creatività nel risolvere problemi anche nuovi, flessibilità nel passare da una materia all'altra, e soprattutto agire fra persone sconosciute, in un contesto relazionale generatore di ansia.

L'esaminatore esterno è libero da attese e pregiudizi precostituiti, può far emergere nell'esaminato lacune, ma anche abilità non rilevabili nella normale attività didattica. A un esaminatore capace occorrono qualità particolari, non gli basta essere un bravo insegnante: deve sapersi "adeguare" ad altri studenti, ad altre forme di insegnamento, ad altri libri di testo, insomma ad altre strutture mentali; e deve "adeguare" l'intelligenza del giovane alla novità, fargli sentire, per un momento, che ci sono anche altre domande e altre risposte.

Noi siamo scarsamente preparati come insegnanti, immaginiamoci come esaminatori: è questo un altro campo d'azione per una Provincia autonoma che voglia fare della sua scuola un settore qualificato. E le scuole, che di verifiche serie hanno bisogno, da esaminatori capaci trarrebbero stimoli a riformarsi.

La scelta della seconda materia del colloquio la affidiamo senza ipocrisie al membro interno. E' questo l'aspetto più casuale dell'esame attuale: ho visto, anni fa, un mio studente bocciato per aver desiderato la seconda materia "sbagliata". Se io, membro interno, avessi chiesto di non esaudire la sua preferenza, sarebbe stato giudicato maturo.

E poi, come insegnante, quale feedback mi viene per l'insegnamento futuro se ad essere interrogati nella mia disciplina sono solo alcuni degli studenti che ho preparato, e per le ragioni più varie, dalla motivazione più sincera al ripiego più cinico?

Ascolto i colloqui: contratti, tassi di interesse, equazioni, ordinazioni in lingua straniera, poeti italiani.

Complessivamente mi sembrano giovani spigliati, ma una ragazza si emoziona fino a piangere. Una privatista rinuncia a rispondere a ogni domanda sul Novecento: possibile che nessuno, nel suo lungo percorso scolastico, sia riuscito a motivarla, almeno un pochino, allo studio della storia? Le faccio notare che all'inizio del secolo una ragazza come lei, di un paese trentino, mai avrebbe potuto ambire a un diploma di scuola superiore, mentre alla sua fine le ragazze, in questo esame di ragioneria, superavano quantitativamente i ragazzi. Mi guarda incredula che quella di cui stiamo parlando sia storia, e non solo il congresso di Vienna, di cui lei sapeva enumerare imperatori e primi ministri.

Che i privatisti si presentino così numerosi all'esame, è un altro segno della crisi del nostro sistema scolastico: espulsi dal ciclo normale, si arrabattano per recuperare in fretta gli anni persi in un istituto privato, e poi si ripresentano a domandare in qualche modo allo Stato un diploma.

C'è però chi dimostra capacità organizzative, o almeno il desiderio di non rompere il filo che lo tiene legato alla scuola. A chiedere il diploma di ragioneria c'è persino una laureanda in sociologia. Anche quando non è possibile dichiarare un privatista maturo, sento che sono energie preziose perse per la società.

A una ragazza espertissima in reati bancari chiedo di Michele Sindona e Roberto Calvi. Non li ha mai sentiti nominare, e allora le consiglio di leggere "Un eroe borghese " di Corrado Staiano.

Con un calciatore di buon livello parliamo di Italia-Francia, la sfida di quella sera: meglio perdere che vincere per un errore dell'arbitro a nostro favore, afferma eticamente corretto. Non crede che qualche scrittore si sia occupato di calcio: e allora leggiamo insieme, fuori programma, sulla sua antologia, "Goal" di Umberto Saba.

Una ragazza molto brava, ci dice che vorrebbe studiare economia all'università, ma che non potrà farlo per i costi eccessivi. La informo sulle borse di studio previste, ma ho l'impressione che non sia bastato.

A un giovane che parla con competenza dei rapporti fra Nord e Sud del mondo, domando, invano, se conosce Rigoberta Menchù. Quanto poco la scuola riesce a legare ciò che insegna all'attualità, e quanto poco la stampa riesce ad affascinare i ragazzi !

Una studentessa parla della funzione degli intellettuali nella storia d'Italia: Manzoni, Carducci, d'Annunzio. Le chiedo di citarmi un intellettuale che oggi ha grande influenza sulla società: Vittorio Sgarbi è la risposta.

A un giovane che ha analizzato la guerra, da quella napoleonica di Foscolo alla guerra civile di Pavese, domando a quale giudizio è approdata la nazione italiana su un tema così controverso, insomma qual è l'impegno assunto della Costituzione. A scuola non ne hanno parlato, perciò non conosce il "ripudia la guerra", ma il ragazzo, creativo, arriva autonomamente al nocciolo della questione. Non gli leggo l'articolo 11, ma mi faccio promettere che andrà da solo a cercarlo.

Ciò che colpisce in troppi ragazzi, è la scarsa abitudine alla ricerca, a far dialogare gli scrittori a distanza, ad esprimere la propria opinione.

Cercano sempre, dapprima, nella memoria, se il manuale o l'insegnante hanno già dato la risposta alla domanda. Emerge qui l'antinomia fondamentale della scuola, che Jerome Bruner ha riassunto nel bisogno della società di adattare i suoi membri alle esigenze della cultura, ma anche la cultura alle esigenze dei suoi membri; fra trasmissione del patrimonio già elaborato, ed educazione alla creatività e all'innovazione.

Ci sono giornate in cui un commissario, "ambito", deve interrogare tutti i candidati: lo vedo -la materia è il diritto- insistere sul "gravissimo delitto dell'evasione fiscale". "Ci vorrebbe la galera" -confida a me sottovoce. Poi, per rilassarsi, parla a voce troppo alta durante un'interrogazione di inglese, tanto che il giovane collega, solitamente controllatissimo, lo richiama bruscamente al silenzio. E' un momento di tensione: l'aula, con tutti i ragazzi che assistono, piomba in un silenzio irreale. Poi il clima torna sereno: adulti e giovani sanno reggere all'imprevisto, e uscire bene da un momento di difficoltà.

Finiti i colloqui, chiediamo agli studenti rappresentanti di classe di raccontarci le loro impressioni. Sono incontri brevi, ma interessanti. Riconoscono lo sforzo della commissione di stabilire un clima sereno, poi ci parlano della scuola, di presidi disponibili e di altri più chiusi al dialogo.

Il problema didattico più sofferto sembrano essere i compiti a casa, eccessivi, che tagliano drasticamente il tempo libero. Una ragazza del Consiglio d'istituto ci racconta le difficoltà a preparare le assemblee, e la delusione, anche per lo spreco di denaro pubblico, di fronte alla scarsa partecipazione dei compagni a un concerto organizzato con tanta fatica.

Parecchi studenti proseguiranno gli studi: economia e diritto sono le facoltà più gettonate. Una ragazza però sceglierà Scienze della formazione, e ci dice che a scuola la riforma più urgente è stabilire delle relazioni accoglienti. Se sono importanti il pensiero e le conoscenze, altrettanto lo sono le emozioni e gli affetti nella formazione della persona.

Nascono piccoli-grandi amori fra i banchi di scuola, su cui talvolta l'insegnante di classe ci informa. "Samantha è dietro che ti ascolta emozionata" -dico per tranquillizzarlo a un ragazzo sorpreso, ma non contrariato dall'intrusione.

Sono rari i ragazzi interrogati nell'aula vuota: i compagni, gli amici, assistono di solito numerosi all'esame del convocato di turno, che alla fine riceve baci e abbracci calorosi.

A uno, che mi è stato detto piuttosto isolato, faccio notare che sono venuti in parecchi ad accompagnarlo: si volta per controllare, e poi sorride, fra l'incredulo e il contento.

Conclude gli studi anche un giovane del Villaggio SOS: ha lo sguardo maturo. Intuiamo il disagio della sua storia, la difficoltà del cammino, ma sentiamo che quel diploma è il successo di tanti che lo hanno seguito con impegno ed affetto.

Il giorno dopo il colloquio rivedo una ragazza con le treccine e non con i capelli lisci del giorno prima, mentre un ragazzo si è tinto i capelli di giallo: vorrei chiedere perché hanno cambiato look subito dopo l'esame, ma non trovo la strada.

Mi ritaglio un momento e vado a trovare, all'Iti, i miei studenti, il giorno in cui cominciano gli orali. Barbara è stata appena interrogata su Kafka, e mi assicura che aveva con sé le fotocopie dei racconti. Mi raccontano in coro che la classe ha coperto l'intero spettro dei titoli di italiano, non solo l'attualità, ma anche la letteratura e la storia: sanno che considero importante quell'aspetto collettivo, in cui mostrano "insieme" la preparazione della classe. Se anche uno solo scrive di storia del Novecento, vuoi dire che anche gli altri, seppure a un livello inferiore, sapevano farlo.

Andrea, uno dei più bravi in chimica, mi viene incontro con un sorriso scanzonato: "Professore, non ci crederà, ma ho avuto un voto più alto nel tema d'italiano che nella prova di impianti ". Anch'io sono contento: è un ragazzo con il quale ho avuto momenti di tensione, perché mi sembrava che trascurasse le discipline umanistiche a favore di quelle tecniche, e lui non era d'accordo. Adesso gestisce una sua rivincita, ma con serenità; e io mi confermo nella convinzione che essere valutati, alla fine, da un esaminatore diverso dall'insegnante abituale, è un diritto degli studenti.

E' un incontro piacevole: mentre torno dai ragionieri, penso di aver sbagliato a non partecipare alla cena di classe. Ma sulla storia e sulla letteratura non mi sembravano mai motivati abbastanza...

Il problema più spinoso che mi trascino in questa esperienza sono gli studenti dell'Arcivescovile. Penso che lo Stato, affidandoceli, chiede a noi doti particolari di equilibrio e di rigore: lo dico ai commissari. Sulle scuole private l'art. 33 della Costituzione parla di parità e di equipollenza, "senza oneri per lo Stato". Scricchiolano i governi quando si tocca il punto, e ogni insegnante ha ovviamente le proprie opinioni. Io, cittadino di sinistra, sono perplesso quando sento parlare di finanziamenti, e quando il sen. Gubert elogia le scuole private cattoliche e disprezza quelle statali, vorrei chiedere l'abolizione delle prime, altro che finanziarle con i soldi di tutti.

Ma poi, oltre i princìpi, c'è la storia degli uomini e delle donne, più contorta e complessa. C'è il ricco che iscrive i figli alla scuola privata per proteggerli dal mondo e privilegiarli, e c'è chi lo fa per altre ragioni. Domando a una ragazza perché si è trasferita dal Tambosi all'Arcivescovile il penultimo anno di scuola: farfuglia qualche parola, fa capire che non vuole parlarne, tanto che io mi pento della curiosità inopportuna.

L'insegnante dell'Arcivescovile i che lavora con noi nella commissione non è distinguibile in nulla dai colleghi della scuola statale.

I ragazzi, soprattutto, scrivono e parlano come gli altri: discutono di contratti e bilanci, di bioetica e di romanzieri, dimostrano le stesse abilità e le stesse lacune. Forse ci temono, diffidando dello Stato, che noi dall'altra parte del tavolo rappresentiamo. Nell'incontro con i rappresentanti di classe cerco di spiegare il senso di questo esame per loro: ho l'impressione che permanga un velo reciproco di incomprensione. Ma essi, adolescenti che si aprono oggi alla vita, non dovrebbero pagare le nostre, di adulti, incrostazioni storielle, la nostra difficoltà a trovare una soluzione a questo problema. Questa esperienza è stata un'occasione per riflettere, per abbattere qualche barriera fra i due mondi. Sulla parità, sui finanziamenti, abbiamo adesso opinioni (le stesse? diverse?) che vengono non solo dai princìpi ideologici, ma anche dall'incontro con persone e storie concrete.

Ci dividiamo anche su altro come insegnanti. Una collega afferma, dopo che il candidato ha dimostrato difficoltà espositive notevoli, che il latino è la base della cultura. Io non sono d'accordo, anche perché metà commissione ormai, la nostra, di insegnanti laureati, non ha affatto alle spalle un liceo con le declinazioni e le coniugazioni latine. E questo è segno che la società italiana è cresciuta.

A pranzo, nel ristorante del centro, davanti a un bicchiere di vino, gli insegnanti si sciolgono anche su temi su cui sono solitamente reticenti: destra e sinistra, permissivismo e rigore, globalizzazione e mobilità.

Uno profetizza, ma non capisco se con speranza o timore, il prossimo novembre Giorgio Manuali assessore all'istruzione. Due si scontrano sulla politica turistica di Francesco Moser. "Più a sinistra del Patt non riesci a pensare " -dico a un collega, che incassa l'accusa come una lode!

Così diversi, dal Giornale al Manifesto, questi insegnanti prendono insieme in mano le schede, traducono le misurazioni assegnate nelle singole prove in valutazioni globali e poi in sessantesimi. Scrivono diligentemente montagne di fogli, in tempi di fotocopiatrici e stampanti. Discutono animatamente il peso di una malattia, del lavoro, dell'impegno sportivo. Si dividono anche, e votano, perché la "verità" su un ragazzo non è una perla nascosta, ma il risultato incerto di un confronto dialettico.

Un dato generale mi pare interessante: la buona capacità predittiva del giudizio della scuola media inferiore. Chi ottiene un ottimo o un distinto, ha forti probabilità di riuscire bene alla media superiore, chi conclude con un sufficiente, ha poi spesso difficoltà: gli anni decisivi sono quindi quelli della scuola di base.

I voti non valutano solo individui, ma anche le classi, e la scuola. Un solo esempio: nella prova scritta di ragioneria, una classe ottiene la media del sufficiente, di poco inferiore al giudizio dell'insegnante di classe. Ma la mediana (il punteggio centrale) è appena di 5,9: mezza classe cioè non raggiunge una piena sufficienza, ed è trascinata verso una media onorevole da alcuni studenti brillanti. Sulla potenza informativa, e sugli interrogativi didattici e politici posti dal rapporto fra media e mediana, cito una riflessione dello scienziato Stephen Gouid: "Un uomo politico al potere potrebbe dire con orgoglio: il reddito medio dei nostri cittadini è di 15.000 dollari all'anno, ma il capo dell'opposizione potrebbe replicare: una metà dei nostri cittadini guadagnano meno di 10.000 dollari ali 'anno. Il primo invoca una media, il secondo una mediana. Quando si stabilisce una media, un miliardario può avere un reddito superiore al reddito complessivo di centinaia di persone, mentre quando si calcola una mediana, può fare da contrappeso solo a un mendicante."

Nella scuola, "uomini di potere o dell'inerzia", ci affezioniamo più facilmente alle medie: se ci sentissimo "all'opposizione", più tesi al cambiamento, guarderemmo alle mediane con maggiore attenzione.

E'tempo di salutarci. Il collega di ragioneria ci fa conoscere il suo bambino che guarda all'aula scolastica con aristotelico stupore. Qui ci hanno trattati con gentilezza, con il caffè e i biscotti ogni mattina. Lucia Costantini conclude così la sua vita nella scuola: se ne va in pensione dopo anni di insegnamento e centinaia di ragazzi istruiti in diritto. Io, rappresentante effimero dell'istituzione, la ringrazio con un mazzo di fiori e lei si commuove.

Chiudiamo il plico e lo sigilliamo con la ceralacca, poi consegnarne i tabelloni con i voti, dal 36 al 60, al preside della scuola, e vi aggiungiamo una lettera:

"Ai giovani neo-ragionieri.

Ecco il diploma, tappa certo importante nella vostra vita. In questo mese, fra il freddo e il torrido, nel tratto di strada percorso insieme, la prima Commissione vi ha conosciuti, sia pure per poco, e ha apprezzato le vostre abilità, risultato di anni di studio passati a scuola, al fianco di molti insegnanti.

Possiamo, e la società può, avere fiducia in voi.

Abbiamo, è ovvio, notato anche limiti e lacune: ma avete ancora tanto tempo per estendere e approfondire la vostra cultura.

La società trentina, quella italiana, quella del mondo intero, hanno bisogno delle vostre energie, per rinnovarsi e diventare più progredite e giuste.

Invitiamo le due persone che non abbiamo potuto dichiarare mature a ritentare: il loro contributo è prezioso.

Forse a qualcuno l'esame lascia un po' di amaro in bocca: ricordate che è un giudizio provvisorio, non definitivo. Noi ci siamo impegnati, seppure con uno strumento arrugginito, a valutarvi con serietà: speriamo di non avere commesso troppi errori. Nella vita avrete altri "esami", anche più importanti, per dimostrare le vostre capacità.

Noi, vi assicuriamo, ricorderemo questa esperienza: lavorare in gruppo, in amicizia e con fatica, a osservare i giovani, diversi tra loro, impegnati a risolvere con intelligenza i problemi, è sempre formativo per un insegnante.

Vedervi anche nei vostri limiti ci è utile: è uno stimolo per la scuola a riformarsi, perché i vostri figli la trovino più adeguata, più interessante, anche più piacevole.

Suggeriamo, a chi vuole continuare a studiare, qualche libro che noi consideriamo importante: buona lettura! E un augurio che possiate realizzarvi nel lavoro e nello studio, come cittadini nella società, come giovani uomini e donne nella vita in tutti i suoi molteplici aspetti ".