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QT n. 8, 17 aprile 1999 Servizi

Le molte fasi di un drammatico groviglio

In Kossovo, nella città di Pec, si trova il patriarcato di Pec, un complesso di chiese che dalla seconda metà del XIV secolo sino alla seconda metà del XVIII ha ospitato la sede della Chiesa ortodossa serba e dove ancora oggi abita il patriarca. Tra Pristina e Kosovska Motrovica, c’è il Campo dei Merli, teatro della sfortunata battaglia dei serbi e ottomani, assurta nella mitologia serba a simbolo del valore e dell’onore del popolo serbo.

Il movimento nazionale albanese è nato nella regione del Kosovo. A Prizren, nel 1878, si costituì la prima Lega rappresentativa del popolo albanese, che vedrà frustrate le sue ambizioni di riunificare in un solo stato le genti di lingua albanese della regione, anche dopo la costituzione dello stato nazionale d’Albania, nel 1913, nato proprio senza il Kossovo, in cui erano nati i primi movimenti indipendentisti. Il groviglio balcanico di etnie, religioni, storie e miti, ha avuto dunque in Kossovo, da 600 anni, uno dei suoi epicentri esplosivi. Terra che custodisce i simboli della memoria serba, dal XVII secolo è diventata una regione con una nettissima prevalenza della popolazione albanese. Popolo albanese che dopo la dissoluzione dell’impero ottomano si è ritrovato con le guerre balcaniche e la prima guerra mondiale a far parte, oltreché dello stato albanese, anche di Grecia e Jugoslavia.

Tralasciando qui di trattare i tormentati rapporti della minoranza albanese in Grecia, si possono riassumere in sette diverse fasi storiche il rapporto degli albanesi del Kossovo con lo stato jugoslavo alla fine del 1918.

Prima fase di resistenza iniziale. Gli anni successivi alla grande guerra sono segnati in Kossovo dalla resistenza armata albanese, che cessa nel 1924 quando si impone in Albania quello che sarà il futuro re Zog, allora cliente di Belgrado.

Seconda fase con la colonizzazione agraria serba. E’ il periodo tra le due guerre, quando la Jugoslavia è dominata dal personale politico e dagli interessi serbi, che vede l’attuazione di una politica destinata ad indebolire la comunità albanese e slavizzare la regione. Questo è il solo periodo di tutta la storia del Kosovo in cui la componente slava aumenta, passando dal 21% del 1921 al 34% del 1939.

Terza fase: nella grande Albania. Durante la seconda guerra mondiale, quando il regno jugoslavo viene smembrato, la maggior parte del Kossovo è riunita a un’Albania ingrandita, satellite dell’Italia, mentre il Nord, è annesso alla Serbia, sotto il controllo tedesco. Vengono cacciati i coloni slavi insediatisi tra le due guerre, ma la durezza del regime spinge molti kossovari nelle file del movimento partigiano di Tito.

Quarta fase: gli effetti della rottura tra Stalin e Tito. Il potere di Belgrado introduce innovazioni, sviluppando l’istruzione obbligatoria in lingua albanese, rompe l’isolamento della regione modernizzando la rete stradale, dall’altro mantiene in vita pratiche poliziesche basate sul sospetto, soprattutto dopo la rottura del ‘48 con l’Urss, che è anche rottura con l’Albania di Enver Hoxha. Questa situazione dura fino al 1966, quando viene rimosso Rankovic, il capo della polizia politica, accusato di aver violato la "legalità socialista" in Kossovo.

Quinta fase: la schiarita degli anni ‘70. Nel 1966 ha inizio un periodo di relativa distensione che corrisponde all’estendersi in tutta la Jugoslavia dell’autogestione in economia e in politica. Vengono represse le manifestazioni degli albanesi che vogliono la repubblica (1968), ma viene riconosciuto al Kossovo, con modifiche costituzionali, una larga autonomia, fino a giungere di fatto, ad avere, nello stato confederale jugoslavo, un ruolo di repubblica senza il nome di repubblica.

Sesta fase: crisi economica, crisi politica. Gli anni 1981-1990 sono per il Kossovo un periodo di difficoltà, collegate alla crisi generale della Jugoslavia. Le manifestazioni studentesche del 1981 si trasformano rapidamente da manifestazioni con obiettivi economici in manifestazioni politiche e Belgrado segue la via della repressione dura. I rapporti fra la maggioranza albanese frustrata e la minoranza serba insicura si degradano. Nel 1989 Milosevic fa approvare la nuova costituzione che sopprime l’autonomia del Kosovo.

Settima fase: la secessione. Nell’estate del ‘90, dinanzi al rifiuto degli albanesi di accettare il nuovo ordine costituzionale, con leggi eccezionali, Milosevic avvia la riconquista del Kossovo. Gli albanesi sono allontanati dai posti di direzione e licenziati in massa, i mezzi d’informazione albanesi soppressi e l’insegnamento in lingua albanese interrotto. Gli albanesi si separano nettamente dallo Stato di cui boicottano le elezioni e le imposte. Si auto-organizzano, ricostituendo il sistema scolastico, sanitario, di assistenza agli indigenti. Con Ibrahim Rugova proclamano la "Repubblica del Kossovo", optando per una resistenza non violenta. Dal 1990 al ‘96 l’apartheid di fatto in Kossovo tra albanesi e serbi vive su una sorta di equilibrio e di ingannevole tregua. Nel 1996-97 avvengono i primi attentati dell’UCK e si entra nella fase che ha come epilogo le vicende della nostra attualità.