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Servizio civile: arrivederci e grazie?

Da Punto a capo, mensile di Crema (Cremona).

Mauro Castagnaro

La completa trasformazione delle Forze Armate in senso professionale e volontario proposta dal governo implica, naturalmente, la scomparsa dell’obiezione di coscienza, giacché per sottrarsi al servizio militare sarà sufficiente... non far nulla.

I centomila obiettori di coscienza in servizio civile sono però divenuti in questi anni indispensabili per consentire a ministeri ed enti locali a corto di finanziamenti di fornire prestazioni alle fasce più deboli della popolazione, e a un gran numero di associazioni no profit di funzionare con continuità. Sostituirli con l’assunzione di altrettanti dipendenti nell’amministrazione statale e negli enti privati avrebbe costi non esorbitanti (circa 3.000 miliardi), ma incompatibili col ridimensionamento della spesa pubblica invocato oggi da quasi tutti.

Il governo ha quindi approvato il 26 novembre il disegno di legge sul nuovo servizio civile: sarà volontario, aperto alle donne, destinato ai giovani fra i 18 e i 26 anni, durerà 12 mesi (due in più di quello militare) e diventerà operativo quando verrà sospesa la leva obbligatoria, cioè nel 2006, costando 250 miliardi l’anno. Alla fine dell’attività svolta, i giovani otterranno alcuni "crediti formativi" che varranno come tirocinio per l’accesso al lavoro.

Così disegnato, il servizio civile non risulta più una forma alternativa di assolvimento del "sacro dovere del cittadino di difesa della Patria" previsto dall’art. 52 della Costituzione e riconosciuto dalla sentenza n. 164 del 24 maggio 1985 della Corte costituzionale come "suscettibile di adempimento attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato". Tuttavia l’art. 52, al di là della formulazione retorica, richiama due principi a mio parere ancora validi: ogni individuo ha dei doveri nei confronti della propria comunità e ciascun cittadino deve farsi carico della sua protezione da eventuali aggressori.

Per riaffermare la partecipazione di tutti i cittadini alle politiche della difesa (non armata), la strada è quella della "difesa popolare non violenta", da sempre proposta dal movimento degli obiettori di coscienza al servizio militare.

Il dovere civico di solidarietà potrebbe, d’altra parte, trovare espressione nella prestazione di un servizio civile destinato a mettere a disposizione risorse umane per bisogni sociali insoddisfatti, avendo come corrispettivo il diritto di godere gratuitamente di servizi pubblici. Così, nel quadro del rilancio di una visione non mercantile del Welfare State e di un suo allargamento nella direzione del riconoscimento universale di un "diritto all’essenziale" (comprendente soprattutto assistenza socio-sanitaria, istruzione anche superiore, abitazione corredata dai servizi fondamentali, trasporti, sulla linea delle ipotesi di salario sociale da più parti rivendicate), un periodo di tempo dedicato da ogni cittadino/a ad attività socialmente utili costituirebbe un "pagamento", sotto forma di lavoro, dei servizi ricevuti gratuitamente per tutta la vita.

Oltre ad avere un’importantissima (specie in Italia) funzione di educazione civica, un servizio civile obbligatorio - peraltro inserito nel programma elettorale dell’Ulivo e nella proposta di legge presentata dal governo Prodi nel 1997- sarebbe coerente col dettato costituzionale, come ha sottolineato Roberto Venditti, docente di diritto e procedura penale all’università di Torino e massimo esperto giuridico italiano in materia, in particolare con i "doveri di solidarietà sociale (art. 2) e l’obbligo di svolgere funzioni che concorrano al progresso materiale o spirituale della nazione (art. 4)".

Con l’abolizione della leva obbligatoria, la decisione di svolgere un servizio civile perderà oggettivamente ogni tratto antimilitarista, e non è chiaro quale profilo assumerà il giovane coinvolto: sarà una specie di volontario, un dipendente distaccato dallo Stato presso enti pubblici o privati, un lavoratore autonomo della seconda generazione o che altro?

Senza dubbio il venir meno di una precisa identità pacifista ne farà semplice forza lavoro, rendendo molto difficile evitare che la sua presenza - anche di diritto e non solo di fatto come avviene a volte oggi - serva a sostituire lavoratori o addirittura finisca per entrare stabilmente nelle piante organiche. Finora infatti, almeno sulla carta, era proprio la specificità pacifista dell’obiezione di coscienza a imporre la definizione di piani d’impiego in cui si esprimesse tale scelta e il giovane potesse rappresentare una risorsa aggiuntiva (e non sostitutiva) e originale per nuove politiche nell’ambito sociale, culturale e ambientale.

Invece domani chi potrà impedire a un piccolo Comune di adibire la persona in servizio civile alla guida dello scuolabus o alla manutenzione delle aiuole? In questo modo, il servizio civile finirebbe per essere funzionale allo smantellamento del Welfare State promosso dall’ideologia neoliberista: per coprire le carenze di personale provocate dai tagli ai finanziamenti, lo Stato fornirebbe attraverso di esso manodopera a basso costo, poco professionalizzata, senza esperienza e soggetta a un rapido e costante turn-over, così acuendo la disoccupazione e favorendo un’ulteriore dequalificazione dei servizi.