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Liberismo e democrazia

Il recente trattato economico fra Unione Europea e Messico impone ai firmatari di garantire, al loro interno, democrazia e diritti civili. Ma il presidente messicano Zedillo...

Il 3 febbraio scorso giornali e televisioni messicane sono stati monopolizzati da un fatto davvero sconvolgente: centinaia di studenti della UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico) sono stati arrestati con le accuse di violazione di proprietà privata, atti di terrorismo, turbamento dell’ordine pubblico e via dicendo. Nei giorni successivi la tensione è aumentata nella città universitaria di Ciudad de Mexico e il numero degli arrestati è salito ad un migliaio.

Da nove mesi la UNAM è bloccata da uno sciopero studentesco organizzato per contrastare la politica del governo del presidente Ernesto Zedillo, tutta impegnata a privatizzare l’istituzione e, di conseguenza, a creare una "cultura d’azienda" per una ristretta élite. È così partito un movimento, da alcuni assimilato per certi versi alle proteste studentesche della fine degli anni ’60, che si è allargato fino a divenire un più ampio fronte di protesta contro il neoliberismo e contro l’allineamento della politica messicana alla strategia statunitense. Per questo motivo la UNAM è diventata, nel corso degli ultimi nove mesi, baluardo della difesa del patrimonio messicano in senso lato: contro la privatizzazione (per lo più ad opera delle grandi compagnie statunitensi) del petrolio e dell’industria petrolchimica, della terra, dell’energia elettrica, del patrimonio culturale e, per l’appunto, dell’educazione superiore. Insomma, si è levato il grido dei messicani che non vogliono veder venduto, fetta dopo fetta, il loro paese.

Immagine dalla protesta degli indios contro la politicca repressiva del governo messicano.

All’inizio di febbraio le forze della polizia, violando l’autonomia dell’università, hanno fatto incursione e hanno arrestato gli studenti in sciopero. Se pur favorito da azioni violente perpetrate ad opera di gruppi studenteschi oltranzisti, in netta minoranza, l’atto costituisce un gravissimo precedente che mostra il vero volto del regime messicano. Come dire: tolta la patina di paternalismo e demagogia di cui si orna il governo di Zedillo, appare il vero volto in materia di democrazia e di rispetto dei diritti umani del nostro nuovo partner economico. Sì, perché di partner economico si tratta, in quanto di recente è stato firmato un accordo economico che lega l’Unione Europea al Messico. Un trattato che, sulla falsariga del NAFTA (North American Free Trade Agreement, patto di libero commercio tra Usa, Canada e Messico, causa della rivolta indigena e contadina nel Chiapas), apre il mercato messicano all’industria europea.

Questo accordo inizia con una clausola sulla quale non ci si è ancora soffermati abbastanza: il dovere, per i due stipulanti, di garantire il rispetto, al loro interno, dei diritti umani e dello stato di democrazia. Ed ancor più si deve tenere in conto questa clausola se si analizzano a fondo tutte le tematiche in gioco nel conflitto della UNAM, tematiche che spaziano ampiamente dalla lotta per la libertà politica in Messico al conflitto del Chiapas, dall’incontro di Seattle a quello di Davos (Svizzera), dalla ribellione indigena contro la privatizzazione delle terre "collettive" dei villaggi, al traffico e riciclaggio di denaro sporco effettuato da enti e società dell’alta finanza messicana strettamente legate al partito al potere di Zedillo, il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale).

Si tratta della già sperimentata tattica "democratica" del governo del PRI, al potere da quasi settant’anni, di cui Zedillo è un ottimo adepto: belle parole, proposta di innovazioni, esortazioni a svecchiare il sistema, demagogia che incoraggia quanti veramente lottano per creare nuove condizioni. Poi, quando tutto sembra avviarsi nella giusta direzione, il governo temporeggia fino allo stremo, ossia fino a quando il fronte dell’opposizione, come dopo una vera e propria guerra di logoramento, esplode e, denunciando la falsità delle parole, passa all’azione. Ed è allora che il "buon padre" Zedillo, addolorato per tanta violenza, è costretto a dispiegare le forze armate o i corpi (tutti militarizzati) della polizia per ristabilire la pace e l’ordine pubblico.

La non volontà di dare vita ad un dialogo vero e costruttivo è venuta alla luce nella "soluzione" del conflitto della UNAM, ma è una prassi già verificata anche nelle negoziazioni per la guerra del Chiapas, ove gli accordi tra il governo e l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, impegnato nella rivolta dei contadini indios) non sono mai stati attuati. Il vero volto di Zedillo si è rivelato davanti alla comunità internazionale in occasione dell’incontro di Davos, il secondo tempo di quello tenutosi a Seattle. È lì che il presidente Zedillo ha dichiarato che la questione indigena, ed in particolare quella sollevata dall’EZLN, non è altro che un "incidente della storia" nel percorso del Messico verso la modernizzazione e la democrazia. Se però incidenti come quello della UNAM si risolvono incarcerando con un’azione militare i componenti degli organismi dirigenti dello sciopero, questo non può che indurre un angosciato dubbio anche in quelle comunità del Chiapas che dal ’94 attuano la resistenza passiva, invece della rivolta armata, e lottano per l’autonomia: non toccherà forse anche a noi la stessa sorte? Ricordiamo che circa un terzo dell’attivo dell’esercito messicano è stazionato in questo piccolo stato meridionale del Messico (dalle 50 alle 70 mila unità)...

Le affinità dei casi, sono molte, soprattutto tenendo presente il fatto che in entrambe le questioni si sta giocando uno scontro anzitutto politico tra il PRI conservatore e le forze progressiste dell’opposizione, in primo luogo il PRD (Partito della Rivoluzione Democratica). Non è quindi difficile immaginare che i due movimenti, quello degli universitari e quello della ribellione indigena e contadina si siano trovati fin dall’inizio a combattere spalla a spalla un nemico comune: e mentre sull’università fioccavano dalla selva Lacandona, campo base dei guerriglieri zapatisti, comunicati che solidarizzavano con il movimento studentesco, al tempo stesso alle Aguascalientes zapatiste (centri culturali degli indigeni in rivolta) arrivavano dichiarazioni di incoraggiamento e di fratellanza da parte del consiglio generale dello sciopero universitario. A rinsaldare questo sodalizio è poi giunta la scelta di Zedillo di lanciare l’attacco poliziesco alla città universitaria. Con questo atto il governo ha scoperto le carte: in Messico esistono eccome i prigionieri politici. E dalle carceri del Chiapas, da Tuxla Gutierrez (capitale dello stato del Chiapas), da San Cristobal de Las Casas, da Ocosingo si è levata più forte la voce dei simpatizzanti zapatisti, da anni dietro le sbarre con false accuse per aver espresso la propria opinione in merito ai diritti della popolazione indigena (che solo in Chiapas raggiunge circa il milione di individui).

Ancora la protesta degli indios: ogni uomo porta un mattone a indicare la volontà di ricostruire quanto distrutto dai militari.

Mercoledì 9 febbraio la piazza principale di Ciudad de Mexico è stata invasa da una moltitudine di 100.000 persone unite in un solo grido: "Libertad a los presos politicos" (libertà ai detenuti politici, con riferimento agli studenti incarcerati i giorni precedenti). Anche le forze moderate si sono schierate contro questa pratica del governo di catturare e processare persone non con accuse di delitti specifici, ma solamente per il loro attivismo in movimenti sociali.

La UNAM, massimo simbolo culturale della nazione, fa paura ad un regime conservatore ed oppressivo basato sul consenso sociale della massa costretta all’ignoranza; fa paura perché la cultura va di pari passo con la giustizia e la democrazia, contribuendo a svelare il paternalismo e la demagogia con cui il governo alimenta da settant’anni i suoi cittadini.