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QT n. 12, 10 giugno 2000 Servizi

La sinistra faccia il suo mestiere

Dopo l’esternazione di Dellai: la ricorrente importazione di un’idea di sviluppo già superata.

Marilleva, il cemento nel bosco.

Après moi le déluge! Dopo di me il diluvio: l’infausta profezia di Luigi XV sulla Francia di fine Settecento è riecheggiata nelle recenti interviste del presidente della giunta Lorenzo Dellai. Monito agli alleati che non comprendono, intralciano, non si adeguano alle magnifiche e progressive sorti di uno sviluppo che finalmente deve decollare dagli aeroporti, correre sulle autostrade, esaltarsi sui nuovi caroselli turistici.

Da cinquant’anni il miraggio di un nuovo Trentino che rincorre miracoli economici sperimentati altrove ossessiona la vita politica di questa piccola provincia. La sinistra qualche volta si è inceppata e contraddetta: negli anni Cinquanta ostacolò la riqualificazione della Trento-Malé, auspicando in alternativa strada e superstrada nonesa, miraggio del progresso del tempo.

Timorosa di uno sviluppo e di una cultura autarchica, la sinistra (ad eccezione dei socialisti) fu guardinga ed ostile rispetto alla stessa istituzione dell’Università a Trento. Peccati di tempi lontani!

Ma non è stata la sinistra a determinare i processi produttivi nel Trentino della seconda parte del Novecento. Dalla fine degli anni Sessanta un dissennato raptus imitativo ha contagiato i gruppi dirigenti politici ed economici locali. Dovevamo fare come in Francia, dovevamo realizzare come negli States. Dunque villaggi in quota, cemento a Marilleva a Folgarida, Fassalaurina. Si salvò la piana delle Viote, perché provvidenzialmente fallì l’impresa che aveva avuto dal Comune di Trento terreni e privilegi. Al novantesimo minuto furono evitati più di 150.000 metri cubi di cemento a ridosso del Garda trentino.

Nel Brenta si progettarono impianti fin nel cuore dei santuari ambientali del Trentino. Ogni Comune fu portato a credere che l’Eldorado era sull’uscio di casa, un impianto e qualche migliaia di metri cubi di cemento erano alla portata di tutti!

Se diamo uno sguardo ad una cartina geografica del Trentino, segnando sulla stessa tutte le richieste di "sviluppo" rivendicate nel corso degli anni Settanta, abbiamo una fotografia eloquente degli effetti del modello imitativo, scopiazzato altrove, che realizzato nella nostra fragilissima orografia avrebbe provocato effetti devastanti.

Quel tipo di sviluppo aveva una logica. Abbisognava di tanta energia: e allora avanti con le centraline che inaridivano i nostri fiumi e torrenti.

Aveva bisogno di strade. Nei primi anni Settanta, qualcuno di noi si svegliò una mattina leggendo sui giornali che sopra la nostra testa, lungo la collina di Trento, sarebbe passata l’autostrada voluta da Piccoli, Rumor e Bisaglia.

Per trent’anni, a cicli quinquennali, si è insistito su quest’arteria, spostandone con disinvoltura il tracciato ad Ala. a Chizzola, a Besenello, a Calceranica, senza che nessuno studio - e ne sono stati commissionati a decine - abbia mai dimostrato la ragione di quella che fu appunto definita l’autostrada più inutile d’Italia.

Aveva bisogno di un aeroporto. Per ragioni di prestigio doveva essercene uno a Trento, anche se uno arrancava da qualche mese a Bolzano.

Ha bisogno di cemento: di tante seconde case, tante quante non ne sono mai state realizzate (in rapporto al numero degli abitanti) in nessun’altra regione alpina.

Tutto in nome dello sviluppo! Chi si opponeva - e per fortuna furono molti - era tutta gente che non capiva, contemplativi, pauperisti, antimodernisti, gente in ritardo sul proprio tempo che combatteva un’anacronistica battaglia di retroguardia.

Vennero le lezioni della storia, molti Eldorado si trasformarono in deserti di rottami falliti, tanti paesi e intere valli persero identità urbanistica, la monocoltura del turismo invernale cedeva nel Trentino e cedeva a livello mondiale.

I governi nazionali delle regioni delle Alpi, guidati quasi sempre da partiti conservatori, capirono che si stava compromettendo il futuro di un ambiente, di una società. Arrivò la Convenzione delle Alpi: ad uno sviluppo imitativo si cercò di contrapporre uno sviluppo vocativo, quello che s’innesta, senza distruggerla, sulla qualità della risorsa locale.

Per qualche stagione sembrarono avere un senso le definizioni di sviluppo sostenibile e progetto locale. Ci s’impegna a non costruire nuove strade a quattro corsie di attraversamento della regione alpina. Non reggono più da un punto di vista ambientale, molti documentano che sono dei buchi paurosi anche sotto il profilo economico.

Inizia un doppio gioco per cui nelle sedi internazionali, nei convegni ufficiali si sostiene una politica, e in quelle locali se ne rivendica un’altra. Sempre in nome dello sviluppo.

La realtà è che in Trentino non c’è più posto per grandi infrastrutture. Il territorio è saturo. Nel tratto fra Trento e Rovereto, ormai, è più il territorio costruito che quello di cui disponiamo per progettare il futuro nei secoli a venire. Ci sono valli che già riproducono il modello veneto senza alcuna soluzione di continuità tra un paese e l’altro. C’è una sofferenza continua di carattere idrico e igienico-sanitario, che solo un radicale cambiamento del piano di utilizzo delle acque potrà garantire.

La transizione da un’economia da mondo vuoto ad un’economia da mondo pieno ci impone di tutelare la risorsa più limitata e di investire sul capitale natura e sulla ricerca scientifica, appunto su uno sviluppo vocazionale. Quello che per una stagione si è lasciato credere di voler fare.

In queste settimane le ipocrisie sono però arrivate al capolinea, anche quelle del centro-sinistra che governa da un anno e mezzo il Trentino.

Torna ineluttabile la forza del confronto e del contrasto dei contenuti sui tatticismi delle formule, dei tavoli, delle autoreferenzialità di palazzo. Deve tornare a prevalere il ruolo dei cittadini sulle manovre degli abili.

La suggestione dello sviluppo imitativo e importato ha già intaccato il nostro territorio e compromesso la possibilità di un suo sviluppo misurato e rinnovabile. Vedere riproposti nel 2000 modelli di sviluppo altrove abbandonati è mortificante, vedere forze del centro-sinistra titubanti a reagire, quando non solidali e conniventi con una politica che banalizza e danneggia in maniera irreversibile il Trentino è intollerabile.

Essere subalterni alle parole d’ordine degli altri ha già dimostrato di non portare bene e credito né alla sinistra né al centro-sinistra. Parola d’ordine per parola d’ordine, premiati sono sempre i più coerenti interpreti di una politica. E’ illusorio combattere con una scelta distributiva di beni, soldi e risorse, la politica della destra, almeno di quella operante in Italia. Non certo, almeno per quel che riguarda le politiche territoriali e dello sviluppo, dei partiti conservatori, che governano nelle altre regioni alpine e che, sul terreno del rapporto uomo- ambiente, hanno molte lezioni da dare ad uno schieramento di centro sinistra incapace di darsi una bussola coerente con il luogo e il tempo in cui opera.

I nodi sono dunque venuti al pettine. Solo una forte consapevolezza a livello di popolo può salvare la coalizione di governo, ma quello che più conta, può bloccare la dissennata compromissione del nostro futuro. Su questo lo spartiacque del consenso e del dissenso supera le stesse divisioni tradizionali.

Abbiamo visto uomini moderati esprimersi con sdegno senza precedenti rispetto alla disinvoltura con cui si mette a repentaglio il nostro territorio e la cultura secolare che ne è derivata.

Questa coscienza dobbiamo esprimerla senza reticenze, memori delle esperienze passate, delle molte ragioni avute nel contrastare uno sviluppo che ha significato privatizzazione e banalizzazione di risorse pubbliche, del bene che è derivato dai nostri successi e dalle conseguenze negative scaturite dalle nostre sconfitte.

Sono stati evocati in questi giorni i poteri forti. Per loro intrinseca natura essi sono sempre governabilisti. C’erano prima di Dellai, ci sono con Dellai e ci saranno dopo. Loro fanno il loro mestiere. Il problema è di dimostrare che chi rappresenta interessi più generali sa fare il suo o almeno tenta di farlo.