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QT n. 13, 24 giugno 2000 Cover story

Il futuro che vogliono prepararci

Gli effetti su Trento dei Tir convogliati dalla PiRuBi: un disastro sanitario e ambientale. Quando invece si erano poste le premesse per una razionale soluzione dei vari problemi: Convenzione delle Alpi, interporti in Veneto, metropolitana in Valsugana. Viene ribaltata la visione del Trentino: perchè? I retroscena di una cinica decisione tutta politica.

Guardatela la foto di di questa pagina. Con crudezza l’obiettivo di Lucio Tonina sintetizza il problema: è questo il futuro che vogliamo? Vogliamo essere anonima periferia, degrado, invivibilità?

Non diciamo queste cose per caricare di accenti terroristici una questione complessa, ma perché effettivamente si rischia di prendere decisioni vitali con assoluta mancanza di razionalità e responsabilità.

Stiamo parlando del problema PiRuBi, e dell’incredibile dibattito che si è sviluppato all’indomani di un’improvvisa esternazione del Presidente Dellai. Il quale dalla sera alla mattina ha scoperto non solo l’ineludibile necessità di una realizzazione prima osteggiata, ma ha deciso di rivoltare come un calzino l’ipotesi stessa di sviluppo del Trentino: non più un processo equilibrato, in sintonia con quello delle altre regioni alpine, ma uno tumultuoso, caotico, sul modello del Nord-Est. E subito ha trovato immediati seguaci, che altrettanto repentinamente hanno cambiato le proprie prima granitiche opinioni (vedi Quando le parolenon contano niente).

Per documentare gravità e conseguenze di questa posizione, partiamo dai crudi dati, riferiti alla situazione cruciale ed emblematica di tutta la questione: l’interporto di Trento. Cruciale perché, come tutti gli interventi, pro e contro la PiRuBi, convergono su un punto: la nuova arteria ospiterà notevoli flussi di traffico internazionale, destinati a essere bloccati dal niet delle altre regioni alpine, e quindi obbligati a trasferirsi su ferrovia all’Interporto trentino.

Con quali conseguenze per Trento e il suo territorio?

Quattro anni fa avevamo già affrontato la questione, realizzando uno studio apposito, secondo metodologie forniteci e verificate dall’Ufficio Tutela dell’Aria della Provincia (I Tir sul treno, prossima bomba ecologica?). Qui sinteticamente lo riproponiamo, aggiornandone i risultati alla situazione odierna.

Eravamo partiti dall’ipotesi che un Tir, per abbandonare l’autostrada, immettersi nell’Interporto, manovrare, attendere in coda, e poi riscaldare il motore per una eventuale ripartenza, tenesse il motore acceso per un lasso di tempo compreso tra trenta e quarantacinque minuti. Questo comporta due effetti inquinanti: uno in loco (Interporto e località limitrofe, cioè l’abitato di Roncafort) e uno a distanza, cioè Gardolo, Lavis e Trento.

Per brevità ci concentriamo sul secondo effetto, la diffusione dell’inquinamento, che dipende dalla velocità delle correnti d’aria, e dalla loro direzione (se il vento spira verso sud, verrà investita la città, se verso nord, a soffrire sarà Lavis, se alternativamente in entrambe le direzioni, prevarrà un effetto di dispersione). Consideriamo la situazione peggiore: vento costante in direzione sud, tenendo presente che quando sarà costante verso nord il problema sarà analogo.

Nel diagramma qui sotto riportato è illustrata la diffusione dell’inquinamento per il biossido d’azoto (NO2: al quale, fornendo i dati più preoccupanti, limitiamo la trattazione; ma analoghi risultati sono ricavabili per gli altri elementi). Sull’asse verticale è riportata la concentrazione (ossia la presenza) dell’NO2, su quello orizzontale la distanza dalla sorgente dell’inquinamento, che facciamo coincidere con lo scalo intermodale. E dunque una distanza di 500 metri arriva alle prime case di Roncafort, un chilometro all’abitato di Gardolo, 4 chilometri ci portano a piazza Dante.

Le concentrazioni di NO2 vanno confrontate con il valore limite (oltre il quale la qualità dell’aria non è più accettabile, e dovrebbero essere presi provvedimenti restrittivi), che per l’NO2 è di 250 microgrammi al metro cubo (nel grafico la linea rossa); e con il valore guida (cui dovrebbe tendere l’azione di prevenzione), per l’NO2 di 135 µg/mc (nel grafico la linea gialla punteggiata).

Nello studio di quattro anni fa avevamo considerato due ipotesi: Ipotesi 1, inquinamento provocato da un Interporto per le merci regionali (con l’afflusso di 1.000 Tir al giorno, e un buon livello di organizzazione, tale da ridurre l’accensione del motore a un periodo di 30’); e ipotesi 2, Interporto per le merci del Veneto (3.000 Tir al giorno, prevedibili maggiori tempi di attesa, e quindi 45’ di accensione).

Ne era risultata la compatibilità dell’ipotesi 1 (con qualche preoccupazione solo per Roncafort), e di converso la follia del progetto di Interporto interregionale: inquinamento duro per chi vi lavora e per Roncafort, sopra il valore limite a un chilometro, sul valore-guida a due chilometri e mezzo; e attenzione, si parla di inquinamento aggiuntivo, quindi un sovrappiù rispetto all’inquinamento attualmente esistente.

Ora però, gli attuali sviluppi ci fanno aggiungere un’ipotesi 3, quella esplicitamente prospettata dal presidente dell’Interporto ing. Renato Maschio, e supportata da numerosi interventi nel dibattito sulla PiRuBi: Interporto per i flussi internazionali, con una capacità prospettata da Maschio di 8.400 Tir al giorno. I danni vengono in parte mitigati dalla tecnica: nuovi motori, nuove normative europee tendono a ridurre le emissioni nocive (talché gli studiosi prevedono che nei prossimi dieci anni sulle strade, pur con l’aumentare del traffico, l’inquinamento tenda a una leggera riduzione); inoltre una buona organizzazione dell’Interporto, unita alle caratteristiche dei nuovi diesel che non necessitano di riscaldamento, può contenere il tempo di accensione dei motori in 30 minuti anche all’interno di una grande e affollata struttura.

Tutti dati che però non bastano a controbilanciare l’aumento dei Tir: nell’ipotesi 3 l’inquinamento avanza ancora, entro i 1.500 metri (Centro Commerciale) siamo sopra il valore limite, fino ai 3.500 metri (piazza General Cantore) sopra il valore guida (e ripetiamolo, si tratta di inquinamento aggiuntivo a quello attuale), Gardolo (situata a una distanza di 1.000 metri) sarebbe risparmiata (quanto?) solo dalla favorevole direzione dei venti dominanti. Insomma, la parte nord della città sarebbe pesantemente inquinata, tutta Trento subirebbe un sensibile abbassamento della qualità della vita.

E d’altronde, perché meravigliarsi? Il Sudtirolo, l’Austria, la Svizzera, tutti i paesi alpini fanno le barricate per non avere il passaggio dei Tir. Noi, che siamo nelle stesse condizioni geografiche, pensiamo di approfittarne allestendo passaggio, manovra e sosta degli stessi Tir rifiutati dagli altri.

I casi sono solo due: o loro si sbagliano (insieme a tutti gli esperti, studiosi e legislatori), oppure a noi di salute e vivibilità non importa niente.

Che il problema vero sia il traffico internazionale, non lo dice solo il presidente dell’Interporto, che potrebbe aver parlato in uno slancio di megalomania a favore della propria struttura. Anche gli autorevoli protagonisti nazionali del settore, intervenuti nel dibattito, hanno chiarito senza possibilità di equivoci: "Scegliendo la Valdastico, si intende fare di Trento un interporto tra i più grandi d’Italia, per il traffico del Veneto e i flussi dall’Est" - sottolinea Massimo Carraro, eurodeputato nonché presidente dell’interporto di Padova; "Non è un’opera utile solo ai vicentini, ma collegamento... con le direttrici est-ovest della pianura padana... e l’est che si apre ai traffici per l’Europa attraverso il Friuli" - chiarisce il sottosegretario all’Industria Mauro Fabris.

E d’altronde anche qui non c’è niente di nuovo: tutti gli studi di questi anni hanno sempre concordato su un fatto: i collegamenti Trento-Vicenza, presenti e futuri, non giustificano un’autostrada, che se si dovesse reggere sul traffico interprovinciale sarebbe in perenne, irrimediabile deficit. La PiRuBi ha senso (e redditività) solo in quanto sbocco dei grandi traffici; che quindi verrebbero convogliati a Trento.

E qui però dovrebbero fermarsi: Durnwalder, l’Austria, le altre regioni alpine, loro di traffico su gomma non ne vogliono altro. E allora noi ce lo prendiamo sul groppone, e i Tir del Polesine e della Turchia li facciamo manovrare in appositi piazzaloni a Trento nord. Che diventerebbe la pattumiera delle Alpi.

Questa prospettiva non ha evidentemente senso alcuno. E difatti è una stridente novità, in netto contrasto con il quadro generale che concordemente regioni e governi hanno elaborato in questi anni, arrivando alla firma della cosiddetta Convenzione delle Alpi, in cui tutti i governi interessati convengono sulla necessità di particolari misure per salvaguardare la vivibilità di queste aree; e tra queste misure vengono individuate come principali quelle atte a fermare il trasporto su gomma all’esterno dell’arco alpino.

Quindi sviluppo delle ferrovie (a iniziare da quella del Brennero, la cui capacità di trasporto merci è raddoppiabile a breve) e trasferimento da gomma a rotaia in una serie di interporti esterni all’area montuosa, nel nostro caso a Verona, Padova, Bassano, dove l’assenza di ostacoli orografici facilita la naturale dispersione degli inquinanti.

Non solo. "Con questa logica si può innescare un processo virtuoso, per cui il trasferimento delle merci viene sempre più retrocesso, effettuato sempre più a monte, riservando alla gomma il trasporto dal luogo di produzione al più vicino interporto, e poi dall’interporto di arrivo al luogo di distribuzione" - ha spiegato al recente convegno dei DS sullo sviluppo sostenibile Stefano Landi, direttore generale presso il Ministero dell’Industria.

In altre parole le regioni alpine, rifiutando nuovi Tir, inducono un’evoluzione generale dei trasporti; in particolare in Italia, dove tutti gli studiosi, economisti inclusi, lamentano l’anomalia della proponderanza del trasporto su gomma (70-80%, a fronte di rapporti invertiti nel resto d’Europa) rimasta invariata per la vischiosità dei meccanismi, il prevalere degli interessi consolidati, l’inadeguatezza delle FS (cui si pensa di rimediare con l’imminente privatizzazione).

In questa dinamica si inserisce, positiva, la spinta delle regioni alpine: un caso in cui la tutela della propria vivibilità non avviene a scapito degli altri, ma inducendo un ammodernamento del sistema complessivo.

Ora, all’improvviso, il Trentino da questo disegno vuole chiamarsi fuori. Indebolendo anche la posizione dei propri partner, che difatti non gradiscono; si vedano le sacrosante posizioni di Durnwalder, cui Dellai risponde con un "Si faccia gli affari suoi" tanto stizzito quanto fuori luogo.

E rimane il problema di fondo: questo nostro Presidente, dove vuole portarci?

L'arretratezza delle posizioni dellaiane risalta ancor di più se si guarda in avanti. "Per il recente accordo di Kyoto, entro quattro anni anche l’Italia dovrà ridurre dell’8% le emissioni di anidride carbonica (CO2) - spiega Iva Berasi dei Verdi, assessore provinciale all’ambiente - Si andrà a un bilancio della situazione regione per regione: e il Trentino oggi riesce a stento, con i suoi boschi, a rielaborare la CO2 esistente, prodotta in gran parte dal traffico sull’Autobrennero. Come si pensa di soddisfare le nuove direttive, aumentando ulteriormente il traffico?"

Più in generale, di fronte ai nuovi problemi, trasporti globali, nuove regole, nuove esigenze, dove va il Trentino? Rimane ancora quello attaccato al piccolo appalto dell’inutile opera pubblica, all’impianto sciistico che sopravvive con il contributo provinciale? "Anche gli industriali devono fare questi nuovi conti - prosegue Berasi - Alcuni di loro cominciano a farli, e se ne vedono i frutti: le certificazioni ambientali e di qualità sono state dapprima vissute come un costo, un peso; ma poi si è visto che rendono, in termini di minori costi energetici, di migliore organizzazione aziendale, di ritorno di immagine. Queste cose, se non si capiscono per sensibilità, si dovranno capire per necessità. Perché sono alle porte normative che ci obbligheranno a prendere provvedimenti."

Invece, istigate dalle rozze interviste dellaiane, sono venute fuori posizioni di retroguardia. Gli industriali, che la PiRuBi l’avevano messa in un cassetto, e con i sindacati avevano elaborato i Patti per lo Sviluppo con una mobilità incentrata sulla ferrovia, sono ritornati sulle loro posizioni; e così i veneti, che anche loro sulla Valdastico avevano fatto una croce, non prevedendola più neanche nei programmi elettorali. E sulla stampa trentina hanno incominciato a riapparire le antiche prese di posizione in chiave old economy, anzi jurassic economy, quelle per cui sviluppo significa asfalto.

I sostenitori della PiRuBi si agganciano a due motivazioni: la necessità di collegamenti con il Veneto e la congestione della Valsugana. Vediamo.

Collegamenti con il Veneto: la realtà veneta più importante è Verona, con cui siamo collegati in maniera ottimale; con Padova il collegamento c’è, la Valsugana, è migliorabile; con Venezia il collegamento è scadente, ma il problema è tutto veneto (checché ne dicano i nostri industriali, il Nord-Est ha collegamenti interni infinitamente peggiori dei nostri); il problema è con Vicenza: ma si giustifica una spesa di migliaia di miliardi per avere rapporti più celeri con il vicentino?

Veniamo all’intasamento della Valsugana, che è innegabile. Ma il problema è il traffico pendolare, da Levico-Pergine a Trento. E allora, cosa c’entra un’autostrada da Schio a Rovereto? Gli stessi progettisti della PiRuBi hanno quantificato in un 10% il traffico della Valsugana che verrebbe dirottato sulla nuova autostrada: allora è evidente la bubbola della PiRuBi come toccasana della Valsugana. Forse per questo proprio in questi giorni Grisenti ha cavato un coniglio dal cilindro, un nuovissimo studio, che rifacendo da capo tutti i conti, riesce prodigiosamente a portare al 40% il traffico della Valsugana dirottabile sulla PiRuBi: vogliamo vedere che prossimi studi parleranno di nuovi effetti miracolosi della Valdastico?

In realtà il discorso del pendolarismo da est verso Trento non è nuovo: e più volte se ne è individuata la soluzione nella trasformazione dell’attuale ferrovia in metropolitana di superficie. Questa sì una soluzione pertinente al problema: e che inoltre sarebbe non solo ecologicamente corretta, ma molto più economica, e risolverebbe ulteriori problemi di spostamenti urbani, con le fermate a Mesiano, Villazzano, Ospedale (almeno fino a quando non lo sposterà la prossima follia affaristica dellaiana).

Sulla Valsugana rimane il problema dell’attuale traffico merci interregionale, non esorbitante, ma di sicuro sgradito e anche potenzialmente pericoloso (mille autocisterne al giorno). Se si vuole affrontare il problema, e non con dei diversivi (infilare le autocisterne nella galleria della Valdastico, con i noti rischi da tunnel del Monte Bianco), anche qui la soluzione è la ferrovia. Esiste già uno studio di massima, che prevede un doppio binario tra Levico e Civezzano, il rifacimento della tratta lungo il lago di Caldonazzo, una nuova tratta che a partire da Civezzano differenzierebbe la metropolitana di superficie da una parte, lungo il tracciato attuale, e il trasporto merci dall’altra, con sbocco a Trento nord. Si avrebbe una capacità di 80-90 treni al giorno, ciascuno con un carico di 1.000 tonnellate (circa 40 Tir) alla velocità commerciale di 100 km/ora. Costo complessivo: 600 miliardi. Non sarebbe il caso di approfondire, e se del caso sostenere con la dovuta convinzione, questa soluzione?

Il fatto è che metropolitana di superficie, ferrovia della Valsugana e del Brennero, collegamenti internazionali, sono problemi già affrontati dal governo provinciale in vari momenti, dalla stesura dei programmi elettorali in poi. Come pure la collocazione strategica del Trentino, non come patetica scimmiottatura del convulso Nord-Est, ma come porta meridionale dell’area alpina.

Quello di Dellai quindi si configurerebbe come un autentico ribaltone programmatico, se... Se proponesse una serie di motivazioni, obiettivi, con una loro coerenza interna. In realtà Dellai, oltre ad accusare la sinistra di essere retrogada, e ad autodefinirsi modernizzatore, non è andato. In sostanza ha buttato alle ortiche un disegno complessivo sulla mobilità, sulle priorità negli interventi, sull’asse di governo; ma non ha presentato alcuna controposta organica, se non le chiacchiere sul Nord-Est, e la necessità di più asfalto.

Ma allora, perché? Cosa ci guadagna a scardinare la propria stessa maggioranza, inventandosi dall’oggi al domani problemi come la PiRuBi, assolutamente inesistenti?

A questa domanda sono state in questi giorni svariate risposte, alcune francamente fantasiose.

Noi inquadriamo la vicenda nelle difficoltà della Giunta provinciale dopo lo scontro sulla Val Jumela. In quei giorni Dellai si è reso conto di avere a che fare con una sinistra non più subalterna, e che iniziava a contestargli, con una certa energia, pezzi sempre più corposi della sua politica di contributi, clientele, appalti; trovando per di più crescente consenso in strati importanti della società. E questo avveniva in pericoloso parallelo con l’appannamento della propria immagine: presso quei poteri, grandi e piccoli, verso i quali egli, il leader, si era fatto garante di condurre in porto tutta una serie di disegni; e anche verso una più vasta opinione pubblica, che cominciava a dimostrare insofferenza per la sostanziale inconcludenza di questa legislatura (sulle reali responsabilità di questo impasse, vedi articolo a pag. 20).

Di qui la decisione: provocare la sinistra, metterla con le spalle al muro, sbattendole in faccia una proposta come la PiRuBi. E’ una proposta provocatoria, inaccettabile? Meglio: più amara sarà la resa, più definitiva la sottomissione.

In questo autentico gioco d’azzardo ("Qui mi gioco tutto" dichiarava in un’intervista) contava su due fattori. Il primo era la presenza nella sinistra di una consistente ala ‘dellaiana’, quelli che avevano fatto la campagna elettorale del ‘98 iniziando ogni intervento con la rituale giaculatoria "Riconosco in Lorenzo Dellai il nostro leader": un’ala che per svariati motivi - scarse proprie convinzioni, opportunismi verso il socio di maggioranza, attaccamenti vari alla poltrona - il Presidente riteneva ancora sufficientemente Dellai-dipendente, da teleguidare in maniera opportuna.

Il secondo fattore era propagandistico: far passare la sinistra per retrograda, nemica dello sviluppo e dell’economia; e così approfittare delle sue debolezze, dei suoi complessi causati dal non avere rapporti adeguati con il mondo economico, per farne esplodere contraddizioni e - giocando sui ‘dellaiani’ - divisioni.

Una partita cinica: in cui la PiRuBi, i trasporti, il futuro del Trentino, non contano nulla. Conta mettere in riga, una volta per tutte, un alleato indocile; per il resto si vedrà.

Il gioco non è riuscito. Si è rivelato troppo pesante, e anche un po’ scoperto. "Dellai dice che se non c’è lui verrà il centro-destra, e con esso i cementificatori veri? Ma la destra al governo, cosa può mai fare oltre a quello che propone lui: PiRuBi, Val Jumela, aeroporto, Pinzolo-Campiglio...?" - ha ribattuto il segretario dei DS Mauro Bondi.

La sinistra si è resa conto di una cosa: se cedeva sulla PiRuBi, ossia sulla visione del Trentino, semplicemente non aveva più ragione di esistere. "A quel punto, perché un elettore dovrebbe votarci?" - commenta l’on. Sandro Schmid. E questa, anche per i meno idealisti, è una ragione decisiva. Così a sostenere Dellai sono rimasti in quattro gatti: nessuno fra i Verdi (ci mancherebbe...) nessuno in Rete e Solidarietà, fra i socialisti il solo on. Mario Raffaelli (ahi, la smania di tornare a Roma!). Fra i DS: Parolari, sindaco di Nago-Torbole, quello che inizia ogni intervento con una genuflessione al "nostro leader"; il sindaco di Trento Alberto Pacher, almeno fin quando gli hanno spiegato che forse per la città non è bene venir investita da migliaia di nuovi autotreni; l’estroso on. Luigi Olivieri (sulla cui coerenza, vedi la scheda); il sindaco di Folgaria Olivi, libero battitore; la presidente della Regione Margherita Cogo, che per non dispiacere a Lorenzo ha marinato il convegno dei DS sullo sviluppo sostenibile, ma che poi non è riuscita a sostenere la propria giunta (vedi articolo a pag. 5).

In definitiva, conclusione-boomerang per Dellai: mai la sinistra negli ultimi anni si era trovata così unita, e non sulla tattica, ma sulle ragioni profonde del proprio esistere.

Qualche risultato in più il presidente lo ha raccolto fra gli opinionisti (notevole la conversione pirubista del neo-direttore dell’Alto Adige Giampaolo Visetti, a suo tempo ambientalista convinto). Agitare, sia pure a vanvera, parole come "modernizzazione" qualcosa ha pagato. Ma gli basterà?

E viceversa, il Trentino, con tutti gli sbandamenti culturali che questa vicenda ha evidenziato, riuscirà a reimpostare una propria politica complessiva?