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QT n. 2, 27 gennaio 2001 Monitor

Un sorprendente Gene Gnocchi

"La responsabilità civile dei bidelli durante il periodo estivo": non ci stupiremmo se divenisse un classico.

Che dire? Un’opera come questa, in Italia, non s’era mai vista. Finora "teatro dell’assurdo", grottesco, cabaret, metateatro e dramma psicologico erano comparsi assieme, al massimo, tre per volta. Noi, in verità, da Gene Gnocchi ce l’aspettavamo, tanto da anticiparlo nella presentazione on-line del suo lavoro. La scommessa, piuttosto, era sulla riuscita dell’inedita fusione fra queste quattro grandi "scuole" in un unico evento memorabile. Visti i risultati - successo di pubblico, stile impeccabile, contenuti attuali se non, in qualche caso, universali - non ci stupiremmo se "La responsabilità civile dei bidelli durante il periodo estivo" divenisse un classico della nostra drammaturgia.

Per trovare un’opera italiana che vi si avvicini, dobbiamo tornare ai tempi di Chiarelli, Antonelli, Cavicchioli (nientemeno che agli anni 1914-1916) o tutt’al più al Flaiano di "Un marziano a Roma", del ’60. Ma siamo lontani dall’esperimento di Gene, destinato - ci auguriamo - ad essere un "caso" nel panorama contemporaneo. Vengono in mente Beckett, Ionesco, Pinter, Schnitzler, tutti quei nomi, per intenderci, che ben poco hanno influenzato i nostri autori. Quest’opera è dunque un precedente e, come tale, non va sottovalutata. È come lanciare un sasso in uno stagno… prima o poi le onde ci raggiungono e non ci è più possibile ignorarle.

Ma di che parla, dopotutto, questa commedia surreale? E quale mai sarà la responsabilità civile dei bidelli, e per giunta durante il periodo estivo? Ce lo spiega Balthasar, un drammaturgo (fallito) creato dalla fantasia di Gene, con un nome evocativo, puro suono, ma senza alcun riferimento né ai Re Magi né a Bresson. Eppure, come l’asino di "Au hasard Balthazar", anche il bidello di cui l’autore narra le tragicomiche vicende è un simbolo dei soprusi umani e incarna noi stessi, i nostri sogni, le nostre battaglie vinte e soprattutto perse contro la vita e la società. E’ in estate che il personaggio ha il tempo di riflettere, in modo metafisico, su come è diventato un bidello obeso di 256 chili; intanto la sua storia s’intreccia a quella del drammaturgo, come per l’albatro e Baudelaire.

Balthasar, a inizio spettacolo, ci informa che altri tre registi in altrettanti teatri stanno recitando "in perfetta simultaneità", così da terminare tutti con la frase "rotolare verso il mare" che farà partire un razzo da Modena. Ognuno di loro propone un’opera dal titolo improbabile, si esibisce dal nord al sud della penisola ed appartiene a un’area culturale ben distinta: italiana, francese, russa, latino-americana. Tutto, naturalmente, all’insegna del grottesco con frequenti allusioni storiche e ad eventi mondani, in un mix d’irresistibile comicità. Qualche battuta si ripete, diventa il leitmotiv della serata, a metà fra un limerick e un tormentone (provate a chiedere, a chi c’era, d’un certo topo che piangeva…).

Scritto a quattro mani con Francesco Freyrie, il testo è già quello definitivo, essendo ormai alla quarantesima replica. Ma l’occhio è ancora puntato alla formula del cabaret, al rapporto diretto fra attore e pubblico, con un Gene Gnocchi più affabile del solito, trascinante, più volte tentato di ridere lui stesso. Un varietà, sì, ma che ammicca al surreale.

Balthasar ha contenziosi a non finire, diligentemente documentati dalla assistente con tomi che ingombrano il palco; la sua ex ha fantasie erotico-gastronomiche a dir poco particolari; il suo impresario gli consiglia "diuturnamente" di abbattere le pareti dei teatri per far posto agli elementi scenici; FIAT e General Motors firmano un contratto per cui i clacson avranno la voce di Andrea Bocelli; la NATO compie studi serissimi sugli squali, che risalgono il Po e partecipano alle feste de L’Unità, di cui riconoscono il tipico odore delle grigliate. E avanti di questo passo.

In una struttura frammentata e una scenografia rarefatta, gli oggetti vanno e vengono come presenze irrazionali, con qualche concessione al minimalismo. Balthasar s’improvvisa persino parrucchiere per signore, spiegando che in quell’esatto momento anche i suoi colleghi si stanno cimentando in occupazioni pratiche, per sfatare l’idea di questi registi che non hanno mai i piedi per terra. Il riso si mescola al pianto, ma chi di noi non ha mai avuto l’impressione che l’intera esistenza sia condita da una salsa agrodolce? Bene, nella commedia di Gnocchi si parla di tutto e di niente, vale a dire di noi, invischiati nel fango e nell’oro della vita.

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