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QT n. 3, 10 febbraio 2001 Servizi

Come organizzare la convivenza?

Dialogo sulle nostre esperienze pensando alla ricostruzione dei Balcani.

Il 26-27 gennaio si è svolto a Trento un importante convegno internazionale dal titolo "Organizzare la convivenza: l’esperienza del Trentino-Alto Adige e le prospettive per i Balcani". L’iniziativa, organizzata dalla Regione in collaborazione con le Università di Trento e di Bolzano, l’Accademia Europea di Bolzano e l’Istituto Affari Internazionali di Roma, poggiava sull’idea che lo studio della particolare esperienza maturata in Trentino-Alto Adige possa fornire preziosi suggerimenti per la pacificazione di altre aree del pianeta, in particolare nell’Europa centro-orientale e nei Balcani, dove il problema delle minoranze e dei conflitti territoriali connessi hanno avuto effetti dirompenti. L’approfondimento della nostra esperienza, attraverso un’analisi interdisciplinare e il confronto con altre sperimentazioni europee, ha offerto l’occasione per una riflessione sul futuro dei rapporti tra i gruppi linguistici in Alto Adige, inserendosi pienamente nel vivace dibattito che da qualche mese tiene banco in provincia di Bolzano.

[/a]Abbiamo chiesto al dott. Jens Woelk, membro del comitato scientifico istituito dalla Regione per l’organizzazione del convegno, di raccontarci quanto emerso nelle due giornate di lavoro, offrendoci anche le sue valutazioni. Jens Woelk è cittadino tedesco, nato nel 1964 a Wattenscheid, in Germania. Si è laureato in legge all’Università di Regensburg, in Bavaria. Attualmente è ricercatore presso l’Accademia Europea di Bolzano e professore a contratto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento. È un costituzionalista comparato, con una particolare esperienza sui temi legati al federalismo ed al regionalismo, ai problemi delle minoranze etniche ed ai rapporti transfrontalieri. Vive a Bolzano assieme alla moglie trentina e ai due figli.

Oggi la situazione a livello locale rappresenta uno standard soddisfacente di tutela delle minoranze, tanto che, forse troppo spesso, si parla di "modello Alto Adige" per la soluzione pacifica di altre situazioni conflittuali. Si registra inoltre un buon livello qualitativo di autogoverno: un’autonomia in continua evoluzione, a sua volta considerata "modello" per il resto d’Italia, soprattutto riguardo al processo di decentramento e di trasformazione dello Stato in senso federale. Infatti, in Alto Adige l’autonomia non si esaurisce certo con la funzione di tutela delle minoranze.

Yoram Dinstein, del Max Planck Institute for Comparative Public and International Law, Heidelberg e Università di Tel Aviv.

Il tempo passa... e si rende necessaria una riflessione sullo stato della nostra "autonomia modello"

È però anche necessario rendersi conto della dimensione temporale: le attuali regole della convivenza sono state spesso conseguenza di esperienze traumatiche. Si può però oggi, decenni dopo, continuare ad argomentare allo stesso modo di allora? Quanto più la convivenza continua sulla base dello statuto di autonomia, tanto più la prospettiva futura dovrà acquistare un peso maggiore rispetto alla dimensione storica, soprattutto quando si tratta di ripensare le questioni centrali dell’organizzazione della convivenza.

Il contesto nel quale s’inserisce la nostra autonomia è profondamente cambiato a causa dei processi di globalizzazione, dell’integrazione europea e della trasformazione dello Stato italiano in atto. Oggi le garanzie per la minoranza tedesca dipendono sempre meno dall’ancoraggio internazionale (contro lo Stato), ma dalla nostra capacità di poter e di saper capitalizzare la convivenza e la cooperazione tra i gruppi. Con una gestione autonoma delle nuove possibilità a più livelli e nell’ottica di una dimensione territoriale di autogoverno che, per quanto possibile, faccia riferimento a criteri di carattere funzionale, arrivando così ad una sempre maggiore normalizzazione della situazione. L’attuale dibattito su alcune questioni fondamentali della convivenza in Alto Adige, come peraltro lo stesso concetto di "autonomia dinamica", mostrano che la ricerca di nuove regole è già iniziata.

Organizzare la convivenza: con questo titolo, il convegno della Regione Trentino-Alto Adige si era posto l’obiettivo di favorire la riflessione sulla situazione altoatesina ed allo stesso tempo di aprire un dialogo costruttivo con i Balcani. Particolarmente preziosa è stata l’esperienza di collaborazione fra le due università di Trento e di Bolzano che, insieme all’Accademia Europea di Bolzano ed all’Istituto Affari Internazionali di Roma, ha permesso di dare un taglio multidisciplinare all’iniziativa, garantendo al tempo stesso sia un alto livello scientifico che la vicinanza alle problematiche vissute e discusse nella nostra Regione. Il convegno ha visto la presentazione di specifiche ricerche, volte ad approfondire quegli aspetti sociologici, economici, giuridici e culturali che in Trentino-Alto Adige ed in altre aree dell’Europa hanno creato le basi per la convivenza, ma che nei Balcani hanno portato a tensioni e violenze tra i gruppi etnici.

I lavori si sono svolti intorno a tre filoni: il quadro giuridico, la dimensione internazionale dell’autonomia e la dimensione sociale ed economica delle istituzioni.

Già nei discorsi di apertura dei rappresentanti del Consiglio d’Europa, dell’Alto Commissariato alle Minoranze Nazionali dell’OSCE e di quello del Patto di Stabilità, sono state messe in evidenza l’importanza del riconoscimento della diversità (culturale e linguistica) e degli sforzi (e strumenti) dei vari organismi internazionali, volti a garantire una pacifica convivenza di persone e gruppi diversi.

La prima parte del Convegno è stata dedicata alle questioni giuridiche. Markku Suksi (Finlandia) si è concentrato sulle rivendicazioni di autodeterminazione interna ed esterna, cercando di valutare se vi sia conflitto tra i concetti di autonomia ed autodeterminazione e se, pertanto, le istituzioni dell’autonomia possano essere considerate risposte valide anche per le richieste di autodeterminazione.

Markku Suksi, Åbo Akademy University.

Proprio il legame tra diritto all’autodeterminazione e "popoli", termine che comprende tutta la popolazione di un territorio e non soltanto parti di essa, dimostra il carattere "inclusivo" di tale diritto (e di qualsiasi autonomia territoriale) e sembra perciò contenere un appello alla convivenza, creando altrimenti i noti fenomeni della "minoranza all’interno della minoranza".

Dopo aver analizzato la distinzione tra federalismo ed autonomia (trattamento preferenziale di solo una o poche regioni), Yoram Dinstein (Tel Aviv/Heidelberg) ha sviluppato una classificazione giuridica dei modelli di autonomia, basata sulle diverse garanzie di cui essi godono: trattati internazionali multilaterali o bilaterali, oppure soluzioni meramente interne ad uno Stato. In costante aumento sembra però il ruolo della comunità internazionale, in particolare del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Dinstein ha anche ricordato che l’autonomia è una via a senso unico: una volta concessa va sviluppata e perfezionata, ma è quasi impossibile toglierla (come, in extremis, hanno dimostrato gli eventi nel Kosovo).

Nel dibattito sono state trattate l’ancora delicata questione dei confini che, come principio di diritto internazionale, non devono essere modificati con la forza, e la natura prevalentemente politica e non giuridica del diritto all’autodeterminazione. È seguito il confronto della situazione del Kosovo con quella del Trentino-Alto Adige, che ha messo in evidenza le numerose differenze esistenti. Non sorprende quindi che un forte scetticismo nei confronti delle possibilità dell’esportazione di "modelli" (interi) sia stato poi comune denominatore tra i relatori, poiché ogni contesto presenta una serie di fattori ed elementi specifici non paragonabili ad altre situazioni. Tuttavia l’analisi di singoli modelli è il necessario presupposto per un confronto: essa permette l’individuazione dei temi e dei problemi "caldi", cioè importanti, nonché di procedure e strumenti utili per la risoluzione del conflitto.

Proprio con un’analisi approfondita delle "strategie per la risoluzione del conflitto etnico: il caso del Trentino-Alto Adige e dei Balcani" (Riccardo Scartezzini/Paolo Foradori, Trento) è iniziata la seconda parte del convegno, che ha trattato la dimensione internazionale dell’autonomia. Nelle società moderne le diversità culturali ed etniche non possono più essere considerate l’eccezione, ma sono fenomeni assolutamente comuni e normali, così come i conflitti fanno parte del concetto stesso di società aperta e pluralista. Solo regole e procedure per un confronto e la loro successiva risoluzione possono garantire stabilità e pace: mentre in Alto Adige l’istituzione di una tale cornice è riuscita, grazie alla volontà cooperativa delle parti, nei Balcani sembrano proprio mancare le tradizioni e le esperienze positive della cooperazione. Sommate alle difficoltà di democratizzazione e di costruzione di una società civile, queste carenze spiegano perché sia stato facile mobilitare le popolazioni nel nome del nazionalismo etnico.

Di fronte al problema della dimensione limitata dei nuovi Stati nei Balcani, il rettore dell’Università di Bolzano, Alfred Steinherr, si è occupato invece della sostenibilità economica di piccoli territori e del sostegno economico internazionale, aprendo con la tesi provocatoria che i più ricchi paesi del mondo sono anche i più piccoli (Liechtenstein, Lussemburgo, Singapore...). La misura ridotta non sarebbe necessariamente uno svantaggio, ma, al contrario, spesso un’opportunità perché più facilmente gestibile. Per non creare dipendenza, un sostegno economico internazionale dovrebbe puntare in primo luogo alla creazione di istituzioni efficienti.

La cooperazione transfrontaliera è spesso vista come una via moderna alla risoluzione di conflitti, con l’apertura di una dimensione internazionale concreta e diretta che libera le regioni di confine dalla loro situazione periferica, trasformandole in "zone di contatto". Dall’analisi delle basi giuridiche della cooperazione transfrontaliera a livello internazionale, europeo e nazionale (Jens Woelk/Francesco Palermo, Bolzano e Trento), è però risultato che alla base delle attività transfrontaliere sta una cultura di cooperazione all’interno, sia per quanto riguarda il rapporto tra entità locali e Stato centrale, che esercita il monopolio del potere estero, sia all’interno dell’entità locale. Entrambe le condizioni sussistono soltanto in sistemi autonomistici "maturi", come dimostrato dallo sviluppo movimentato nella nostra regione riguardo all’istituzione di una "Euregio Tirolo". Solo la cooperazione funzionale a tutti i livelli, volta a produrre vantaggi concreti per i cittadini, può aprire nuovi spazi di manovra per la politica e l’economia, così come per l’evoluzione del sistema autonomistico. Un risultato che sembra trovare conferma negli sviluppi attuali della cooperazione transfrontaliera fra Trentino, Alto Adige e Tirolo.

Il primo intervento della terza sessione si è concentrato sul rapporto tra la struttura sociale, il capitale sociale e l’intesa istituzionale del Trentino-Alto Adige, mettendo in evidenza due importanti fattori storici che hanno favorito un processo combinato di sviluppo economico e politico: la progressiva riduzione delle disuguaglianze sociali attraverso una struttura sociale, anticipando e integrando gli obiettivi del Welfare State a livello centrale, e l’importante ruolo del capitale sociale, cioè in particolare la rete di relazioni interpersonali che garantiscono sia la coesione del sistema che la necessaria volontà cooperativa. Antonio Chiesi (Trento) ne ha tratto la conclusione che la soluzione dell’autonomia territoriale ha avuto successo grazie agli incentivi dati alla coabitazione ed alla crescita economica.

L’utilizzo e la distribuzione delle entrate raccolte su un territorio, fondamentali per un sistema autonomistico, sono stati oggetto della ricerca di Gisela Färber (Speyer) che ha passato in rassegna le possibili soluzioni del problema - tra centralismo e federalismo fiscale - e le condizioni da cui dipendono la praticabilità e la sostenibilità delle singole soluzioni. Partendo dai limiti e vantaggi dell’autonomia che risulta dalla politica economica e dalla configurazione dei mercati, Giorgio Fodor (Trento) ha individuato i fattori esterni che influenzano le politiche locali, nonché possibili configurazioni e soluzioni per evitare conseguenze sgradite in un mondo che va globalizzandosi. Riguardo al problema della ricostruzione economica (e politica) dell’area balcanica, ha messo al confronto l’esperienza storica del piano Marshall per l’Europa del secondo dopoguerra e l’attuale quadro nell’Europa sud-orientale.

Milford Bateman (Parigi) ha commentato in modo molto critico le attuali politiche in materia di ricostruzione economica dei Balcani da parte della comunità internazionale, in particolare la terapia shock dell’approccio neoliberale. Concentrandosi sui processi interni, ha sottolineato la necessità di specifici adeguamenti dell’attuale strategia alla particolare situazione, per affrontare la problematica conciliazione dei due obiettivi contrastanti: riduzione dell’influsso economico e sociale delle istituzioni statali (secondo il credo neoliberale) da una parte, ed enfasi sull’institution building per arrivare ad istituzioni democratiche, dall’altra. Problematica è, secondo Bateman, la crescente dipendenza da importazioni, senza possibilità riequilibratrice di esportazione di prodotti dai Balcani. Una via concreta di risoluzione potrebbe essere il maggiore sostegno di piccole e medie imprese, responsabilizzando così le istituzioni locali, importanti nella ricostruzione che non può soltanto fare affidamento sulla gestione centralizzata, ma dovrebbe favorire invece i processi che nascono dal basso.

Il dibattito sulle questioni dell’organizzazione della convivenza si è concluso con una tavola rotonda di carattere più politico. Partendo da una tripartizione di situazioni postconflittuali quali fase difensiva, di normalizzazione ed autonomia dinamica ed aperta, è stato soprattutto ricordata l’importanza di uno sviluppo economico positivo, che potrebbe anche dare qualche garanzia agli Stati, timorosi che l’autonomia potrebbe portare alla secessione. Il sottosegretario Umberto Ranieri (Ministero Affari Esteri) e Renzo Daviddi (Direttorato Generale degli Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea) hanno sottolineato il ruolo decisivo dell’UE, mentre i presidenti Dellai e Durnwalder, han ricordato le esperienze specifiche del Trentino-Alto Adige. Durnwalder, in particolare, ha elencato i dieci requisiti da lui ritenuti essenziali per la tutela delle minoranze.

Il politologo Sergio Fabbrini si è mostrato preoccupato della precedenza dei diritti collettivi rispetto a quelli individuali per effetto di un congelamento delle identità etniche, mentre il suo collega Günther Pallaver ha fatto qualche riflessione sulla centralità del territorio non immaginabile senza l’uomo, territorio che metaforicamente vede come un "condomino" a disposizione di tutta la popolazione.

Le esperienze dei conflitti balcanici e le prospettive per la loro risoluzione sono state al centro degli interventi dell’ex Presidente della Macedonia Kiro Gligorov, del Ministro per i Gruppi Nazionali ed Etnici del governo yugoslavo Rasim Ljajic e del parlamentare croato Furio Radin. Gligorov ha ricordato la questione cruciale per il futuro dei Balcani: il passaggio da comunità etniche chiuse ad una società civile aperta, portando l’esempio della Macedonia, nella quale gli albanesi oggi non si considerano più una minoranza, ma come uno dei popoli costituenti dello Stato. Cambiamenti profondi della Yugoslavia, che riguarderanno l’introduzione dell’istituto del difensore civico, la rappresentanza delle minoranze nel governo e il decentramento e la regionalizzazione, sono stati annunciati dal ministro Ljajic. Il passaggio, in Istria, da un atteggiamento che vedeva le minoranze come "elemento di disturbo" ad un contesto plurietnico ed il processo di regionalizzazione appena iniziato in Croazia, sono stati descritti dal deputato Radin, esponente della minoranza italiana in Istria, che ha auspicato il potenziamento dell’autonomia locale per rafforzare una convivenza multiculturale.

Il dialogo sulle esperienze del Trentino-Alto Adige è stato quindi aperto. Alcuni importanti interlocutori dell’area balcanica hanno già descritto la difficile situazione dei loro paesi confrontandosi con esperti internazionali e locali, fornendo così un importante impulso per le riflessioni sulle centrali questioni della tutela delle minoranze, sull’autonomia culturale e territoriale e sulla convivenza in un contesto multiculturale e multietnico. Oltre alla pubblicazione e diffusione delle ricerche multidisciplinari, i cui risultati sono stati presentati e discussi, il convegno dovrebbe rappresentare la prima manifestazione di un’analoga conferenza da organizzare quest’autunno nei Balcani, nella speranza che le esperienze del Trentino-Alto Adige possano contribuire alla distensione etnica nei Balcani.