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QT n. 15, 14 settembre 2002 Servizi

Albergatori vittime o colpevoli?

Il Far West dei pubblici esercizi trentini.

E’ terminata un’estate di grande sofferenza per gli albergatori trentini. Hanno cominciato la stagione apparendo sulla stampa locale come protagonisti e vittime di una presunta congiuntura economica sfavorevole: la montagna non è più appetibile e c’è un calo delle presenza che deve preoccupare. Ma l’autogol è stato immediato: venivano smentiti dai dati positivi degli uffici delle aziende di promozione turistica.

Hanno quindi intrapreso le denunce sulla mancanza di manodopera. Dobbiamo assumere gli immigrati e la burocrazia ce lo impedisce. Ma anche questo allarme cadeva sotto le sferzanti accuse delle organizzazioni sindacali. La burocrazia non c’entra, i lavoratori del settore scappano dal Trentino ed anche i residenti non lavorano negli alberghi perché le condizioni di lavoro quasi sempre non rispettano i contratti nazionali, gli orari sono impossibili, i ricatti pesanti. Solo il 20% dei diplomati nelle scuole alberghiere costruisce la propria carriera nel settore turistico, gli altri scappano. Sono cifre non smentibili.

Sommersa dal clamore dei casi denunciati, dall’avvenuto arresto di un importatore di manodopera dalla Romania (solo in Fassa duecento entrate irregolari), l’associazione albergatori si chiude in difesa: "I casi sono pochissimi, e poi il sindacato non fa i nomi dei dipendenti che ci denunciano; tutto è in regola negli alberghi trentini".

Ma anche questa difesa crolla in pochi giorni sommersa dalle lettere di cuochi e camerieri trentini che oggi lavorano fuori provincia: tutti scappati per poter trovare un minimo di rispetto e dignità.

Appena dopo ferragosto gli assessori al lavoro Remo Andreolli e al turismo Marco Benedetti convocano sull’argomento i sindacati e si individuano le possibili strade che potrebbero condurre alla soluzione dei problemi attraverso una piattaforma contrattuale provinciale. Il problema sarà quello di portare le controparti agli incontri, di ricercare la reale volontà di soluzione dei problemi presenti offrendo ai lavoratori sicurezze contrattuali, paghe decenti, incentivando la professionalità e arrivando a costruire certificazioni di qualità delle varie aziende turistiche.

Le soluzioni del problema sono quindi a portata di mano, ma perché il settore ritrovi maturità e dignità è necessario un passo convinto in questa direzione da parte delle associazioni imprenditoriali, ancora oggi spaccate in Trentino, ancora isolate culturalmente dalla società e guardate con diffidenza perfino nelle vallate turistiche.

Ma cosa raccolgono i sindacati nelle centinaia di incontri che hanno con i lavoratori degli alberghi, dei ristoranti, dei bar?

Senza generalizzare e portando quindi rispetto verso gli albergatori corretti, anche loro vittime dei comportamenti dei colleghi, le testimonianze raccolte rasentano metodi da Far West.

Quasi ovunque non si pagano gli straordinari e i riposi settimanali lavorati. Si gioca sulle assunzioni: troppo spesso nei libretti mancano dei giorni. Si devono sopportare le impazienze ed i caratteri degli imprenditori, si arriva spesso a subire offese e volgarità, specie verso il personale femminile. In alcuni casi si è costretti a dormire nei sottoscala o negli scantinati. Si è costretti a mangiare cibi vecchi e rinsecchiti. E ancora, si richiede al lavoratore la restituzione in anticipo dei soldi per la mensa, o si fanno firmare, dietro ricatto di non consegnare la paga, certificazioni che confermano l’orario giornaliero di contratto, sei ore e quaranta minuti per sei giorni. Ed ovviamente nel lavoro bisogna correre: si seguono da soli sale con 70-80 posti a sedere, o in cucina ci si arrangia con la qualità della materia prima offerta dal convento, provando con la fantasia a costruire improbabili miracoli qualitativi. Sono situazioni che riguardano ristoranti e pizzerie, alberghi a due stelle ma anche a quattro stelle.

I lavoratori che provengono da fuori provincia, quando denunciano queste situazioni, appaiono scandalizzati ed offesi. In anni di lavoro mai hanno trovato situazioni simili. Scandalizzai sono anche gli immigrati che affermano: mai più nel Trentino. Anche perché su di loro il ricatto diventa ancora più pesante, le paghe si riducono e gli orari si dilatano oltre il limite di sopportazione.

Da anni ci si chiede cosa significhi fare turismo in Trentino. L’associazione albergatori finora ha fornito un unico ritornello: avere contributi pubblici, più strade, più impianti per lo sci, campi da golf. Mai una volta che si sia letto un progetto sulla formazione, sulla scolarizzazione delle valli, sulla costruzione di stabilità professionale delle varie figure di lavoratori, sulla correttezza nelle retribuzioni, sul superamento di importanti quote di lavoro nero, ancora diffuso. Se il turismo trentino vive questa anarchia, c’è di che riflettere. C’è da chiedersi cosa significhi lavorare nella nostra ricca Provincia, valutare se il lavoratore debba accettare di essere riconosciuto come pezzo di ricambio meccanico dentro una ruota che comunque gira, grazie alle Dolomiti, ai boschi, ai laghi.

Tocca ora all’Associazione albergatori e all’Unione commercio offrire risposte a questi interrogativi. Ci auguriamo ci venga risparmiata la solita minimizzazione dei problemi presenti e che assieme, anche da noi, le parti sociali riescano a riportare dignità di lavoro in un settore che va comunque salvaguardato. Infatti è solo dal turismo dell’industria alberghiera e dei pubblici esercizi che si ha una ricaduta economica positiva sul territorio. Ma perché questo dato rimanga forte è necessario ritornare al valore delle persone, un dato che oggi sembra sempre più marginale.