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Argentina, il colosso che si sbriciola

La svolta neoliberista lascia il paese sul lastrico. Da L'Altrapagina, mensile di Città di Castello.

Oliviero Dottorini

Li chiamano cartoleros. All’imbrunire sbucano fuori da chissà dove, magari dopo una giornata di lavoro, e riempiono enormi sacchi o carrelli del supermercato con carte e cartoni. Alle dieci di sera in tutta la città non troverete più un manifesto affisso. E’ carta pesante, intrisa di colla. Ottima da rivendere ai centri di recupero: la raccolta differenziata più efficiente che la capitale federale abbia mai conosciuto.

Benvenuti in Argentina, il colosso che si sbriciola, il gigante che fa i conti con l’indigenza. Benvenuti, ma lasciate da parte le vostre convinzioni. E cercate di capire questi ragazzi della Buenos Aires più agiata che, nel pieno della crisi più devastante, arricciano il naso se i genitori propongono loro qualche lavoretto per la vacanze estive. Cercate di capire queste palestre ancora piene di giovani, queste riviste che parlano di diete, popstar e moda, questi studenti che portano a passeggio i cani della borghesia bonaerense. Le università, il golf, la fioritura delle scuole di psicologia, il jazz.

E immaginate nella stessa città, nelle stesse imponenti strade di Buenos Aires le file interminabili alle ambasciate e ai consolati per ottenere il visto per la Spagna, l’Italia o un qualsiasi paese occidentale. Le banche, per esempio, hanno rivestito le loro vetrine con spesse lamine di metallo per evitare la minaccia dei correntisti, che si sono visti da un giorno all’altro bloccare i conti correnti coi risparmi di una vita. La cronaca di Tg e quotidiani parla di rapimenti, di malavita più o meno organizzata, di rapine.

La crisi è arrivata come un fulmine, ma in tanti se l’aspettavano. Sicuramente i grandi investitori che sono riusciti a esportare i capitali più consistenti. "Questa situazione è il frutto di egoismi, errori e anche tragiche illusioni che partono dagli anni della dittatura militare" - ha detto recentemente Italo Moretti, per anni inviato del Tg2 in America Latina e osservatore attento della realtà argentina.

L’ex ministro dell’Economia, Domingo Cavallo.

Il gioco si è rotto tra la fine del 2001 e i primi mesi del 2002, dopo che il superministro dell’economia Domingo Cavallo, per evitare che le banche fossero svuotate dei risparmi, ha disposto il congelamento dei depositi bancari. A quel punto sono iniziati i disordini, i saccheggi ai supermercati, gli assalti ai forni (l’Argentina conosce di nuovo la repressione, i morti, viene dichiarato lo stato d’assedio), fino alla proclamazione da parte del presidente Eduardo Duhalde dell’emergenza alimentare nazionale e alla totale "pesificazione" dell’economia dopo 11 anni dall’approvazione della legge sulla convertibilità.

Quel provvedimento, voluto e fatto approvare nel ’91 dallo stesso Cavallo, prevedeva la parità uno a uno tra dollaro e peso: l’inflazione in questo modo è sotto controllo e dall’estero (Italia, Stati Uniti, Spagna) iniziano ad affluire quei capitali che avrebbero dovuto dare nuovo slancio all’economia argentina.

Gli ambienti finanziari, assieme al governo statunitense e a Wall Street, apprezzano. Ma la svolta neoliberista ha dei costi. La parità euro-dollaro consente di battere moneta nazionale solo in una misura pari alla quantità di valuta pregiata conservata nelle casse dello Stato. Ecco, allora, le grandi privatizzazioni, disinvolte quanto basta per generare scandali e corruzione. Vanno sul mercato istruzione, energia elettrica e servizi pubblici, si vendono le ferrovie. Operazioni che danno risultati soltanto nel breve periodo. Intanto però tutti i medicinali sono a pagamento, salta l’assistenza sanitaria e l’Argentina si risveglia più povera.

Gli scambi commerciali, inoltre, avvengono di fatto in dollari e questo, soprattutto con il boom economico degli Usa, danneggia le esportazioni che finiscono per crollare. L’Argentina è troppo cara, i suoi prodotti non sono concorrenziali. Ci sono tutte le premesse per una recessione senza precedenti, che è in atto ormai da quattro anni.

Il Fondo monetario internazionale (FMI) continua a concedere prestiti in cambio di "aggiustamenti strutturali", ma la situazione precipita. Il fragile sistema bancario vacilla. Domingo Cavallo, ex ministro di Menem, chiamato questa volta dal radicale Fernando De la Rua, vara un pacchetto di norme di austerità, fondate sul principio del "deficit zero". Tra queste, quella che riduce del 13% pensioni e salari e autorizza il congelamento dei depositi bancari a garanzia dei debiti del paese.

osì le banche vengono prese d’assedio. Nel frattempo lo Stato e le Province stentano a pagare puntualmente stipendi e pensioni. Un dollaro vale 3,7-3,8 pesos e quando lo Stato non può più stampare moneta compaiono buoni di dubbio valore e 16 tipi di moneta fittizia, i patacones. Risultato? Disoccupazione alle stelle e, per molti, linee telefoniche, luce e gas tagliati per bollette insolute e il 53% della popolazione sotto la soglia di povertà.

Secondo le stime del FMI quest’anno il prodotto interno lordo calerà del 16%. Nelle fabbriche dismesse della periferia di Buenos Aires si fa largo un’economia parallela basata sui "crediti". Una sorta di baratto che consente di non consegnarsi alla rassegnazione: un dolce fatto in casa vale due paia di calzini, una lezione di inglese si può scambiare con un taglio di capelli.

Il resto è storia di code all’ambasciata, di valigie che tornano su rotte conosciute. Qualcuno se l’aspettava, certo. Ma i piccoli risparmiatori noed è per questo che oggi vanno a battere con martelli, pietre o posate sulle porte blindate degli istituti di credito. "Non entrate qui, rubano" - scrivono sulle lamiere delle banche, ormai nere di strati di vernice coprente.

Nascono partiti improbabili e si raccolgono le firme per la proposta di legge di iniziativa popolare "per conoscere il patrimonio e i trascorsi" dei candidati alle elezioni e per ridurre del 30% il numero dei deputati.

Nelle regioni meridionali, ricche di risorse naturali, cresce la voglia di secessione da Buenos Aires: si sentono depredate dal governo centrale. Da gennaio ad agosto - è il ministero della Giustizia a comunicarlo - nel paese vi sono state 13.685 manifestazioni pubbliche. La rabbia colpisce il sistema bancario, i politici, il FMI (il cui acronimo è trasformato da chi protesta in Fondo Miserabile e Immorale) e la Banca Mondiale.

Certo, non è facile spiegare per quali vicissitudini un paese ricco di risorse naturali, quinto esportatore di alimenti nel mondo, sia sprofondato in questa crisi epocale. Tanto più se si è guadagnato la fama di "primo della classe" nell’applicazione delle ricette del FMI. E’per questo che libri come quello del premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz, uscito in Argentina con il titolo "El malestar en la globalizacion" sono alla sesta edizione in appena due mesi. "Il disastro argentino - dice l’ex vice presidente della Banca Mondiale - non si è prodotto per non aver ascoltato il FMI, ma proprio per averlo ascoltato".

E’ di questi giorni il braccio diferro che dovrebbe portare a nuovi finanziamenti da parte degli organismi internazionali. FMI e Banca Mondiale chiedono garanzie per accordare nuova fiducia al paese e nelle settimane scorse sono arrivati a proporre carte di intenti da far sottoscrivere a tutti i candidati alle presidenziali che dovrebbero tenersi il marzo prossimo. Il direttore generale del FMI Horst Koehler ha detto recentemente che l’Argentina è come una famiglia in cui nessuno si mette d’accordo. Inaffidabile. La risposta del ministro dell’Economia in carica, Roberto Lavagna, è stata secca: "Possiamo sopravvivere anche senza i vostri aiuti". E il Fondo, per bocca del vice direttore Anne Krueger, ha minacciato "serie conseguenze" per l’Argentina se non pagherà i debiti in scadenza.

In realtà ciò che il governo argentino vuole evitare è il ricorso alle riserve della Banca Centrale per far fronte alle scadenze. Lo fa ricorrendo all’unico strumento a sua disposizione in grado di infastidire i vertici degli organismi internazionali: la minaccia di non pagare, aprendo in questo modo una breccia nel granitico scadenzario di vertenze tra gli istituti finanziari e i paesi in via di sviluppo. Ma il prezzo - e il governo lo sa - sarebbe altissimo: l’Argentina sperimenterebbe un isolamento senza precedenti nel contesto globale, rinunciando automaticamente a nuovi crediti. Si assumerebbe il rischio di golpe speculativi, le importazioni diventerebbero quasi impossibili e la fiducia dei mercati crollerebbe. I beni argentini potrebbero subire una sorta di embargo in uscita. Una prospettiva difficile da immaginare, nonostante le deboli minacce di Lavagna: "Se non c’è un accordo, non pagheremo al Fondo".

E’ vero, tuttavia, che di tanto in tanto torna a far capolino la tentazione di sperimentare il cosiddetto "Piano B", l’alternativa genericamente conosciuta come Progetto Malayo. Il riferimento è alla Malesia, unico paese fino a oggi ad aver rispedito al mittente tutte le richieste del FMI. C’è un dettaglio da considerare, però: la Malesia optò fin dall’inizio per non ricevere aiuti dal FMI, l’Argentina, al contrario, ha un debito di diversi miliardi di dollari, alcuni già scaduti.

Intanto a essere chiamata in causa potrebbe essere la stessa Corte di giustizia dell’Aja per determinare la legittimità del debito estero argentino.

Secondo un pool di legali di diversi paesi ci sarebbero gli estremi per l’annullamento. Anche perché, come ha spiegato il leader del Comitato per l’annullamento del debito estero del Terzo mondo Eric Toussant, "l’Argentina ha registrato un enorme rialzo del suo debito durante la passata dittatura e su quelle cifre sono state effettuate le successive ristrutturazioni".

l presidente argentino Eduardo Duhalde.

Lo stesso presidente Duhalde nei giorni del vertice del G7 a Washington ha avvertito: "La gente deve sapere e gli organismi internazionali devono capire che se noi abbiamo riserve per 9.400 milioni di dollari, non possiamo pagarne 9.200 da qui a maggio. Credo che non sarebbe razionale svuotare le casse della nostra nazione". E ancora: "L’Argentina ha pagato quest’anno 3.800 milioni di dollari e 400 milioni di interessi sul debito senza ricevere un solo centesimo dagli organismi per programmi di assistenza sociale. L’unica verità è che noi stiamo uscendo da una depressione economica e che abbiamo pagato agli organismi internazionali più di quanto abbiamo ricevuto. Non potete annegarci, non potete soffocarci".

Alla fine la soluzione prospettata da Anoop Singh sembra prevedere due accordi: uno di transizione (per i prossimi 6-12 mesi), l’altro a lungo termine (2-3 anni).

Il direttore del dipartimento Emisfero occidentale del FMI ha riconosciuto gli sforzi sostenuti dall’Argentina negli ultimi mesi, ma li ha ritenuti "ancora insufficienti". E Koehler ha trovato un’altra immagine per il paese sudamericano: è come un bambino - avrebbe detto - che parla con suo padre dicendogli sempre di sì, ma tenendo le dita incrociate dietro la schiena.

Su una cosa gli emissari del FMI hanno ragione: la situazione politica è cosi deteriorata e intrisa di malcostume e corruzione da scoraggiare qualsiasi seria trattativa. Le figure in campo risultano inaffidabili. "La corruzione è la radice di tutti i problemi, il principale ostacolo alla democrazia e allo sviluppo" - ha detto il capo della diplomazia statunitense per l’America Latina Otto Reich. Si riferiva, tra gli altri, a Carlos Menem (ma non aveva il sostegno degli Usa?), che, pur essendo coinvolto in inchieste pesantissime (alcune sul traffico d’armi), gioca ancora un ruolo di primissimo piano nella corsa alla Casa Rosada. Suo avversario-nemico è il presidente Duhalde, che non si ricandiderà, ma che sta preparando la sua successione. In realtà i due sono entrambi peronisti, ma la lotta è aperta e senza esclusione di colpi. Anche perché in questo modo l’elettorato tende a polarizzarsi: "E’ interesse di entrambi, in modo che le mancanze abissali dell’uno facciano salire le azioni dell’altro", ha scritto recentemente James Neilson, ex direttore di The Buenos Aires Herald. In tutto questo i radicali (espressione della sinistra moderata) sembrano svolgere un ruolo marginale. Eppure la crisi economica e sociale deve fare i conti anche con una campagna elettorale senza regole (il 9 ottobre, tanto per dire, sono state sospese le primarie perché ritenute incostituzionali).

Lo scollamento fra politica e cittadini sta vivendo un picco storico. L’ultimo scandalo coinvolge alcuni senatori che avrebbero richiesto mazzette a banche estere che operano nel paese per non fare approvare una legge che avrebbe inciso negativamente sui loro bilanci. Si capisce, allora, perché lo slogan nazionale - a ogni manifestazione, su ogni muro, sulle copertine dei settimanali - inviti i politici e la classe dirigente a farsi da parte: "Que se vayan todos", tutti a casa, chiedono i correntisti esasperati e i piqueteros dei quartieri di base, i cacerolazos (le signore della classe media in piazza con le pentole) e le assemblee di quartiere.

Una protesta che appare dotata tuttavia di poche possibilità di successo. Anche perché non si organizza in forme di rappresentanza e non individua sbocchi politici. Ci sta provando Elisa Carriò, deputata dell’Ari, una sorta di Di Pietro in salsa argentina, ma l’operazione non è priva di insidie e di limiti progettuali. "Nel paese esiste una rete di corruzione che ha toccato tutti i partiti e la possibilità di cambiare è bassa" - ha detto Luis Moreno Ocampo, leader di Poder Ciudadano. E ha aggiunto: "Più che se ne vadano tutti occorrerebbe che tutti cambiassimo tutto. Questo è meno utopico".

Certo è che i politici godono di scarsissima fiducia nell’opinione pubblica. Sono eguagliati - e superati, se possibile - soltanto dagli organismi economici.

Chi prova ad analizzare la crisi sotto il profilo dei rapporti globali giunge a conclusioni sconfortanti. Nel corso del Foro Social Mundial che si è tenuto a Buenos Aires dal 22 al 25 agosto ("La crisi del neoliberalismo in Argentina" era il tema), Evo Morales, il campesino che ha sfiorato la presidenza della Bolivia nelle recenti elezioni, ha ricordato: "L’Argentina è l’esempio del paese che ha seguito tutte le ricette neoliberiste, l’Argentina è il modello da non seguire".

Il debito è immorale, hanno sostenuto gli esponenti del movimento e sul banco degli imputati è finito l’Alca (letteralmente significa Area di libero commercio delle Americhe), fortemente voluto dagli Stati Uniti e dal mondo imprenditoriale nordamericano che vedrebbero aprirsi nuovi mercati non intralciati da fastidiose reti protezionistiche. Il tentativo è quello di dare la spallata definitiva al Mercosur, l’area di libero commercio che unisce Argentina a Brasile, Paraguay e Uruguay.

Il Foro ha chiesto che le trattative siano condotte in modo trasparente e democratico, e non solo dai ministri economici o dai responsabi della Banca Centrale Molto dure le conclusioni di Morales: "Dicono che siamo terroristi, ma i terroristi sono coloro che applicano un modello di fame e miseria come la Banca Mondiale e il FMI. Organizzati e uniti, dobbiamo seppellire questo modello".

Il dibattito continua; non solo in Argentina.