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Giuseppe Mattei

La coincidenza ha voluto che Giuseppe Mattei se ne sia andato nei mesi immediatamente successivi alle celebrazioni per il quarantesimo della nascita di Sociologia a Trento. Coincidenza ha voluto ancora che nei giorni precedenti la sua morte arrivasse nelle nostre case la rivista del Museo Storico di Trento "Altre Storie", tutto dedicato alla storia della Michelin a Trento e che in quelle pagine, foto e scritti raccontino un capitolo importante, della vicenda sindacale ed umana di Giuseppe Mattei e di quanti con lui condivisero quella stagione di straordinarie trasformazioni economiche e sociali, (cui non corrisposero qui, almeno nei rapporti di forza fra i partiti, altrettanto consistenti modificazioni politiche) nel Trentino degli anni ‘60 e ‘70.

Giuseppe Mattei mentre parla al microfono agli operai. (foto Giorgio Salomon).

L’anno scorso se ne era andato anche Livio Labor, il presidente aclista che interpretò il concilio Vaticano II come un via libera alla rottura di ogni collateralismo delle organizzazioni sociali cattoliche rispetto alla Democrazia Cristiana, proponendo la scelta socialista delle ACLI. Profeta senza successo, venne in Trentino a spendere il suo ultimo periodo di appassionato inesauribile impegno politico cui seguirà, per lui, l’alacre impegno sempre nei mondi del lavoro all’ISFOL.

Il cambiamento, la rottura che i tempi preannunciavano matura, non poteva essere guidato in Trentino che da un uomo che era nato, cresciuto, formato per intero dentro la tradizione e le organizzazioni cattoliche, che negli anni Cinquanta erano un tutt’uno con la vita, la forza, la rappresentanza della DC. Lo raccontò lui stesso in un incontro a Sociologia fatto per capire e ripercorrere quegli anni: l’impossibilità per lui e per quelli della sua generazione, che si affacciarono alle prime esperienze sociali nel dopogiuerra , di distinguere fra impegno sociale, impegno sindacale e impegno politico nella DC.

Giuseppe Mattei riuscì a svolgere quel ruolo, diventando il sindacalista che coglie i tempi nuovi nel Trentino dei primi inurbamenti, in un’Italia che cambia velocemente. E’ l’Italia del centro-sinistra riformatore prima, del Sessantotto dopo: lui riesce a mettere in circuito i fermenti nuovi, il sindacato esce dal ruolo difensivo e subalterno degli anni ‘50, per diventare protagonista e segnare una stagione della storia italiana. L’autunno caldo, la strategia della tensione, il movimento studentesco. Tutto questo vivemmo in quegli anni in modo molto vivo anche qui, in un Trentino che fino a poco tempo prima era stato, sui temi della lotta sociale e culturale, una dimenticata periferia dell’impero.

La sorpresa e le contraddizioni del cambiamento furono enormi. Giuseppe Mattei portò sconcerto nel mondo del potere democristiano, che si trovò fra le punte di diamante del nuovo movimento e dei nuovi metodi di lotta sindacale, quello che era stato "uno dei loro". Lo ha ricordato con qualche aneddoto, ma in modo incisivo e sincero in questi giorni Giorgio Grigolli.

Ma Mattei portò sconcerto anche nella sinistra, di cui divenne parte, ma fortemente critica. La sinistra politica infatti, aveva svolto il difficilissimo compito di arginare le ondate reazionarie negli anni del centrismo, attraverso riti e metodi di lotta ora obsoleti, pesantemente messi in discussione dal nuovo movimento (sindacale e studentesco). E a tale sinistra riusciva arduo comprendere e capire la forza propulsiva di questo movimento, che ora la contestava e scavalcava, guidato da quel sindacalista cattolico, che qualcuno aveva avuto addirittura come controparte nel pur brevissimo periodo del Mattei amministratore comunale di Trento.

La forza delle cose e del movimento portò il sindacato tutto da una parte sola nella dura, concreta lotta di quegli anni. Certo, ci furono le dispute burocratiche fra confederazioni (Cgil, Cisl e Uil) e sindacati di categoria metalmeccanici (la Fim di Mattei, la Fiom di Schmid e la Uilm di Del Buono), quando questi diedero vita all’esperienza unitaria della Federazione Lavoratori Metalmeccanici. Lette cogli occhi di oggi quelle contese sembrano surreali; ma danno l’idea dello scontro che ci fu in quegli anni non solo con la controparte sociale e politica, ma anche all’interno delle strutture sindacali per affermare una nuova prospettiva di unità e di azione. Si scontravano, mondi, culture, modi di agire, di sentire la militanza sociale distanti anni luce, che nemmeno l’essere dalla stessa parte nella lotta quotidiana riusciva a cancellare o a smussare.

Il movimento sindacale divenne per una breve stagione un movimento di popolo, la forza acquisita nelle fabbriche e nelle piazze, si trasformò nel welfare trentino, con i maggiori diritti allo studio, alla salute, alla mobilità.

Le vecchie matrici del popolarismo cattolico di Giuseppe Mattei, accanto ad un inesauribile attivismo, capacità e disponibilità ad esserci, là dove era necessario, lo fecero riuscire nell’impresa socialmente e politicamente importante di rendere popolari, e in ogni caso comprese anche nelle valli, le lotte che si facevano nelle città, di superare, almeno socialmente, l’antica diffidenza tra le valli e i centri urbani.

Riuscì, sul terreno delle lotte, a fare il Trentino più trentino. E riuscì, quando i tempi cambiarono e quella storia volse qui al tramonto, ad essere sempre se stesso, a non diventare né reduce, né notabile, né semplice testimone di una importante stagione che fu.

Continuò a fare altrove il suo mestiere di sindacalista che crede, aiutando anche gli altri a credere, che al di là delle stagioni, dei successi e delle sconfitte, quando si combatte per la dignità degli altri si difende e si conserva anche la propria.