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Un referendum sbagliato

L’articolo18: giusto difenderlo, sbagliato estenderlo.

Era finita bene la vicenda dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Il Governo era partito lancia in resta per infilzare, sia pure con una puntura di spillo, un principio importante nei rapporti di lavoro. La sortita, se fosse riuscita, avrebbe reso i lavoratori dipendenti meno tutelati, più soli e precari, quindi più ricattabili, e smantellato il loro apparato difensivo, l’organizzazione sindacale. L’imponente mobilitazione dei mesi scorsi, sia pure con qualche screpolatura fra i vertici delle tre confederazioni, è riuscita a bloccare l’incursione governativa, ed il progetto eversivo ora giace inerte in qualche cassetto di Montecitorio.

Ma ecco che di articolo 18 si ritorna a parlare. Bertinotti, la Fiom, i Verdi e la Sinistra dei DS hanno promosso un referendum per estendere la tutela sancita dall’art. 18 anche alle aziende con meno di 15 dipendenti. L’iniziativa referendaria a me sembra sbagliata nel suo contenuto, e stolta per i suoi effetti politici.

Il diritto di tornare a lavorare proprio lì da dove il lavoratore era stato illegittimamente cacciato, sancito dall’art. 18, non è un privilegio ma nemmeno un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione. E’ semplicemente l’applicazione al rapporto di lavoro di un principio di diritto comune. In qualsiasi rapporto contrattuale ciascuna parte ha il diritto di esigere dall’altra, che sia inadempiente, l’esecuzione in forma specifica della prestazione dovuta. Se compro una cosa ed il venditore non me la dà, il giudice e l’ufficiale giudiziario hanno il potere di consegnarmela o di farmela acquisire coattivamente. Quando nel 1970 il Parlamento varò lo Statuto dei Lavoratori con il suo art. 18 disponendo che il lavoratore licenziato senza giusta causa doveva essere reintegrato nel suo posto di lavoro, non fece altro che estendere anche al rapporto di lavoro un principio che era già vigente in tutti gli altri rapporti di diritto privato.

Ma allora, si obietta da Bertinotti e compagni, come si spiega che tale regola viene esclusa, proprio dall’art. 18, per i lavoratori delle aziende minori, che cioè abbiano meno di 15 dipendenti? Non è questa differenza di trattamento una violazione del principio di eguaglianza? E quindi questa disparità non si risolve in una ferita all’art. 3 della Costituzione che garantisce l’eguaglianza fra tutti i cittadini? In verità non è così.

Infatti è opinione ormai consolidata che l’eguaglianza non si realizza con regole eguali per situazioni diseguali. La riserva dei posti nel pubblico impiego in proporzione ai gruppi linguistici residenti in Alto Adige è una regola formale non egualitaria che mira a realizzare un eguaglianza sostanziale tenendo conto del contesto reale in cui opera. La progressività delle aliquote di imposta, maggiori per i redditi via via più elevati, è un altro criterio diseguale dettato per tentare di raggiungere un’eguaglianza sostanziale. Le quote riservate alle donne nelle candidature, di cui si discute e che in parte si attuano, sono un altro caso in cui l’eguaglianza sostanziale si persegue con regole differenziate. Insomma l’eguaglianza formale talvolta confligge con altre esigenze meritevoli di tutela, e la sua imposizione può risultare contraddittoria con altri interessi pubblici o sociali prevalenti.

E'il caso delle piccole aziende. In esse il datore di lavoro è egli stesso lavoratore. Nelle medie e grandi aziende il lavoratore spesso non conosce nemmeno il padrone. Nelle aziende minori, al contrario, il rapporto di lavoro è intrecciato nel suo svolgersi con contatti personali con il titolare. In tali condizioni la considerazione della persona, del lavoratore e del datore di lavoro, con i suoi sentimenti e risentimenti, insomma nella sua privata soggettività, assume un decisivo rilievo nello svolgersi del processo lavorativo e quindi è destinata ad influire sulla sua efficienza. Già gli antichi romani definivano situazioni consimili con il termine "intuitu personae", e correlavano alla sua esistenza una particolare disciplina. Ecco perché l’art. 18 escluse il reintegro forzoso nel posto di lavoro del lavoratore licenziato senza giusta causa nelle aziende minori. E tale motivo conserva in pieno la sua validità.

Il referendum che si limita ad estendere la regola alle aziende minori è dunque sbagliato in sé. E’ stolto perché spacca la sinistra ed offre a Berlusconi l’occasione di una facile vittoria mobilitando dalla sua parte i numerosi padroncini delle partite Iva.

Naturalmente è ridicolo sospettare che Bertinotti lo abbia promosso d’intesa con Berlusconi. Ma se non lo ha fatto cinicamente ragionando, è semmai un’aggravante, perché il servizio glielo rende lo stesso e per di più gratis.

Ma perché lo ha fatto? Possibile che, intelligente com’è, non abbia capito ciò che ho capito anch’io, che lo sono assai meno di lui? Probabilmente egli sa che la sinistra non "antagonista" sarà imbarazzata. Sa anche che Berlusconi gongolerà. Accetta questi effetti nefasti perché l’iniziativa gli assicurerà quel 6% o 8% di consensi, l’aureola che gli basta a coltivare il suo incorreggibile narcisismo.