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QT n. 8, 17 aprile 2004 Monitor

Storie scellerate

"I bambini di via della Scala" di Ugo Chiti, crude vicende di ragazzi di un quartiere popolare degli anni '50.

Cinque vite sulla "cattiva strada", sospese tra fantastico e reale. Ugo Chiti le racconta con ironia e leggerezza, senza affondare in stereotipi la critica sociale. Gli episodi s’incastrano, stile "Decameron", in una struttura a cornice tessuta dai ragazzi d’un quartiere popolare anni ’50 di Firenze. Giovannino (Lombardi) è un diciottenne minorato, orfano di padre e legatissimo alla mamma, cui impedisce una nuova relazione. Stefano (Venturini) scimmiotta i momenti romantici o di maggiore suspense. Enrico (Costa) è il più tranquillo e studioso. Quasi donna, l’intraprendente Marcellina (Socci) scompare dopo le prime mestruazioni. Maurino (Dwerryhouse) spalleggia Stefano e, in segreto, si vende per mille lire al vicino cieco che gli ha insegnato a masturbarsi con lo sputo.

Da tale sfondo emergono le "storie di paura", non stupisce dunque che il fiabesco s’insinui nei meandri scabrosi di Storia e Psiche. L’amore è sacrificio, mutilazione, omicidio, persino cannibalismo… ne "La leggenda di San Giuliano", "Una mamma d’oro", "Il Principe Bestia" e "La sordida leggenda dell’avaro" si compie un solo perverso destino di incubi, malformazioni e plagi divini o infernali. Tra i momenti più appetitosi e "imbarazzanti", la prostituta Agnese in crisi d’astinenza per aver venduto la vagina: i fedeli pensano a visioni mistiche e adorano la "santa" in preda a un impossibile orgasmo. La mente viaggia lungo il filo delle citazioni: la bambola di piacere ricorda il "Casanova" di Fellini; il principe-cinghiale, che si dona a pezzetti all’amata, Boccaccio e De André ("Tancredi", "La ballata dell’amore cieco"). In più Salvianti declama il passo dantesco di Paolo e Francesca nella speranza d’addolcire la sposa ed essere baciato; come in "Elephant Man", John Merrick recita i versi di "Romeo e Giulietta". Ma non è tutto. Le musiche portanti, con tanto di balletti, sono "It’s Now Or Never" e "Surrender", cioè "’O sole mio" e "Torna a Surriento" cantate da Elvis Presley; l’avaro ricalca il Gobseck di Balzac più che Molière, il Diavolo le leggende popolari e il "convitato di pietra" di Mozart; Maurino fa il verso a Hitchcock, imitando i suoi commenti ai vecchi thriller televisivi, mentre il ferro da stiro è la versione casalinga del coltello nella doccia di "Psycho". Un topos popolare-letterario e cinematografico, poi, il defunto che bussa alla porta per riavere ciò che gli appartiene.

Ottimo il cast, specie Lombardi, perfetto nella voce e nei gesti impacciati, Francesco Mancini (la "mamma d’oro"), i ragazzi, Dimitri Frosali (il cieco), Massimo Salvianti (il principe), Giuliana Colzi (Agnese). Versatile e intensa Teresa Fallai. Intorno ai personaggi, scene a sipario rievocano, stilizzati, gli ambienti su cui domina il quartiere. La platea è la città e ciò dissuade dall’abdicare la nostra coscienza civile: le storie scellerate non accadono se non lo vogliamo.

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