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QT n. 18, 30 ottobre 2004 Servizi

L’Iliade: la guerra e il potere

Un appassionato dibattito, nato a partire dall’Iliade di Omero, che dopo 3000 anni ci riguarda ancora.

Un poema che è un monumento alla guerra, ne canta "la solenne bellezza e l’irrimediabile emozione, che era stata un tempo la guerra, e che sempre sarà". Questa, in brutale sintesi, la posizione (Repubblica del 14 settembre) di Alessandro Baricco sull’Iliade. Cui si è aggiunta e parzialmente contrapposta (Repubblica del 13 ottobre) quella di Eugenio Scalfari: quanto ci sottopone Omero "non è la scelta tra pace e guerra, ma il problema del potere".

Omero.

La guerra e un suo pur perverso fascino, il legame tra violenza e potere: temi di sempiterna eppur stringente attualità, dal Trono di sangue di Shakespeare e Kurosawa, al potere nasce dalla canna del fucile di Mao Dse-dong; fino all’odierno blood for oil, sangue in cambio di petrolio, anche nel senso il petrolio a chi versa il sangue (altrui).

Non stupisce quindi che a Baricco e a Scalfari si siano aggiunte tante altre voci ad animare un intenso dibattito; tanto più coinvolgente perché sono la Storia e la Poesia di tremila anni fa a parlarci dell’oggi, e ad appassionare ampie platee. Qui aggiungiamo la nostra voce.

Dunque la bellezza della guerra da una parte; e il potere dall’altra. Concordiamo, ma solo parzialmente, sia con Baricco che con Scalfari. A nostro avviso i due temi, indubbiamente centrali nell’Iliade, sono svolti dall’incommensurabile genio di Omero in maniera tale da portarci, partecipi e commossi, a tutt’altri approdi.

Vediamo il potere. E prendiamo le mosse non dall’Iliade, bensì dall’Odissea: poema – è ormai assodato – posteriore di circa un secolo, quindi composto da altra persona, che con il poeta dell’Iliade condivide solo una cultura generale.

Ulisse stermina i Proci.

Nell’Odissea il potere si identifica tout court con la violenza, brutale e sanguinaria. Ulisse ritorna a casa dopo vent’anni: è solo, sono morti tutti i suoi uomini, di cui egli, come capo assoluto, aveva la piena disponibilità e quindi completa responsabilità. Dopo vent’anni, con le spalle gravate dal tragico fallimento della sua spedizione, il potere deve riconquistarlo. Se lo riprende eseguendo una strage: uccide gli oltre cento pretendenti al suo trono, accampati in casa sua, che trasforma in trappola mortale. Uccide deliberatamente: trafitto con una freccia il capo dei pretendenti, Antinoo, gli altri si dichiarano disposti a riconoscergli la primazia, e a risarcirlo dei danni. Lui dice di no, li vuole tutti morti. Il potere deve basarsi sul sangue; solo la strage non metterà in discussione il suo primato, opinabile dopo gli esiti di Troia. Così li uccide ad uno ad uno. Passa a fil di spada i famigli conniventi. Impicca le ancelle che con i pretendenti si erano accompagnate. A questo punto si ribellano i parenti. Li affronta e uccide ancora. I suoi vorrebbero inseguire i superstiti: "Basta – li ferma – ci sono stati abbastanza morti". Alla buon’ora.

Ulisse per la sua gente si è rivelato un flagello: ha portato alla morte due generazioni. Il poeta si inchina di fronte a questa visione sanguinaria del potere: così deve andare il mondo, compito del poeta è cantare il più forte, Ulisse è un eroe.

Se questo è l’Omero 2, dell’Odissea, ben diverso è l’Omero 1, il cantore dell’Iliade. Anche qui vige lo stesso schema sociale: il capo, il re, è sempre il più forte. Idomeneo è il più forte dei Cretesi, Achille dei Mirmidoni, Menelao degli Spartani, Agamennone dei Micenei, Diomede di Argo, Aiace di Salamina ecc; unica eccezione il vecchio Nestore, che deve il perdurare della primazia alla propria saggezza. Ma non è un’eccezione significativa.

Il punto critico è un altro: il capo dell’alleanza, il re dei re, non è il più forte, bensì il più potente. Non è Achille, primo sul campo e re nella piccola Ftia, è Agamennone re di Micene, primo per uomini, navi, ricchezze. Di qui lo scontro tra il valore e il potere.

Achille.

Achille mal sopporta di dover essere subordinato a chi gli è più debole; Agamennone, a sua volta, non accetta limitazioni al proprio imperio. Ed ecco l’arroganza sempre più tracotante da una parte, l’insubordinazione fino alla rottura e all’abbandono della battaglia dall’altra.

Si sa come finisce. Agamennone è costretto ad umiliarsi offrendo ripetutamente scuse e doni riparatori. Ed Achille capisce la vacuità del primeggiare nell’uccidere, dell’inutilità di una vita a ciò dedicata; e trova pace solo di fronte al vecchio Priamo, nel sentimento di pietà, che è esattamente antitetico al furore guerriero.

Con la sua narrazione, Omero destruttura i valori fondanti della società guerriera: il potere brutale è cieco e controproducente; l’eroe ammazzasette è solo un giovane immaturo.

Mentre nell’Odissea tra il cantore e il re c’è un rapporto di subalterna complicità (Ulisse compie un unico atto di clemenza, risparmia il vecchio aedo Femio, "reo" di aver cantato anche per i pretendenti; e Omero 2 elogia tanta magnanimità); nell’Iliade invece Omero 1 si sente libero non solo di descrivere le debolezze dei potenti; ma anche di porre in discussione una società basata sulla bieca violenza.

Intendiamoci, Omero non è un pacifista. Esalta l’ardore e la forza. Tante pagine sono una sequenza incalzante, impressionante, angosciante, di decine e decine di uccisioni, minuziosamente eppur potentemente descritte nei dettagli. Ed è pure contraddittorio e perfino incoerente: nelle stesse righe canta la bellezza del gesto atletico del vincitore, ed esprime la più toccante pietà per il vinto.

Alessandro Baricco.

In tutto questo – ha assolutamente ragione Baricco – Omero esprime sentimenti profondi dell’animo umano, primordiali eppur reali: l’attrazione mista all’orrore verso il gesto dell’uccidere.

Ricordo quando, nella nostra redazione, Fabrizio Rasera, che allora studiava i diari dei soldati della Grande Guerra, dicesse come questi, assieme alle invettive più crude, alla disperazione più atroce, talora esprimessero un’autentica esaltazione della guerra, vissuta come esperienza grandissima e straordinaria. "A forza di studiare ti sei bevuto il cervello" - pensai allora. Ma avevo torto, non volevo vedere. "Ho fatto dieci anni di guerra, dalla Spagna all’Africa alla Russia – mi disse un giorno un signore, allora sessantenne, persona grigia e posata – E’ stata durissima. Ma li rifarei tutti da capo, a iniziare da domani."

C’è anche questo, dentro di noi.

Non meravigliamoci quindi, non nascondiamolo, se un poeta dell’ottavo secolo avanti cristo esprime questi sentimenti.

Il punto è però che Omero non si limita a questo. Se pur non nega, anzi è partecipe dell’esaltazione guerresca, al contempo ne sottolinea la vacuità attraverso - come abbiamo visto - lo stesso impianto del racconto: l’Iliade, come storia di Achille, è storia di un fallimento umano.

Ma non solo: l’Iliade è anche la storia di Ettore, la storia dei Troiani. E qui si apre un nuovo orizzonte: un’umanità diversa, dei rapporti sociali più civili.

Come sottolinea Scalfari, nell’Iliade, opera che celebra la propria nazione, il poeta in realtà parteggia per il nemico. Il monumento ai vincitori finisce con il celebrare i vinti: non è solo pietà, è sincera ammirazione per un’altra civiltà che si ritiene superiore. Al di là dell’esito bellico, che è dunque rifiutato come unico parametro di giudizio.

Ettore, fra il padre Priamo e la madre Ecuba, indossa le armi.

E’ una civiltà in cui la donna ha una centralità inaspettata. Non tanto la singola, la regina Ecuba, o la moglie di Ettore Andromaca; ma l’insieme delle "severe donne di Troia", che simboleggiano einterpretano l’insieme della comunità. E’ per salvarle che si combatte: "E chi di voi deve morire, muoia! Ma avrà salvato le sue donne, la sua città, la sua gente!" - urla Ettore ai suoi nel momento cruciale della battaglia. L’eroe, il capo supremo e indiscusso dell’esercito troiano, ha con le donne della sua città un rapporto di affettuosa vicinanza: quando in una pausa della battaglia torna dentro le mura, "le spose gli corsero incontro e le figlie; e gli chiedeva ciascuna dei figli, i fratelli, i consorti, d’ogni parente". Agamennone le avrebbe scacciate, Ettore invece "a ciascuna rispose"; pur con cortesi frasi generiche, che esplicitano una forte comprensione umana più che rassicurare, tanto che "molte restaron col lutto nel cuore".

Questa comunanza di sentimenti, il fortissimo senso di appartenenza ad una comunità in pericolo, è la forza potente che spinge i Troiani in battaglia: "Sono più deboli, sono in molti di meno, eppure vincono" - riconoscono sgomenti i burbanzosi capi Achei.

E di qui anche il concetto di responsabilità del capo: "Dei Troiani, delle donne troiane, troppo temo il giudizio" - in più occasioni confessa Ettore. Che quando sbaglia, se ne assume la responsabilità: sceglie di non ritirarsi, di affrontare in campo aperto i Greci rafforzati da Achille, porta i suoi a una disastrosa sconfitta, e conseguentemente decide di pagare di persona. "Ora che tanta gente vedo io per mia colpa caduta", non se la sente di ritornare in città, e lucidamente preferisce affrontare il più forte Achille in duello: se vincerà avrà ribaltato le sorti della guerra, se soccomberà avrà pur dato ai suoi l’esempio.

E probabilmente ha ragione lui: i Troiani, anche dopo la sua morte, militarmente non saranno vinti, protetti dalle mura ma soprattutto dalla reciproca solidarietà: solo l’inganno li perderà.

E’ forse portato all’estremo, ma quello di Ettore è il senso di responsabilità del capo di una comunità. Esattamente l’opposto di Ulisse, che invece i disastri li copre con una strage ulteriore. A Itaca è re colui che la comunità la sottomette; a Troia il re ne è espressione.

Potremmo continuare con gli esempi: sono molteplici gli episodi in cui Omero ci parla di una civiltà diversa, in cui i capi sanno essere forti eppur gentili; e la comunità sa chiedere a loro decisione, ma anche responsabilità.

Non è un caso se, come rievoca Scalfari, i ragazzi quando leggono l’Iliade parteggiano per il pur perdente Ettore. O se, nelle battaglie del commerciale ma dignitoso kolossal "Troy",il pubblico del 2000 si accende ogni volta che prevalgono i Troiani. Non è un caso.

Io penso che sia anche perché, dalla distanza di 2700 anni, ci viene un messaggio di immenso e disperato dolore; ma al contempo di speranza.

Oggi attuale come allora. Un’umanità più giusta e più gentile la stiamo pur sempre cercando ancora.

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Terrorismi piccoli e grandi
In altri numeri:
La guerra di Troia da Omero a Hollywood
“La mia Iliade”
Ivan Ferigo

Commenti (2)

ettoreparis

Scusa Katia ma... quanti anni hai? Queste tue righe mi sembrano denotare una scarsa dimestichezza con la storia, la letteratura (anche con la scrittura) penso imputabile alla giovane età. Il che di per sè non è un problema, anzi, internet ha questa caratteristica profondamente democratica, di mettere a contatto persone di esperienza e cultura anche molto diverse. Però... però dovresti avere un po' più di attenzione: mi sembra poco saggio che ti metta a lanciare sgangherate ed offensive accuse a chi con ogni probabilità ha sulle spalle molta ma molta più esperienza e studio di te.
Veniamo alla sostanza. 1) Il mio non è un riassunto del riassunto, è un'interpretazione storica del variegato messaggio omerico: sono due cose molto diverse. 2) Parli di "falsi": immagino tu intenda riferimenti errati a episodi dell'Iliade. A cosa ti riferisci? Ti prego di essere un po' precisa. 3) Parli di "copia da altri siti internet". Anche qui, di cosa parli? Ti prego di citare il mio passo e la fonte da cui l'avrei "copiato".
Katia, non sono un tuo compagnuccio di scuola: da oltre trent'anni pubblico articoli, saggi, libri, lavori teatrali, partecipo a dibattiti e conferenze. Non "copio", non ne ho bisogno, se ho da dire qualcosa di mio, scrivo, altrimenti, se leggo qualcosa di interessante, lo riporto citando la fonte, come fanno tutti i professionisti della divulgazione.
In ogni modo tu pensi il contrario: a questo punto a te l'onere della prova.

KATIA MOLESINI

GUARDA TUTTO QUELLO KE HAI SCRITTO è FALSO MIO PADRE è UN GRANDE SCRITTORE E DA GENERAZIONI IN GENERAZIONI I MIEI NONNI BISNOONNI ECC... SN SCRITTORI QUELLO CHE HAI SCRITTO DELL' ILIADE è TUTTO FALSO IO PERSONALMENTE L'HO LETTP 12 VOLTE IN 3 MESI HO LETTO LA RIPRODUZIONE PER
BAMBINI DI 7 -10 ANNI DI MIO PADRE ED è 1000 VOLTE MEGLIO DI TUTTE QUELLO CHE TU HAI SCRITTO DICO GRAN LUNGA PERCHè QUEL LIBRO ILIADE PER BAMBINI DAI 7-10 ANNI è MOLTO INFANTILE PERò SAPPILO LE COSE NN SI CERCANO E SI RICOPIANO MA SI STUDIANO PERCHè GLI ERRORI CHE HO TROVATO NEL RIASSUNTO DEL RIASSUNTO DEL RIASSUNTO DEL BRANO QUI SOPRA PERCHè NON SI PUò DEFINIRE STORIA LE HO TROVATE IN ALTRI SITI INTERNET ORA IO NON TI VOGLIO OFFENDERE PERCHè NON è GIUSTO MA LA PROSSIMA VOLTA CERCA DI NON COPIARE NIENTE BUONA GIORNATA A TE W ALLA TUA FAMIGLIA DA KATIA MOLESINI ARRIVEDERCI
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