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QT n. 3, 12 febbraio 2005 Servizi

Un Nanni Moretti per il centro-destra!

Elezioni comunali, centro-destra allo sbando, come d’uso. Con questi dirigenti, quando mai potranno vincere? A colloquio con un militante di base e un aspirante segretario scippato del congresso.

Undici candidati bruciati, secondo la contabilità di alcuni, dodici secondo altri: la Casa delle Libertà non riesce a trovare il candidato sindaco per Trento. Alcuni candidati ci hanno pensato i partiti a liquidarli: per litigi tra loro, o al loro interno. Ma la maggior parte ha rifiutato l’offerta, "per problemi famigliari" hanno diplomaticamente motivato; in realtà perché la partita contro il sindaco Pacher è senza speranza, e la congrega dei partiti del centro-destra non è un supporto qualificante. Vuoi perché Berlusconi non ammalia più; perché le sguaiataggini leghiste hanno stufato; perché An e Udc non fanno altro che litigare al loro interno. Ma soprattutto perché il centro-destra non sembra avere una linea caratterizzante né una proposta credibile.

Così ormai ad ogni elezione si assiste a questa ricerca affannosa di candidati minimamente credibili: alle provinciali del 2003 contro Dellai il centro-destra impiegò mesi e mesi, con i dirigenti che sempre assicuravano di avere in tasca un nome dirompente, per poi ripiegare sull’ex presidente Carlo Andreotti del Patt e venire sonoramente sconfitti; ora a Trento il candidato dell’aggregazione proprio non si trova ed ogni partito avrà il suo candidatino di bandiera; a Rovereto scende in campo l’ex-consigliere Valduga, ma ha subito chiarito che lui con il Polo non c’entra, e Forza Italia si trova ridotta a chiedergli se, per favore, accetta i suoi voti.

Insomma, dopo dieci anni dalla mitica "discesa in campo" del ’94, il centro-destra trentino si trova privo di credibilità alcuna. Non solo non ha i Formigoni, gli Albertini, gli Storace, che altrove rappresentano un punto di riferimento per tutti; ma neanche ha nomi più modesti o controversi, come i Guazzaloca a Bologna o i Fitto a Bari o i Gentilini a Treviso, che comunque, nel bene e nel male, hanno espresso personalità e marcato una linea politica chiara e decisa.

Tutto questo, lo abbiamo scritto più volte, non è un bene. Non è positivo che nella contesa politica ci sia un candidato e un partito unico, perché l’altro fa venire da ridere. Questo non giova alla democrazia, al confronto delle idee, e nemmeno al sindaco o al presidente in carica, che rischia di adagiarsi nell’impunita tranquillità di chi sa di non avere avversari.

Per questo sarebbe bene che il centro-destra si svegliasse. Forse ci vorrebbe un Nanni Moretti di destra, che a una riunione pubblica salisse sul palco e gridasse,(La sera in cui la nomenklatura rimase nuda) tra gli applausi dei militanti, "Con questa burocraxia non vinceremo per tre generazioni!".

Ma c’è questa passione nel centro-destra?

Forza Italia: il militante Giovanni Tomasi

Su questi temi abbiamo intervistato un militante della prim’ora di Forza Italia. In politica dal ’94 "perché berlusconiano convinto, allora come oggi", Giovanni Tomasi è stato promotore, nella seconda metà degli anni ’90 del Comitato SeVeVa (Semaforo Verde per la Valdastico) ed è presidente del Forza Trento Nonsoloclub (su Internet: forzatrento. interfree.it), editore del libro "Punto e a capo", acuta rassegna autocritica di dieci anni di Forza Italia trentina (vedi Forza Italia in Trentino: 10 anni formidabili?).

Giovanni Tomasi.

"Concordo con il giudizio critico sulla situazione attuale: di fatto la Casa delle Libertà non c’è - ci dice - Una vera coalizione la abbiamo formata solo nel 2000-2001, quando Santini è riuscito a coagulare tutti i partiti attorno alla sua candidatura".

Ma è una questione di uomini o di linea politica?

"L’uno e l’altro. Sono gli uomini che fanno la linea".

Eppure ci sono state linee molto differenziate: tra il primo segretario Perego e l’attuale, Malossini, le visioni solo decisamente diverse.

"Perego ha gestito il partito con l’inesperienza di un giovane, ed ha portato alla digregazione della Cdl. Malossini al contrario ha portato l’esperienza, ed è stata un’evoluzione positiva".

Soprattutto Malossini ha indirizzato Forza Italia verso l’area di centro, snobbando gli alleati.

"Cerca di recuperare l’area di centro: e ci sta riuscendo: molti transfughi sono tornati. Parallelamente si cura meno delle frange estreme della coalizione. L’obiettivo è creare il Partito Popolare Europeo a livello locale".

Il suo interlocutore privilegiato è la Margherita: si critica Dellai, ma solo perché è alleato della sinistra. Basta a caratterizzare l’opposizione?

"Essere contro la sinistra è la prima nostra caratterizzazione. E’ la condizione da cui non si può prescindere".

Ma non è una cosa tutta e solo ideologica? Per esempio, nel Comune di Trento. Il sindaco Pacher lo attaccate - e a ragione - perché ha detto sì all’inceneritore e no ai parcheggi di attestamento. Ma queste posizioni le ha prese perché pressato dalla Margherita. Le sembra questa vostra una posizione coerente, forte?

"E’ molto forte. Poi, se la sinistra ha ragione su qualche argomento, glielo riconosciamo, ma il discorso generale non cambia".

Però è una posizione poco convincente. Perché mai l’elettore dovrebbe votare per voi invece che per Dellai? Solo perché lui come vicepresidente ha Margherita Cogo?

"Non è questione della Cogo come persona, è l’essere alleati con la sinistra, che è una pregiudiziale robustissima".

Ma basta perché si voti per voi? Non occorrono altre differenziazioni?

"La differenza è che Dellai gestisce il potere, e Forza Italia no".

Il che è a favore di Dellai.

"Purtroppo sì. Il giudizio del cittadino è inquinato dalla gestione dei contributi, soprattutto in Trentino".

Appunto. Voi non avete alcuna attrattività. Se quello che sapete dire è: vota per me perché non ti posso dare contributi…

"C’è un altro aspetto. Noi non siamo vincolati dai Ds. La PiRuBi potremmo farla senza subire veti".

Vediamo i risultati della gestione Malossini. Da Trento a Rovereto non riuscite a trovare un candidato. Anche Valduga vi tiene a bagnomaria. Se tutti vi prendono a schiaffi, una ragione forse c’è.

"Malossini non è ancora riuscito a mettere in piedi un’aggregazione di successo. Da un anno è coordinatore regionale, ed ha impresso una direzione sicuramente diversa da quella di Giancarlo Innocenzi (sottosegretario alle telecomunicazioni, n.d.r.): il fatto è che lui la politica la vive qui, non a Roma".

Dodici mesi non sono pochi: la linea di tendenza si vede, e non è un compattamento della Cdl, bensì il suo contrario.

"Il fatto è che An ha al suo interno tre fazioni, nella Lega litigano di continuo, l’Udc annulla il proprio congresso. Forza Italia è l’unica forza coesa, pur con un sano confronto interno, ma in questa situazione la Cdl non è credibile".

Però per Malossini An e Lega sono degli interlocutori assolutamente secondari: il principale è la Margherita.

"La convergenza al centro è l’obiettivo finale. Intanto bisognerebbe andare d’accordo con gli alleati. E qui è il problema, soprattutto perché questi non sono d’accordo tra di loro".

Non ci vorrebbe un Nanni Moretti di destra? E’ trasferibile nel vostro campo la sua invettiva contro l’apparato dirigente?

"Con i dirigenti di FI non ci sono problemi. Vedo invece che con quelli degli altri partiti non si può parlare, perché continuamente impegnati a litigare tra loro".

UDC: Marcello Carli, aspirante segretario

Emblematico della crisi del centro-destra trentino, e al contempo punto di degenerazione della politica, è la situazione dell’Unione di Centro. Il partito, che a Roma ha il volto moderato e rassicurante di Marco Follini e Pierferdinando Casini, a Trento è lacerato tra due fazioni, facenti capo l’una al senatore Ivo Tarolli e al segretario Giorgio Cattani, l’altra al consigliere provinciale Marcello Carli e al boss dell’Unione Commercio Mario Oss.

Il consigliere provinciale Marcello Carli (Udc).

Carli, che oltre ad essere ammanicato con i culi di pietra come Oss, è anche un giovane di belle speranze e dall’ingegno vivace, si era candidato ad anti-Pacher nella corsa a sindaco di Trento: candidatura condivisa, sia pur senza particolari entusiasmi, dall’insieme della coalizione, ("E’ il candidato giusto per perdere con dignità"), però brutalmente stoppata dal suo partito, o meglio dalla fazione Cattani-Tarolli, che non sopportava la conseguente visibilità per l’avversario interno.

Non solo. Quando Carli si è candidato a segretario del partito, il segretario uscente Cattani, una settimana prima del congresso, annullava lo stesso, spostandolo alle calende greche. Cosa che probabilmente è dentro al legalità, ma sicuramente fuori dalla democrazia. Ne parliamo con lo stesso Marcello Carli.

Come sono possibili dinamiche del genere?

"Non lo so, io lo ritengo un provvedimento molto grave. Un congresso già indetto viene annullato da parte di un organismo monocratico (formato da una sola persona, il segretario n.d.r.) che poi si fa avallare la decisione dal Comitato provinciale a quattro giorni dalla data del congresso…".

Ci faccia capire meglio.

"L’Udc, dopo le elezioni regionali, visto il mio ingresso e quello del consigliere Morandini, aveva deciso l’estensione del Comitato Provinciale anche alle due nuove componenti, con la cooptazione, oltre ai 20 membri precedenti, di altri 40, facenti riferimento a me e a Morandini. Era un accordo verticistico, provvisorio, il Congresso avrebbe dovuto eleggere il nuovo Comitato. Solo che il Congresso non c’è stato, i sostenitori di Morandini e di Cattani hanno votato per questo rinvio indeterminato".

Ma è una cosa legale?

"Ho posto il quesito agli organi di garanzia romani. Aspetto la risposta. "Roma può prendere due decisioni: 1) aderire alla posticipazione del congresso, ma a data certa; 2) commissariare Trento, nominando un commissario che indica il congresso".

La decisione romana dipenderà da motivazioni giuridiche (chi ha ragione, chi torto) o politiche (tra Carli e Cattani, chi serve di più)?

"Dal punto di vista giuridico ho ragione io. Da quello politico Roma può decidere di non commissariare, facendosi garante di una convocazione del Congresso tra qualche mese, non tra qualche anno".

Questo caso non ripropone il problema della democrazia? Che in Italia è incardinata nei partiti, che però al loro interno non è detto che siano democratici.

"Non sono d’accordo. Negli statuti dei partiti ci sono gli elementi di salvaguardia. Il problema sorge quando qualcuno abusa dei regolamenti per bypassare le pratiche democratiche".

Guardiamo alla storia. Nei partiti le procedure democratiche sembrano un optional: nel Patt la magistratura ha appurato che le tessere erano false, ma ha pure deciso che tale comportamento è legittimo. Ripeto: noi affidiamo la democrazia ad organismi che possono tranquillamente non essere democratici; e molto spesso non lo sono proprio.

"Quello del Patt è un caso. Perché uno distorce le regole non è detto che tutti lo facciano. Non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca. Inoltre: la garanzia della democraticità sta nel fatto che da un partito si può uscire".

Non mi pare una prova di grande democrazia.

"La mia è una provocazione...".

Passiamo ai contenuti. Tra lei e il segretario Cattani c’è differenza di contenuti o è una questione di concorrenza interna?

"E’ assolutamente una questione di contenuti. Io sono il fautore di un’alleanza organica con Forza Italia e Trentino Autonomista (in pratica l’ex-presidente Carlo Andreotti): dar vita al PPE, aggregare le forze di centro alternative alla sinistra, e su questa base aprire un dialogo con la Margherita. Cattani non è d’accordo, ha un rapporto più sfumato con FI, ma non propone alternative".

Insomma, volete rifare la Dc?

"Non voglio rifare niente, non ha senso riproporre modelli che non ci sono né possono esserci più, e il partito moderato di ispirazione cattolica è tra questi. La mia visione intende mettere insieme forze che hanno una visione comune, e tra queste c’è il Patt, che con la Dc non ha mai avuto niente a che fare".

Mi sembra un discorso da topografia partitica, che prescinde dai contenuti. Vediamone uno, il clientelismo, eredità Dc forse non in linea con la società del 2000…

"Anche nella Dc ci fu un grande confronto sui modelli di sviluppo; non svalutiamone i meriti, ha saputo su obiettivi condivisi fare squadra, risollevando l’Italia dalle rovine del dopoguerra. Oggi si tratta di ripensare il ruolo dello Stato rispetto alla società, con l’attuale debolezza della forza pubblica e il nuovo protagonismo delle realtà sociali, che ha portato a una maggior articolazione nella comunità (associazioni, sindacati, ecc.) dei luoghi di potere. Ne consegue la necessità di un’impostazione più liberale, e di un nuovo ruolo dell’ente pubblico, come definitore e garante delle regole".

Ma su queste cose che senso ha la rigida discriminante verso la sinistra? Su liberalizzazione e regole, chi ha le carte a posto, Berlusconi o Bersani?

"Qui non ho a che fare con nessuno dei due, ma con Malossini e con Bondi. E vedo che in Trentino i dipendenti pubblici sono 42.000: io voglio rapportarmi con le forze che questa macchina intendono ridurla".

E’ questa la discriminante?

"Sì. E al di là delle dichiarazioni di Dellai, l’evidenza storica ci dice che questi anni di centro-sinistra, dal ’93 ad oggi, hanno portato ad un incremento dei dipendenti pubblici".

Eppure il suo collega di partito senatore Tarolli vorrebbe che la Provincia avesse la sua Banca…

"L’ente pubblico deve stare fuori dalle banche".

Ancora sulla sinistra: l’unico governo in cui la sinistra abbia contato, l’Andreotti 2, si era caratterizzato proprio per progetti di decentramento e riduzione della spesa pubblica.

"Non mi sembra questo l’orizzonte della sinistra. Per esempio io ritengo che le opere pubbliche che possono essere collocate sul mercato non debbano essere realizzate dall’ente pubblica, vedi la galleria del Peller".

Quindi propone l’introduzione di ulteriori pedaggi?

"Certo. Le gallerie devono essre mantenute da chi le usa, non da chi non le usa".

Forse una differenziazione c’è sull’ambiente.

"Certo: tra chi vuole musealizzare il territorio, e chi ne ha una visione più flessibile".

Dice questo quando siamo fermi per le PM10?

"Lì si doveva intervenire arrestando le macchine con i parcheggi di assestamento".

Forse servono soluzioni più radicali: meno autostrade, più trasporti pubblici.

"No. L’automobile è il mezzo più flessibile, al contrario delle ferrovie, che inoltre sono difficili e lunghe da realizzare. L’opzione ferro è sbagliata: se venisse realizzata, alla sua attuazione noi avremmo in parallelo le automobili all’idrogeno con inquinamento zero, che renderebbero obsoleta la ferrovia appena terminata".