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QT n. 10, 21 maggio 2005 Servizi

Un De Gasperi fuori dalla Storia

A proposito della fiction televisiva sullo statista democristiano. Proprio l’agiografia e la semplificazione storica fanno perdere carica drammatica al racconto, e non rendono giustizia a una personalità grande proprio perchè complessa.

Leggiamo che il presidente del Consiglio della Provincia di Trento è stato in questi giorni a Berlino per illustrare la figura di Alcide De Gasperi in un convegno internazionale. Il nostro auspicio è che sia riuscito a descrivere la figura di uno dei grandi uomini dell’Italia contemporanea con più credibilità ed efficacia di quanto abbia fatto la Rai col filmato trasmesso il 25 aprile. Una fiction che ha avuto ampi, mielosi consensi, ma che non ci ha convinti.

Il vero De Gasperi e, sotto, quello della fiction.

Di più, a nostro avviso le sue troppe cadute agiografiche su De Gasperi e descrizioni macchiettistiche dei suoi avversari e antagonisti non hanno reso nemmeno giustizia alla figura del leader cattolico.

Quindi, se da un punto di vista strettamente tecnico, di prodotto cinematografico di massa, come ha rilevato Alberto Brodesco su queste pagine nel numero scorso (De Gasperi fra Dio, Patria e Famiglia), il lavoro è dignitoso, dal punto di vista del profilo storico, ci sembra molto carente.

Non solo: proprio l’agiografia, il presentare De Gasperi come sempre uguale e fedele a se stesso, sempre nel giusto, impediscono da una parte di coglierne appieno lo spessore morale, che si tempra attraverso gli errori e il loro riconoscimento; dall’altra precludono uno sviluppo drammatico alla narrazione, sostanzialmente piatta e financo noiosa, mentre la vicenda anche politica di De Gasperi è stata costellata di cadute, di dure lezioni, di capacità di apprendere dagli errori, rialzarsi e andare avanti. I fatti, insomma, sono stati più drammatici della fiction, la storia più avvincente dell’agiografia.

De Gasperi ha vissuto la sua esperienza umana e politica in tempi di intemperie politiche e di sommovimenti istituzionali drammatici: è passato da suddito dell’imperial regio stato degli Asburgo al regno dei Savoia, dall’autoritario e paternalista governo austriaco alla dittatura fascista, è stato protagonista della nascita della Repubblica e leader dell’Italia del secondo dopoguerra. Com’è possibile, anche per una trasmissione dai chiari intenti di divulgazione popolare, descrivere una vita dai momenti così complessi e contraddittori attraverso un percorso lineare e scontato nel suo divenire, dalle prime battaglie in terra trentina fino alle ultime tribolate vicende governative e interne al suo partito?

Com’è possibile parlare del De Gasperi trentino nei primi anni del ‘900, delle sue battaglie sociali e culturali senza fare nemmeno fugace menzione dei suoi antagonisti locali, i socialisti e il loro leader Cesare Battisti (e il demagogo Mussolini, allora socialista paracadutato in Trentino), che ne condizionarono e contrastarono vivacemente azione e propositi?

Come si può rappresentare la tormentata evoluzione di De Gasperi rispetto alla questione ebraica in Europa solo attraverso l’edificante episodio dell’acquisto di tessuti nel negozio di un ebreo romano discriminato dalle infami leggi razziali e non ricordare che questo approdo partiva dalle torbide posizioni antisemite proprie della cultura cattolica dei popolari austriaci all’inizio del secolo di cui si ritrova eco negli scritti di De Gasperi di inizio secolo?

E’ operazione di corretta divulgazione rappresentare De Gasperi intransigente antifascista dopo il delitto Matteotti e per tutto il resto della sua vita e non ricordare i tentennamenti e le ambiguità del Partito Popolare dopo la Marcia su Roma che portarono addirittura alla presenza nel primo governo Mussolini di ministri e sottosegretari cattolici?

Parlare anche di questo non era sminuirne la figura. De Gasperi e i popolari non furono soli nell’atteggiamento attendista verso il primo fascismo: lo fu Salvemini che non se lo perdonò per tutta la vita, lo fu Ernesto Rossi che si riscattò con dieci anni di galera fascista, lo furono tanti esponenti del movimento sindacale riformista. E d’altronde senza quegli attendismi e ambiguità il fascismo non sarebbe passato e non si sarebbe trasformato in regime.

Ma proprio quegli errori, quella responsabilità, segnarono profondamente la cultura del politico trentino. Che infatti si riscattò non solo attraverso l’antifascismo, ma anche nel dopoguerra, quando con grande coraggio e coerenza rifiutò l’abbraccio con i neofascisti (in chiave anticomunista) pesantemente sponsorizzato addirittura dal Vaticano (e quest’ultimo è stato uno dei passaggi storici meglio evidenziati dallo sceneggiato, con grande resa drammatica e al contempo un certo – rapportato ai tempi - coraggio politico: da lì, dalla priorità dell’antifascismo sull’anticomunismo, nasce l’ostilità del centro-destra, che ha fatto parcheggiare per mesi la fiction, ritardandone il più possibile la messa in onda).

De Gasperi fu di fatto il solo politico italiano con una chiara visione europea ed ebbe per questo l’apprezzamento e l’appoggio di uomini che gli erano lontanissimi per cultura, ma che ne apprezzavano l’onestà e la lungimiranza sul tema Europa, come Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, gli autori del "Manifesto di Ventotene".

Ma la vicenda politica italiana seguita alla caduta del fascismo, alla proclamazione della Repubblica, agli anni della rottura tra le forze antifasciste e della guerra fredda non può essere presentata agli italiani come uno scontro tra un De Gasperi che in solitudine aveva ragione e antagonisti politici come un Nenni accecato da ottuso massimalismo e un Togliatti freddo uomo venuto da Mosca.

De Gasperi si trovò dalla parte giusta della storia, ma il prezzo pagato dai ceti popolari per la sua politica interna fu altissimo, provocò rotture che non si sanarono mai, anche dentro la DC, con l’abbandono di Dossetti; e i celerini di Scelba (ministro degli Interni) non furono un’invenzione della propaganda di sinistra. La stessa legge truffa del 1953 non può essere vista come la riforma antesignana degli assetti della seconda repubblica, ma come un restringimento di spazi di democrazia, già ridotti all’osso in quei grigi, duri anni Cinquanta.

Una storia, una grande complessa vicenda politica quella di De Gasperi; la cui statura è stata resa più evidente da quella, più misera, sia sul piano politico che morale, dei suoi successori.

Non sarebbe stata scalfita se, pur nel modo elementare che si dice una fiction richieda, si fossero evitate troppe omissioni e semplificazioni.

Infine un ultimo appunto: il rapporto con l’ambiente, la natura, il paesaggio, che da buon trentino De Gasperi ebbe fortissimo: anche nei resoconti dei suoi viaggi, buona parte è dedicata non alla politica, ma alla descrizione dei paesaggi, delle città, delle persone, dei territori. Nella fiction, invece, il politico sedicente montanaro sembra non si accorga di quello che gli sta attorno: quando passeggia nell’ancora incontaminata Val di Sella, vien voglia di urlare all’operatore di allargare l’inquadratura, di far vedere i monti e i boschi, lo spazio segnato dalle rocce e dai dirupi che fatalmente segna anche l’animo degli abitanti. E invece niente, si insiste su insignificanti primi piani.

Sarà meglio che la prossima volta (che speriamo ci sia) la Provincia, nello sponsorizzare un’analoga iniziativa, raccomandi, se non un approccio meno elementare alla storia (che è sempre opinabile), almeno un utilizzo più adeguato del paesaggio.