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QT n. 18, 29 ottobre 2005 Monitor

Santiago Sierra alla Civica di Trento

Il labirinto bianco, come esperienza claustrofobica per uno spettatore solo: questo il lavoro presentato a Trento dallo (spesso molto provocatorio) artista spagnolo.

"Una persona" è il titolo dell’intervento site specific di Santiago Sierra, visitabile alla Galleria Civica di Trento fino al 15 gennaio prossimo. Santiago Sierra è nato a Madrid ma risiede a Città del Messico da una decina d’anni. I suoi lavori sono spesso come pugni allo stomaco che hanno al centro la critica alla società dell’economia globale, del libero mercato, del precariato e delle frontiere armate.

Ecco alcune delle sue più celebri e provocatorie performance: sei disoccupati di La Havana pagati per farsi tatuare una linea di 250 centimetri sulla schiena (1999); 133 ambulanti abusivi pagati per farsi tingere i capelli di biondo (Biennale 2001); 10 persone pagate per masturbarsi in pubblico (2000); una coppia di drogati pagata con una dose d’eroina per farsi rasare una striscia di capelli (2000). A volte il tema del salario irrompe anche nella critica al sistema dell’arte: nel 2000 pagò ad esempio 68 disoccupati per bloccare l’ingresso di un museo coreano, innalzando cartelli su cui era scritta la paga percepita per quell’azione. Alla 50a Biennale veneziana, riflettendo sul tema dell’immigrazione, consentì l’ingresso al Padiglione spagnolo solo alle persone con passaporto iberico, mentre all’ultima edizione ha presentato un’installazione in cui una voce scandiva i dettagli economici della Biennale, riducendola a mero business…

Nel lavoro presentato alla Galleria Civica ad essere coinvolto è invece il singolo spettatore, perché l’esperienza che viene proposta è assolutamente personale, primaria, per certi aspetti perfino atavica. Si tratta di un labirintico percorso entro gli spazi della galleria, un infinito e stretto corridoio dalle pareti bianche, al pari del pavimento e della luce che filtra dal soffitto in plastica. Un percorso obbligato, tortuoso nelle continue svolte, appesantito dall’assenza di qualsiasi traccia, di qualsiasi infrazione alla geometrica e lattea norma. A mutare è semmai la percezione degli spazi; la curiosità iniziale si trasforma lentamente in sottile angoscia, via via più patita nel non trovare una fine, nell’incontrare scalini che portano a un nuovo slancio in orizzontale del freddo corridoio. Questo climax di solitudine tocca il suo culmine nel giungere a una parete bianca, che blocca il ritmo, il quale, in cerca dell’uscita, si è fatto via via più veloce. E così non rimane che tornare indietro, a ritroso, nel lungo tragitto compiuto… Una quindicina di interminabili minuti assolutamente sconsigliati ai claustrofobici e ai cardiopatici, che porta sul piano del vissuto il clima di film come "Shining", "Labyrinth", "Cube" o "Hypercube".

Santiago Sierra.

Un’esperienza che è un qualcosa al contempo simile e opposto a quello che molti hanno vissuto, l’anno scorso al Mart di Rovereto, nel percorso "Dialogo nel buio", in cui si era guidati, in un tragitto assolutamente buio, da un cieco.

Ma se quella era un’esperienza umana di gruppo, qua è tutto solitudine e freddezza, e dove là era buio, qui è fredda luce. Anche il tempo era percepito in un maniera completamente altra: il percorso durava un’ora, ma sembrava che non fossero trascorsi che pochi minuti, mentre nell’intervento di Sierra il tempo sembra rallentato, terribilmente infinito. Il paragone non deve far storcere il naso: è chiaro che nel primo caso si trattava di un percorso volto a sensibilizzare la gente al problema della cecità, mentre nel secondo la mano è quella di un artista. In tutti due i casi, però, l’esperienza riesce a metterti a nudo, facendo perdere i punti di riferimento, riportando ad uno stato primordiale bisognoso di affettività e comunicazione, in un caso concesse - e da qui la tranquillità -, nell’altro negate -e da qui il dramma.

Atavico è infine pure il soggetto utilizzato, quello del labirinto. Un tema, a ben vedere, che è una costante nella storia dell’umanità, da Cnosso ai videogames, dal Minotauro a PacMan, passando per le catacombe romane e i tunnel delle metropolitane, mentre per rimanere sul piano artistico possiamo per lo meno ricordare i pattern decorativi celtici, i giardini rinascimentali, le carceri di Piranesi, i graffiti di Haring e i dipinti di Escher. Uscendo dalla centralità occidentale, infine, troveremo ulteriori labirinti: dai temibili percorsi nelle piramidi egizie ai mandala costruiti dai monaci tibetani, senza dimenticarsi delle decorazioni dei tappeti orientali.

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