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Le perle della riforma Itea

Franco Valduga

A parte alcune aggiunte tecniche necessarie, la legge "sulla riforma dell’Itea" non ha cambiato niente rispetto al testo della quarta commissione. E l’aspetto peggiore non è la trasformazione dell’Itea in Spa. E’ piuttosto il fatto che malgrado le declamazioni l’Itea resta con le mani legate, se può costruire o risanare alloggi solo sulla base di accordi di programma con gli enti locali (il testo continua a dire "tra gli enti locali e i comuni proprietari di aree", espressione senza senso perché nella legge per "enti locali" si intendono i comprensori e i comuni di Trento e Rovereto. Di un eventuale accordo fra questi enti l’Itea non sarebbe parte). Accordi comunque in base ai quali i comuni concedono all’Itea un diritto di superficie per una durata massima di 30 anni su aree di loro proprietà, sulle quali l’Itea costruisce o risana alloggi, li gestisce e alla fine dei 30 anni restituisce tutto ai comuni. In questo modo il patrimonio immobiliare Itea rimarrà sempre quello. Come si fa a parlare, con questa premessa, di "piano straordinario di incremento del patrimonio medesimo"?

Ma c’è di peggio. Non è solo l’Itea spa che può costruire alloggi da affittare a famiglie che non possono pagare un canone "di mercato", libero. Ci sono anche le imprese private con le quali l’ente locale può stipulare una convenzione avente per oggetto anche "la concessione di un contributo, finalizzato al perseguimento delle finalità previste da questa legge", cioè mettere a disposizione alloggi da affittare ad un canone "oggettivo" rapportato, nella peggiore delle ipotesi, al valore dell’alloggio. Questa è semmai, più che la trasformazione dell’Itea in Spa, la vera privatizzazione che si sta introducendo nel sistema degli alloggi pubblici.

Un altro aspetto, assurdo, è che l’attuazione della politica provinciale della casa è delegata non all’Itea, ma agli enti locali. L’Itea ha già le competenze e la strumentazione per la gestione complessiva degli affitti, per valutare gli immobili e quindi determinare il "canone oggettivo" per le convenzioni con i privati. Ma tutto questo lo devono fare gli enti locali, ai quali è delegata anche la concessione ed erogazione di un "contributo integrativo" - che in teoria dovrebbe colmare la differenza fra il canone pieno e quello "sostenibile" - alle famiglie con reddito insufficiente a pagare il canone pieno ("oggettivo").

Nella realtà poi le cose andranno in modo diverso perché malgrado l’art. 2, comma 1, punto "e" dica che il "contributo integrativo" è "la differenza tra canone oggettivo e canone sostenibile", l’art. 9 al comma 7 ribalta tutto: il canone dei contratti già in corso (calcolato in base alla legge provinciale 21 del 1992) "è progressivamente aggiornato in modo tale da corrispondere, alla data prevista dal regolamento di esecuzione, alla differenza tra il canone oggettivo e il contributo integrativo teoricamente spettante al nucleo familiare e determinato ai sensi dell’articolo 3". Perché "teoricamente" spettante non si capisce. Forse è una mezza confessione.

Questa del "contributo integrativo" è l’altra bella pensata. Mantenere canoni d’affitto stabiliti in base al reddito delle famiglie (o alle "condizioni economico-patrimoniali", non cambia molto) con quote anche percentualmente maggiori per redditi maggiori, con integrazione da parte della Provincia della differenza fra le somme così incassate e quelle dovute calcolando canoni oggettivi, magari correggendo un po’ la precedente legge 21, era forse troppo semplice. Con un solo versamento dalla Provincia all’Itea si risolveva tutto.

Si è scelta invece la via che prevede la costituzione di un fondo provinciale casa, ripartito ogni anno fra gli enti locali, i quali poi lo utilizzano per "concedere" a chi ha redditi bassi il "contributo integrativo" versandolo all’Itea o al locatore privato. Quindicimila operazioni contabili al mese sia per l’Itea che per i comuni, oltre ai versamenti degli inquilini.

Una follia che potrebbe trovare giustificazione solo se si volesse scaricare sugli enti locali il peso di una (prevista?) riduzione del fondo casa: se la vedano quelli se mantenere invariati i contributi integrativi tagliando altre spese, oppure se ridurli aumentando praticamente gli affitti. E inoltre, il passaggio da un diritto eguale per tutti al contributo concesso dal comune (con possibili diversità fra un comune e l’altro) frantuma la forza contrattuale degli inquilini. Non più la Provincia come unica controparte, ma tanti gruppi minori con controparti i comprensori e i comuni.

E infine due fonti di spreco e di clientelismo delle quali non si vede l’utilità. Una è la possibilità di affidare a soggetti terzi "sportelli casa" (costo previsto nella relazione: 500 mila euro), che possono essere gestiti meglio e senza costi dagli enti locali. L’altra, incredibile, è la possibilità di assegnare "specifici finanziamenti ad associazioni e ad altri soggetti senza scopo di lucro da destinare alla costituzione o all’incremento di fondi di garanzia la cui creazione sia prevista dagli statuti dei predetti soggetti nel caso in cui tali fondi siano finalizzati a creare strumenti di garanzia per agevolare la stipulazione di contratti di locazione tra proprietari e soggetti con condizione sociale o economico-patrimoniale tale da ostacolare il loro accesso alla locazione".

Almeno questa avrebbero potuto risparmiarcela, non fosse altro che per rispetto alla lingua italiana.

No, non era per fare di queste cose che ci siamo collegati con Dellai alle ultime elezioni provinciali.