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Lo scandalo di Consorte, l’ingenuità di Fassino

La crescita delle cooperative e il peccato (veniale) di Piero Fassino.

Svanito il miraggio utopico di sostituire il "mercato" con i "piani quinquennali" cosa è rimasto della cultura della sinistra? L’esperienza ha drasticamente deciso che l’attività economica dell’uomo non può prescindere dalla molla della ricerca individuale del profitto, insomma che la sua efficienza resta dipendente dalla spinta dell’istintivo egoismo primordiale che si dispiega nell’arena del libero mercato. L’utopia di regolare l’economia secondo criteri di solidarismo sociale egualitario affidati al governo dello Stato è fallita perché inefficiente e tomba della libertà. E’ dunque tutto finito, sono drasticamente archiviati il sogno del socialismo umanitario e la profezia del socialismo scientifico di Marx?

Giovanni Consorte

Fortunatamente no. E’ rimasto lo stato sociale che ha conferito un volto umano al capitalismo mitigandone le asperità. Si è parlato anche di economia sociale di mercato, e persino la nostra Costituzione vincola la proprietà privata ad una sua funzione sociale. Però è vero che queste affermazioni di principio o elaborazioni teoriche trovano un modesto riscontro nella realtà, specie in questi ultimi tempi in cui troneggia il pensiero unico del libero mercato.

Tuttavia in questo paesaggio così uniforme esiste un frammento di realtà antagonista, uno spezzone di iniziativa economica che, pur soggetta alle regole di mercato, ha in sé un’essenza di qualità opposta, un principio motore diverso anche se non contraddittorio con quello che ispira l’economia capitalista. E’ l’impresa cooperativa, la quale si distingue dall’impresa capitalista perché non remunera il capitale, ma privilegia il lavoro ed il consumatore. Essa produce plusvalore, ma non lo distribuisce sotto forma di utili al capitale. Lo reinveste creando altre occasioni di lavoro, ed opera come calmiere contenendo i prezzi a vantaggio dei consumatori.

In Italia, ma non solo, l’impresa cooperativa ha assunto una dimensione imponente, di origine sia rossa che bianca, ispirata dal movimento socialista e comunista nonché dalla dottrina sociale cristiana. Navigando nel mare magnum del libero mercato, ne ha subìto le regole, ma è stata anche sollecitata dalle opportunità da esso offerte. Opportunità dense di insidie minacciose per la intrinseca natura dell’impresa cooperativa. E’valsa la pena affrontarle con vigilante circospezione dando vita ad un maestoso gruppo assicurativo, l’Unipol, che pur assumendo la forma di un’impresa capitalistica, ha conservato la sostanza dell’impresa cooperativa.

Ma giunti a questo livello, la tentazione di acquisire un grande istituto bancario, la BNL, è risultata irresistibile. Il progetto in sé era compatibile con la natura e le finalità del movimento cooperativo. Anzi, direi che era persino auspicabile. Più volte mi sono chiesto per quale motivo il movimento cooperativo non avesse allestito una rete televisiva a dimensione nazionale, pur disponendo delle strutture e dei mezzi finanziari per farlo. Così il controllo di una grande banca poteva costituire un passaggio importante per il consolidamento di un settore dell’economia ispirato ai valori propri del movimento cooperativo.

Era dunque più che normale che Piero Fassino, dirigente di un partito che si rifà alle stesse tradizioni culturali del movimento cooperativo, plaudisse all’iniziativa dell’OPA, ossia la scalata di Unipol per il controllo della BNL.

Il guaio è che una tale operazione aveva in sé alcuni vizi occulti. Si inscriveva nella più vasta manovra promossa da Fazio per impedire che gruppi stranieri si impadronissero di banche italiane. Era quindi sotterraneamente collegata con l’analoga operazione compiuta da Fiorani e soci su Antonveneta. Stabiliva quindi, nella torbida sfera del gioco di borsa, losche complicità appunto con Fiorani, Gnutti, Ricucci, eccetera eccetera. E’ stata condotta da Giovanni Consorte che, per eccesso di maliziosa abilità, ha finito per travalicare i limiti dei valori del movimento cooperativo.

Non tutti hanno il (o la) consorte che si meritano. Ed infatti costui in pochi giorni si è dovuto dimettere. Fazio si è dimesso dopo oltre sei mesi. Berlusconi, che ha fatto di peggio, a dimettersi non ci pensa nemmeno. Un peccato veniale di Fassino, una sua ingenuità è diventato uno scandalo, che galvanizza la destra, eccita i moralisti di sinistra, disorienta gli elettori che credono nell’etica pubblica.

Una storia che ha il sapore di una beffa, coronata dalla esilarante dichiarazione di Berlusconi che "non è accettabile l’intreccio fra politica ed affari". Da che pulpito!