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QT n. 3, 11 febbraio 2006 Cover story

MART: croci e delizie di un grande museo

L’alternativa del Mart: museo di ricerca o di consumo immediato? Gli applausi vengono dalla seconda opzione, la scelta rimane la prima. Ma solo in teoria: nella pratica invece, le ricerche...

Dopo aver dedicato la mattinata alla mostra “La danza delle avanguardie”, sono felice di iniziare questo scritto con una dichiarazione di ammirazione e di gratitudine. Non prenda il lettore le mie impressioni di visitatore per una valutazione critica competente: dico che mi è stata data l’occasione di compiere, in poco più di due ore, un percorso ricchissimo di informazioni, di incontri, di promesse di emozioni. "Promesse", perché nella fitta galleria dei bozzetti, dei costumi, dei teatrini, dei video e delle altre opere d’arte (più di mille, cui ho potuto dedicare poco più di settemila secondi) occorre destreggiarsi con passo deciso, senza concedere troppo spazio ad una fruizione propriamente edonistica.

Chagall, Bozzetto di costume per Aleko e Zemfira, 1942.

Il che non impedisce che tuttora, scrivendone, la mente sia pervasa dalla suggestione delle sale dedicate alle marionette "utopiche" di Oskar Schlemmer o ai lavori di Léger e che la memoria continui a richiamare le sorprese che un percorso come questo consente, rianimando tanti depositi assopiti nel magazzino di conoscenze frammentarie che uno si porta dentro. L’itinerario attraverso il balletto di inizio secolo, piacevole anche sotto il profilo didattico, spinge a riconnettere musiche ascoltate tante volte in altro contesto (Satie, Stravinskij, De Falla…) alla complessità linguistica cui sono legate, alle fabulae, alle invenzioni gestuali e figurative, alla loro fortuna in quanto spettacolo. Un’attenzione inadeguata alla componente specificamente musicale è forse l’unica carenza che si può rimproverare alla parte più sviluppata del racconto storico della mostra, quella che arriva alle soglie degli anni Trenta. Per il periodo successivo prevalgono rapide citazioni e segnalazioni: ma non è lecito rimproverare qualche scorciatura ad una narrazione già così imponente.

Mettiamola così: se "La danza delle avanguardie" fosse un’esposizione permanente con sede in una delle grandi capitali d’Europa, poniamo a Parigi o a Mosca, sarebbe probabilmente considerata un museo originale e importante da consigliare a mezzo mondo. E tuttavia non farà un terzo dei biglietti giornalieri della collezione Phillips (La collezione Phillips al Mart), né attirerà le code che affollano i sogni di quanti si aspettano da queste imprese miracolosi e immediati "ritorni". Non perché sia elitaria, come le rimprovera un soffio che circola. Non è scontata però, esige disponibilità a impare anche cose nuove e a pronunciare nomi non consueti.

La piazza interna del Mart il giorno dell'inaugurazione.

Nel recente dibattito sul bilancio del consiglio comunale di Rovereto qualcuno ha riassunto così una posizione diffusa: "Il Mart privilegi iniziative come quella della Phillips, faccia anche lui come Brescia le mostre sull’impressionismo, perché l’arte contemporanea non avrà mai quel consenso di massa che richiede l’investimento". Per parte sua la direttrice Gabriella Belli, commentando il clamoroso successo recente (2.215 visitatori di media al giorno, 128.456 in 58 giorni di apertura), aveva ribadito tuttavia la necessità di rimanere fedeli a un progetto di museo che privilegia la ricerca al consumo.

Tutto bene, dunque, per chi in quel modello si riconosce? Le cose sono molto meno tranquillizzanti, se si prova a confrontare qualcuno degli storici progetti del Mart con la sua realtà concreta.

La direttrice del Mart Gabriella Belli con Guglielmo Valduga, sindaco di Rovereto.

Abbiamo scritto in un numero precedente di Questotrentino (Officine del sapere o cattedrali del lavoro precario?) del disagio interno, sensibile in particolare nell’area del precariato intellettuale troppo a lungo protratto e mal regolato. A quel disagio non corrisponde un’estensione delle attività di ricerca strutturate, ma una loro riduzione. Il museo investe certo in qualificate collaborazioni scientifiche, ma non assume davvero quel ruolo di centro di ricerca che pure si è sempre assegnato. Si pensi al caso ormai grottesco del Centro studi sul futurismo, del quale i documenti del museo parlano praticamente da sempre e che ancora non esiste. Si è costituito ormai almeno cinque anni fa un gruppo di lavoro qualificato perché ne elaborasse compiutamente i programmi, si è presentata una richiesta di finanziamento, si è lavorato ad una mappa degli archivi futuristi in Italia, si è fatto nel 2003 un convegno internazionale sempre sul ruolo degli archivi, ma il Centro ancora non decolla, anzi non se ne parla praticamente più. Si potrà obiettare che anche così il suo contributo agli studi sul futurismo il museo lo dà (attraverso l’edizione di documenti e di strumenti di lavoro, in particolare). Tra le iniziative di prossima apertura c’è una mostra su Luigi Russolo, uno dei fondatori del movimento, pittore e sperimentatore di una nuova musica. Ma l’idea del Centro prevedeva qualcosa di diverso: un investimento annuo corposo e regolare, almeno una figura che se ne occupasse a tempo pieno, una serie di ricerche tra loro connesse, un programma di acquisizioni, una rete di collaborazioni sistematiche con le università…

Altrettanto significativa la lunga pausa di iniziative espositive rilevanti e originali sull’architettura. L’ultima che ricordiamo è stata la grande e fortunata mostra dedicata a Figini e Pollini, che risale al 1996, vale a dire a dieci anni fa. Di recente il museo ha acquisito in deposito l’ archivio dei due architetti, che consente un ulteriore salto di qualità del patrimonio di documenti che il Mart va costruendo. Si è persa per strada, invece, la grande mostra programmata su Piacentini, l’architetto di tante realizzazioni del regime fascista. Non costituisce uno scandalo, di per sé, la rinuncia a un’iniziativa particolarmente complessa: ma non risulta che ce ne siano altre attualmente in cantiere, in un ambito che tanto ha concorso all caratterizzazione del museo.

Una sala della biblioteca del Museo.

Ho ancora ben presenti le parole di considerazione che dedicò a questo aspetto Walter Veltroni, in occasione del lucido intervento che il Ministro della Cultura di allora fece in occasione della posa della prima pietra della nuova sede. Anche in questo caso qualcosa è andato avanti, ad esempio lo scavo intorno alla figura e all’opera di Angiolo Mazzoni, l’architetto di tanti edifici pubblici del periodo fascista, l’archivio del quale il Mart ha "ereditato" dal vecchio museo Depero. Ma parliamo ancora di iniziative di qualche anno fa (2001 il convegno promosso a Firenze, 2003 il volume che ne raccoglie gli atti).

Recentissimi sono invece la mostra realizzata a Trento e il bel catalogo dal titolo "Libri taglienti esplosivi e luminosi", curato da Roberto Antolini con la collaborazione di Antonella D’Alessandri e Melania Gazzotti. Il lungo sottotitolo ne chiarisce l’oggetto: "Avanguardie artistiche e libro fra futurismo e libro d’artista. Un percorso di lettura dall’Archivio Depero e dal deposito Paolo Della Grazia presso il Mart". Si tratta dell’illustrazione di un felice innesto, essendo il fondo Depero la dotazione "originaria" conferita al Museo nascente dal Comune di Rovereto e l’Archivio di Nuova Scrittura di Paolo Della Grazia l’affidamento di un progetto contemporaneo e ben vivo di collezione e di ricerca.

Anche in questo caso, il bilancio del percorso fatto si può leggere da diversi punti di vista. L’Archivio di Nuova Scrittura è ormai parte del volto del museo e l’appassionato impegno anche personale di Antolini, che del Mart è il bibliotecario, ha favorito una serie di iniziative ormai fitta. Ma ponendosi dal punto di vista della dinamicità potenziale del progetto, appare chiaro che esso non è mai stato assunto del tutto tra le priorità del museo, che non gli sono state riservate le energie e l’investimento culturale necessari per farlo sviluppare all’altezza delle potenzialità.

Il discorso vale in generale per Biblioteca e Archivi. Lo sviluppo del loro patrimonio è innegabile e incoraggiante, ma le risorse in termini di personale e di mezzi sono assolutamente inadeguate, e questo è ormai un dato storico negativo. C’è anche una questione di spazi, da sempre rilevata anche nella sede "bottiana". Una soluzione brillante e coraggiosa potrebbe essere quella di pensare la sala di studio nell’ormai restaurato Palazzo dell’Annona come una sala comune della Biblioteca Civica e del Mart, fornendo un servizio comune agli studiosi, in condizioni ideali di luminosità e di agio. La sala costituirebbe un nuovo elemento di "eccellenza", ma questa prospettiva, pur delineata da anni, non è mai stata presa in seria considerazione dai vertici del museo, per timore di una confusione di identità.

MART: le scale ai piani.

Il tema non è banale e potrebbe riguardare anche le altre istituzioni culturali che operano a Rovereto (Museo Civico, Museo della Guerra), prive di spazi di studio e però non propense ad una soluzione che viene interpretata come l’abdicazione ad un ruolo autonomo di ciascuna ben radicato nella storia. Non sarebbe così, se ciascuno sapesse rinunciare a logiche autarchiche o, viceversa, a comportamenti annessionistici. Tra Biblioteca e Mart, in particolare, dentro lo stesso spazio plurale del "polo", un accordo dovrebbe essere più facile. Escludo purtroppo che uno scatto di qualità nelle relazioni reciproche si verifichi, finché le sensibilità di chi può deciderlo rimangono le attuali.

La questione è esemplare di una problematica più generale. Nel sistema culturale del territorio (e questo vale per tutto il Trentino) le collaborazioni sono rare. Eppure sarebbero necessarie, anche per assolvere ai compiti originari di ciascun istituto. Il Mart è anche un’ istituzione locale, dovrebbe per legge occuparsi anche della storia del territorio e del patrimonio artistico ad essa connesso. Lo ha fatto e lo fa a modo suo (e con risultati importanti), ma non ha mai riconosciuto questa parte del suo mandato come parte essenziale della propria mission. Questa difficoltà è comprensibile, anzi benefica. E comunque è difficile pensare che un museo che sta organizzando una grande mostra a Parigi e una serie di esposizioni in Cina abbia la mente rivolta alla paziente ricostruzione di un tessuto storico locale, tanto più se non è organizzato al suo interno con settori di lavoro davvero autonomi. Una collaborazione ben strutturata con l’Ufficio Beni Culturali della Provincia, con i musei civici, con i comuni e le altre realtà culturali del territorio potrebbe garantire di non lasciar scoperto un campo che comunque rimane essenziale. Niente del genere si sta facendo, né pare che agli amministratori provinciali questa tematica sia presente.

Non si tratta di reimprimere nel Mart un’identità localistica, al contrario. Si tratterebbe piuttosto, quando fosse possibile, di spostare ai livelli massimi di collaborazione organizzata un lavoro che altrimenti rischia di disperdersi in rivoli occasionali e localistici.

Torneremo su questa tematica in un articolo che avrà al centro la tormentata vicenda delle collezioni d’arte roveretane. A cosa saranno destinati gli spazi in restauro di palazzo Alberti, ultimo tassello del "polo" in fase di ultimazione? Proveremo a capirlo nella prossima puntata.