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QT n. 16, 30 settembre 2006 Servizi

Magnifica Comunità, una tradizione affossata

Il nuovo statuto dell'antico consesso di Fiemme snatura e tradisce una storia secolare di democrazia partecipata.

Con la recentissima riforma dello Statuto l’involuzione democratica della Magnifica Comunità di Fiemme ha raggiunto l’apice. Dalle assemblee di Regola del Medioevo (sono 11 le regole che costituiscono la Comunità) che decidevano su bilanci e azioni programmatiche, in pochi anni si è passati all’approvazione di Statuti sempre più centralistici, che hanno impedito con sempre maggiore veemenza ai Vicini (cittadini con diritto di voto) e agli stessi Consiglieri di Regola non solo l’azione propositiva, ma anche il controllo sugli atti e percorsi amministrativi.

Si è trattato di una lunga involuzione. Dopo la positiva gestione dell’ente da parte del socialista Vinante (anni Settanta), è iniziata l’era di Italo Craffonara, albergatore di Predazzo ed ex consigliere provinciale del partito liberale. Un periodo buio per l’ente, durante il quale è palesemente emersa l’insofferenza verso chiunque reclamasse il diritto alla partecipazione; un periodo durante il quale si sono affrontate scelte discutibili nel potenziamento della segheria di valle e si è alimentata una dura, sprezzante opposizione alla cultura e istituzione dei parchi naturali.

Questa linea è stata poi alimentata con maggiore autorevolezza sul finire degli anni ’80 e ’90 durante la gestione dello Scario Bruno Sommariva. Durante il suo periodo l’organo politico per eccellenza, il Comun Generale (un grande Consiglio comunale) è stato di fatto esautorato di ogni potere: le decisioni venivano prese dal ristretto vertice politico e delegate sempre più agli uffici tecnici.

Ed oggi, a conclusione della debole era Partel, siamo al definitivo fallimento democratico dell’ente, con la rinuncia ad ogni riferimento storico alla straordinaria tradizione dell’ente. Artefice della caduta di credibilità, più che lo scario stesso (lo ricordiamo, candidato unico a sindaco a Daiano - il suo paese - non era nemmeno riuscito a raggiungere il quorum per essere eletto), è stata l’azione di governo dura, inflessibile verso ogni mediazione, del regolano di Castello di Fiemme, il vicescario Claudio Demarchi.

L’attuale Consiglio dei Regolani (la giunta esecutiva) sta governando da oltre 650 giorni priva di un vero mandato elettorale. Nel febbraio 2005, infatti, 22 consiglieri di Regola (su un totale di 42) si erano dimessi denunciando l’inutilità della loro presenza e chiedendo maggiori poteri di iniziativa e di controllo per il Comun Generale. Chi è rimasto ha ritenuto di dover proseguire il mandato, surrogando i dimissionari con candidati che avevano ricevuta una, o due preferenze (caso di Panchià). Si sono così avviati investimenti per il rinnovo dei macchinari della segheria che peseranno sul bilancio per oltre un decennio. Ora, con l’approvazione del nuovo statuto, hanno completato il lavoro, trasformando l’ente in una assemblea presidenziale, priva però di ogni opposizione come si è affrettato a chiarire il vicescario.

Imitando Berlusconi, a sessanta giorni dalla scadenza del mandato, la commissione ha concluso l’importante riforma.

Già è significativo conoscere i nomi dei componenti la commissione: presidente ne è il vicescario Claudio Demarchi, consiglieri il segretario Carlo Betta, il dott. Alessandro Chieppa, gli avvocati Sergio Dragogna (protagonista nel passato nel sostegno a decine di ricorsi contro l’innovativo Piano Regolatore di Cavalese), Umberto Deflorian, Armando Paris (si ricicla da commissario nei comuni fino in ogni luogo istituzionale) e il presidente nazionale uscente del BIM Fabio Giacomelli. Sono nomi che rappresentano una precisa strategia accentratrice.

Con le prime mosse si passa una mano di lucido sull’ente, ma le successive portano avanti contenuti ben più preoccupanti. Ad esempio:

- presidente del Comun Generale non sarà più lo scario, ma sarà eletto dallo stesso Comun Generale (si copia dai Comuni).

Lo stemma della Magnifica.

- Il Comun Generale sarà convocato almeno una volta all’anno e verrà, almeno come ipotesi, arricchito di poteri. Dovrà infatti valutare sia il bilancio di previsione dell’ente che quello consultivo, potrà istituire commissioni e delibererà adesioni in società qualora il capitale di partecipazione dell’ente sia superiore al 20% del totale.

- I regolani dovranno, di norma, convocare almeno una volta all’anno l’assemblea di Regola.

- Le candidature dovranno essere presentate in liste (quindi non più singole persone o gruppi anche non omogenei), con l’indicazione del regolano e dei possibili consiglieri di Regola.

- Le elezioni saranno valide con qualunque quorum di votanti. Fino ad oggi era necessario superare il 50% degli elettori.

I punti che demoliscono definitivamente la secolare storia democratica e partecipativa dell’ente sono questi ultimi due. Con il penultimo passaggio si cancella all’interno del Comun Generale qualunque presenza di opposizione ideale (al massimo avremo conflitti fra territori, fra le diverse Regole). Infatti, in ogni Regola la lista vincitrice otterrà tutti i seggi previsti. Chi sarà stato candidato in altre liste rimarrà escluso.

L’ultimo punto evidenzia la furbata più eclatante. I regolani uscenti sanno di aver perso ogni credibilità fra i vicini, di essere riusciti a svuotare di idealità lo stesso ente (ormai si parla apertamente di assimilarne i territori ai Comuni e di azzerare lo stesso ente, frasi che in valle fino a pochi anni fa era impossibile solo pensare).

Costoro hanno la netta percezione che alle elezioni non si raggiungerà il quorum del 50% di votanti (era accaduto solo a Moena quattro anni fa), e con questa riforma si sono garantiti la rielezione.

I giornalisti locali, di tutte e due le testate, non hanno provato alcun imbarazzo nel presentare e sostenere questa riforma; nei commenti, abilmente mescolati alla cronaca, ribadiscono la necessità della riforma, di maggiore chiarezza, del ritrovarsi con una Comunità più solida.

Dichiarazioni opinabili. Questi giornalisti non hanno dato voce a nessuno dei 22 dimissionari, né ricordano la disaffezione sempre più diffusa verso l’ente, una disaffezione che si raccoglie passando per qualunque bar, fermandosi a parlare specialmente con le persone anziane. E questa disaffezione non è imputabile ai vicini: è stanchezza costruita lungo trent’anni di logoramento dei principi vitali che animano una società veramente democratica. Si è voluto togliere originalità all’ente, far prevalere la logica economicista, cancellare i valori fondanti della partecipazione, della solidarietà, della cura particolareggiata del territorio, della difesa del diritto di uso civico.

Lo Statuto della Magnifica Comunità appena approvato va a privare il Trentino intero di uno spicco di identità forte, di originalità, di diversità. Fa perdere ai vicini di Fiemme l’orgoglio di essere cittadini di un ente che per secoli li ha difesi, che storicamente ha contribuito a rendere migliore la qualità della vita nelle vallate dell’Avisio. Un ente che avrebbe avuto ancora molto da dire nei capitoli dell’assistenza, della qualità del lavoro, nella difesa del territorio e dell’ambiente naturale, della cultura. Ora invece siamo in presenza di un ente che ha abdicato, che ha voluto rinunciare ai valori più qualificanti della propria storia.