Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 1, gennaio 2017 L’editoriale

Il terremoto

Il risultato del referendum del 4 dicembre ha avuto un effetto paragonabile a quello di un terremoto. Una riforma costituzionale gettata nel cestino dei rifiuti, un governo licenziato senza la sfiducia delle Camere, un primo ministro-segretario del partito di maggioranza relegato in una solitudine rancorosa ma conciliante. Il nuovo governo presieduto da Paolo Gentiloni è pressappoco lo stesso di quello di Renzi, ma mentre quasi tutti lo considerano una sorta di cerotto, e puntano ad elezioni anticipate, il premier sembra orientato a concludere la legislatura. Tutto questo sconquasso mi sembra esagerato.

I No hanno vinto largamente per il semplice motivo che ai voti di coloro che volevano osteggiare Renzi, che appunto li aveva provocati legando il suo destino all’esito della consultazione, si sono aggiunti i voti di coloro che disapprovano la riforma costituzionale per i suoi contenuti. Valutare quanti sono gli uni e quanti sono gli altri in quel 60% che ha votato No è impossibile. È quindi decisamente sbagliato vedere nel voto il significato politico che gli è stato attribuito.

Interpretare il voto referendario non è un’operazione facile. Considerate il voto espresso nella nostra regione. Il Trentino Alto Adige è elencato con Emilia Romagna e Toscana, fra le Regioni in cui ha vinto il Sì. Ma il risultato è nettamente diverso nelle due Province. In Alto Adige ha prevalso il Sì, in Tentino invece si è affermato il No. Come si spiega questa differenza così netta fra le due province confinanti e per molti aspetti simili?

A far prevalere il Sì in provincia di Bolzano è stato il voto dei sud-tirolesi. Ad essi poco importava della modifica del Senato, dell’abolizione del Cnel, e persino dell’impronta centralista che caratterizzava la riforma dell’ordinamento regionale. Per la SVP ed il suo popolo l’unico contenuto importante della riforma era lo norma speciale che garantiva che ogni modifica del nostro statuto potesse essere adottata solo con “l’intesa” fra Stato e Provincie Autonome. I sudtirolesi hanno votato Sì per acquisire questa ulteriore garanzia dell’autonomia speciale.

Ma i trentini non avevano lo stesso interesse? Perché mai sotto Salorno non ha avuto presa, non è stata decisiva la norma particolare che la riforma conteneva con riguardo alla nostra autonomia speciale?

Evidentemente i trentini avvertono una propria partecipazione alla Repubblica Italiana più accentuata di quanto non sia condivisa dai sudtirolesi. Le ragioni storiche di tale diversità sono ovvie. I sudtirolesi sono una minoranza etnico-linguistica ed è quindi perfettamente naturale che le loro scelte siano dominate da questa caratteristica. Per loro, che sopravviva un Senato confuso ed insignificante, che le Regioni ordinarie siano impoverite di competenze, che la governabilità centrale sia favorita rispetto alla rappresentatività popolare, tutto ciò è poco importante. Ciò che conta è la garanzia dell’autonomia della loro Provincia, che appunto la riforma rafforzava.

Probabilmente le popolazioni delle due Provincie potrebbero trovare una maggiore armonia attorno ad un progetto, che già esiste ma attende di essere attuato, verso la creazione dell’Euregio. L’adesione dei sudtirolesi vi è naturale. Ma anche i trentini penso che ne siano attratti. Non tanto per ragioni storiche, quanto piuttosto per motivi che riguardano il futuro. Infatti l’Euregio ha le caratteristiche tipiche di un ordinamento territoriale dell’Europa unita. Ed è di questo infatti che dovremmo occuparci.

Certo, il Senato della Repubblica potrebbe anche essere abolito. Ma è una Europa federale e democratica che è urgente costruire. Con la globalizzazione e la popolazione mondiale che ha superato i sette miliardi di individui ci troviamo alle prese con stati che hanno una dimensione continentale e con una migrazione che sarà invasiva. L’Europa dei banchieri che ci ritroviamo non serve a nulla, anzi aggrava la situazione. Tornare indietro, come vorrebbero certe manifestazioni populiste, sarebbe un disastro. La politica deve andare avanti. Uno stato federale, con una dimensione capace di affrontare i problemi di oggi e di domani, con programmi e poteri adeguati, sta diventando sempre più urgente. Un referendum popolare probabilmente lo rifiuterebbe. Ma la politica deve avere questa cultura.

L’unità d’Italia, ve lo ricordate, non fu fatta dai popoli che occupavano lo stivale e le sue isole. Ma da Mazzini, Cavour e i Mille di Garibaldi. Fatta l’Italia, disse Massimo d’Azeglio, ora bisogna fare gli italiani. Ora bisogna fare l’Europa, poi faremo gli europei. L’Euregio potrebbe essere un buon inizio.