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QT n. 9, settembre 2019 Trentagiorni

Dimaro, l’inchiesta della Procura

Governo provinciale ed opposizioni non hanno risposto agli interrogativi… Ora ci prova la magistratura.

Dimaro

Dimaro: una tragedia evitabile” - scrivevamo in una nostra inchiesta dell’aprile scorso. La carta delle pericolosità idrogeologiche, approvata (con gravi ritardi) dalla Provincia nel maggio 2017 individuava come aree a rischio massimo e medio quelle attorno al rio Rotian, che esondò il 29 ottobre 2018 provocando la morte di una donna, Michela Ramponi, e danni materiali disastrosi. Secondo la carta e secondo il buon senso (la località si chiamava “Ruina” perché storicamente pericolosa) lì non si doveva costruire.

Invece si urbanizzò e si costruì, perfino un campeggio, fortunatamente chiuso in ottobre, altrimenti sarebbe stato spazzato via dalla colata di massi e fango, assieme a tutti gli ospiti.

Come è stato possibile, ci chiedevamo? Perché sono state concesse quelle autorizzazioni? E una volta sorte le costruzioni, quali interventi sono stati fatti per minimizzare rischi e danni?

A questi interrogativi finora non ha risposto nessuno.

Non il governo provinciale, che in teoria dovrebbe rimediare alle distorsioni dei governi precedenti, ma che in realtà, quando si tratta di clientelismi e speculazioni, prosegue e ci aggiunge del suo. E neppure hanno risposto le opposizioni, che dell’ambiente fanno una bandiera solo teorica.

Se ne è occupata invece la magistratura, che in questi giorni ha aperto un’indagine per omicidio colposo e disastro. Scrive il PM Carmine Russo: “Nonostante l’etimologia del toponimo sconsigliasse l’edificazione, nella seconda parte del XX secolo in località Ruina furono edificate diverse abitazioni ed un campeggio posto proprio vicino all’abitazione di Michela Ramponi, ed i cui villeggianti sarebbero stati travolti dal fango se il campeggio fosse stato in esercizio la sera dei fatti”. Il PM poi illustra la serie di provvedimenti urbanistici che hanno sciaguratamente permesso l’edificazione nell’area.

Per ora la Procura ha iscritto quattro persone nel registro degli indagati: il dirigente del Servizio Bacini Montani Roberto Coali e l’ingegner Silvia Franceschi per non aver previsto e realizzato opere di contenimento adeguate a contenere la furia del Riotan; il sindaco Andrea Lazzaroni e il dirigente della Protezione Civile Stefano Devigili per il ritardo nel lancio degli allarmi e nell’evacuazione della popolazione.

Vedremo se il procedimento passerà a vagliare anche le responsabilità primarie, quelle di chi ha permesso l’urbanizzazione di una zona a fortissimo, conclamato rischio.

A prescindere dagli esiti del procedimento penale, non vorremmo che l’attenzione si focalizzasse, come si sta tentando di fare, sull’adeguatezza dei lavori di contenimento e protezione. Perché i recenti eventi e le previsioni scientifiche ci dicono una cosa: per moltissimi anni a venire i fenomeni straordinari di precipitazioni piovose continueranno ad acuirsi e le zone già individuate come a rischio saranno ben difficilmente proteggibili.

Quindi si dovrà smettere, una volta per tutte, di concedere edificazioni in deroga. Si dovrà severamente punire chi lo ha fatto e chi ancora lo fa. Per il già costruito, si dovrà vedere cosa è difendibile con interventi dai costi ragionevoli, e cosa invece no e quindi va spostato.

Questo il cuore del problema.

Il presidente Fugatti sembra non averlo capito. E in perfetto stile da democristiano del sud, a commento dell’inchiesta della Procura, parla dell’esondazione del Riotan come di “un evento eccezionale ed unico”. Ecco trovata la scusa per continuare con l’andazzo attuale, in attesa del prossimo, inevitabile “evento unico”.