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14 gennaio, primo giorno dell’anno

Da ricorrenza religiosa (il Capodanno ortodosso) a occasione di agitazione politica (il Capodanno serbo).

Otto musicisti dai tratti zigani. Sette fiati ed una percussione. Danzano e si muovono per quel che può permettere loro il piccolo palco allestito nel mezzo della via pedonale di Berane. Nevica leggermente e la temperatura è di parecchi gradi sotto lo zero. Nessuno sembra accorgersene. La musica è triste e sfrontata, tragica e goliardica. Profondamente viva. Quella fatta conoscere nel mondo dai film di Kosturica e da Goran Bregovic. "Mieceæina, mieceæina yo yo .... niko ne zna kako sia".

Una chiesa ortodossa presso Berane.

La gente si raggruppa in gruppi di quattro o cinque; abbracciati in cerchio danzano il kolo muovendo i piedi esperti su quella spessa lastra di ghiaccio e neve pressata che si è formata dappertutto dopo le abbondanti nevicate dei giorni scorsi.

I bambini si arrampicano sul palco, una grande bandiera serba viene fatta sventolare vicinissima ai suonatori che ripartono con la loro musica irruenta e quasi tutto il pubblico alza le tre dita al cielo: padre, figlio e spirito santo. "Srbja, Srbja" - qualcuno intona, subito seguito dagli altri. E poi di nuovo musica, le bottiglie di rakja che passano di mano in mano.

Davanti a noi si sfida il freddo con un bel paio di baffi e solo una camicia, ben aperta sulla gola ed i primi peli del petto. Ed ancora le tre dita al cielo. Si incrocia il rifugiato del campo collettivo e la moglie del primario dell’ospedale, dal pensionato con il berretto ben calcato sulla testa ai ragazzi che nascosti dietro a tutti lanciano i petardi sotto i piedi dei passanti.

Gli otto suonatori vengono dalla Serbia. Sono stati invitati dal partito socialista di Berane per animare il capodanno ortodosso o - come sempre più mi dicono - serbo.

Tutto diviene politico qui in Montenegro e tutto è legato alla questione politica per eccellenza: Montenegro indipendente o legato con una federazione - tutta da definire - alla Serbia? Le centinaia di persone che danzano questa musica tradizionale sostengono la seconda opzione.

Per questo le tre dita al cielo, simbolo della religione ortodossa, assunto però in quest’ultimo decennio a simbologia fortemente nazionalista. Per questo la bandiera. Per lo stesso motivo Dragan Bukumira, proprietario di un’emittente radiofonica locale, favorevole all’indipendenza e promotore assieme ad altri della "Gradanska Iniciativa", movimento che spinge attraverso la raccolta di firme per arrivare ad un referendum popolare sulle sorti di questa piccola repubblica, non si fa vedere in centro città e non festeggia. Per questo Lidia, giovane sostenitrice del partito liberale, scherza (ma non troppo) dicendo che questa sera se si facesse vedere in città alzando solo due dita (L come liberale) probabilmente gliele taglierebbero.

Anche nella capitale, a Podgorica, vi è un concerto. Famosi cantanti turbofolk si alternano sul palco con il loro microfono e le basi pre-registrate. In prima fila Momir Bulatovic, capo del partito socialista montenegrino e candidato di Milosevic contro Dukanovic in tutte le ultime elezioni. Il patriarca Artemje dal palco impartisce la sua benedizione e più sotto, tra il pubblico, si battezza il tutto a suon di bicchierini di rakja.

Il salto logico tipicamente balcanico è stato fatto ancora una volta ed il capodanno ortodosso da rito religioso si trasforma in un capodanno serbo, in un rito politico, in un comizio.

Come vuole la tradizione, a mezzanotte ci si reca al monastero e si accendono ai santi alcune candele. Come tutti i riti ortodossi, anche questo segue il calendario giuliano. Cade quindi esattamente 14 giorni dopo la fine del nostro anno che segue invece quello gregoriano. Ma in un Montenegro che per allontanarsi dal passato balcanico ha assunto il marco tedesco quale propria moneta nazionale, questi 14 giorni di ritardo assumono forti connotati politici. E quindi non più capodanno ortodosso ma capodanno serbo.

Non che i montenegrini non siano di religione ortodossa, ma probabilmente la Serbia è percepita come più ortodossa e la religione è una simbologia d’unione tra il popolo montenegrino e quello serbo, e quindi corroborante la causa della Federazione tra Stato montenegrino e Stato serbo. E come spesso accade, per sottolineare le appartenenze bastano sottili sfumature che col tempo si trasformano in taglienti confini, ferite aperte. Ferite che ancora non esistono in Montenegro e che probabilmente mai esisteranno, data la situazione che sempre più va verso una progressiva normalizzazione. Milosevic non c’è più e con lui se ne sono andate le grandi paure. Ma dubbi, pensieri e timori permangono.

Questa sera tutto è anestetizzato dal freddo pungente; domattina ricominceranno le prime pagine dei giornali a sostenere l’una o l’altra posizione e le discussioni davanti ad un caffè turco. Si spera che tutto possa essere risolto attraverso accordi liberi e democratici tra i due popoli, talmente vicini l’un l’altro da essere difficilmente distinguibili.

Jelena è arrabbiata. La madre, nonostante il maltempo, ha voluto scendere in autobus fino a Podgorica per partecipare nella capitale al concerto. "Con queste strade è pericoloso, è proprio una matta; da due giorni non ci parliamo per questo motivo". C’è una lieve sfumatura politica in queste parole. Jelena si definisce montenegrina, anche se non sostiene Dukanovic. Sua madre dice invece d’essere serba. Jelena passa il capodanno a casa e sua madre è in piazza a Podgorica. Niente di tragico, qui se ne festeggiano due di capodanni: uno in famiglia e l’altro, ortodosso o serbo che sia, con chi vuoi.