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QT n. 13, 30 giugno 2001 Servizi

I trentini anti-G8

Ora sono blanditi con dolci parole. Però sono sempre considerati un problema di ordine pubblico, e bollati come ottusi oppositori della globalizzazione. Invece pongono problemi seri e reali. E si stanno organizzando.

Una serie di manifestazioni a Trento, pullmann per Genova ("almeno dieci"), proposte provocatorie ("Formiamo un gruppo di persone tutte nude" "Ma che senso politico ha?" "Mah, intanto si fa notizia…"). Anche a Trento c’è tutto un fervore di iniziative, tra il folkloristico e l’entusiasta, intorno a una partecipazione/contestazione al vertice degli otto grandi che si terrà a Genova dal 20 al 21 luglio.

Eppure è sbagliato ridurre questo movimento a folklore, o peggio, a problema di ordine pubblico. E di questo, ad esempio, sembra essersi reso conto il sorpresissimo questore di Genova, quando, all’incontro con i rappresentanti delle organizzazioni anti-G8, non si è trovato di fronte giovani esagitati, ma missionari e docenti universitari.

In effetti, da quando il popolo di Seattle (i contestatori che hanno impedito la riunione del WTO - World Trade Organization, Organizzazione Mondiale del Commercio) è apparso alcuni mesi fa prepotentemente alle cronache dei media, ne è apparso dipinto con due caratterizzazioni discutibili: quella di movimento violento, che pone problemi di sicurezza e ordine pubblico; e quella di movimento anti-globalizzazione, che si pone il velleitario obiettivo di fermare il cammino della storia, ossia la tendenziale omogeneizzazione della cultura e economia del pianeta.

Di questo parliamo con Roberto Barbiero, referente del nodo di Trento (costituitosi un anno e mezzo fa) della Rete Lilliput, che collega, soprattutto attraverso Internet, le associazioni operanti per un’economia mondiale sostenibile e democratica (vedi scheda Le associazioni trentine).

"Il punto è che a tutt’oggi dal governo non è stata data risposta alle nostre domande sull’agibilità di Genova" - precisa Barbiero. Come forse è noto, per la sicurezza degli illustri ospiti, il centro di Genova è stato diviso in due aree (vedi cartina): una zona rossa centrale, dove non si può entrare punto e basta; e una amplissima zona gialla, dove è ammesso l’accesso, ma non la possibilità di manifestare. I contestatori, coordinatisi nel Genoa Social Forum (organismo variopinto e eclettico, che comprende una miriade di associazioni, dai centri sociali, alle tute bianche, alle suore) contesta questa impostazione. "Non sulla zona rossa, che non mettiamo in discussione e intendiamo rispettare; ma sul divieto di manifestare nella zona gialla: da una parte, essendo così estesa, vuol dire proibirci di manifestare a Genova; dall’altra, il meccanismo dell’accesso libero, ma con divieto di esprimersi, significa creare tutti i presupposti per fraintendimenti, provocazioni, disordini".

In questa situazione il Social Forum ha intrecciato l’organizzazione delle proprie iniziative, con una serie di richieste avanzate al governo: 1. una serie di incontri e dibattiti (da lunedì 16 a domenica 22 luglio) da svolgersi, per consentire la massima risonanza, in molteplici spazi pubblici e privati della zona gialla di Genova: di qui la richiesta al governo di revocare i relativi divieti. 2. Nella giornata di apertura del vertice (venerdì 20 luglio) una serie di dibattiti e azioni dimostrative, un mix di festa e di provocazione, da tenere nelle varie città italiane, fra cui Trento. 3. Sabato 21 luglio, grande manifestazione a Genova, con corteo tutto esterno alla zona gialla (per evitare il rischio di provocazioni) e conclusione allo stadio Marassi, anch’esso esterno all’area sorvegliata (si è comunque in attesa di autorizzazione dalle autorità).

Come si vede, un programma articolato e ragionevole. "Sono mesi che su queste proposte attendiamo risposte da questo governo, come dal precedente - rileva Barbiero - Il governo Berlusconi ci invia segnali ambigui: tante dichiarazioni di apertura al dialogo; ma poi, quando si giunge al momento delle decisioni, abbiamo la netta sensazione che non ci sia voglia alcuna di ascoltare. E così, se non ci si confronta con le proposte, fatalmente si riduce tutto a un problema di ordine pubblico."

Equi interviene la seconda semplificazione: appiattire i movimenti su una posizione di anti-globalizzazione, tanto romantica quanto sterile. "In realtà molti di noi giudicano la globalizzazione come un fenomeno che presenta molteplici aspetti positivi, a iniziare dagli scambi culturali; si criticano invece alcuni effetti della globalizzazione economica, dovuti al modo iniquo, antidemocratico, con cui il fenomeno è governato."

Le contestazioni sono sulla direzione che ha assunto - o meglio, che si è voluto far assumere - al mercato mondiale. Con i conseguenti squilibri: "un aumento del benessere, ma solo in una parte ridotta della popolazione mondiale (15%); anzi, dopo l’iperliberismo di Reagan e Thatcher, la forbice ricchi/poveri si è accentuata; la popolazione che sopravvive con meno di 1-2 dollari al giorno è diminuita in percentuale, ma aumentata in valori assoluti." E questi non sono risultati dovuti al caso: "Le ricette del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, basate sui tagli alle spese sociali, alla sanità, previdenza (e talora scuola) hanno portato conseguenze devastanti in tanti paesi. Che hanno dovuto subire veri e propri diktat: per potervi riallineare, e riassorbire le instabilità finanziarie (in genere dovute al pagamento dei debiti), dovete abbassare il livello di sussistenza della popolazione."

Ed è evidente che un sistema di sviluppo, che provoca un peggioramento nelle condizioni di vita di gran parte della popolazione mondiale ha qualcosa di intrinsecamente sbagliato.

"In questi anni c’è stato uno scollamento notevole tra l’economia reale e quella finanziaria. E attenzione, qui non c’è una critica - almeno da parte di tanti - all’azienda capitalistica e alle sue necessità di finanziamento: si contesta il fatto che a livello mondiale in pochi giorni di turbolenza finanziaria si sposti una massa di capitale paragonabile all’equivalente massa di merci che si sposta in un anno intero. Se poi consideriamo come questi spostamenti siano in prevalenza speculativi, capiamo come questi movimenti, di fatto irresponsabili, possano compromettere la fiducia, la stabilità di uno o più paesi, e impedire in fin dei conti che i capitali svolgano il loro vero ruolo: generare sviluppo."

In questo quadro la critica si appunta proprio su quegli organismi che dovrebbero governare la circolazione di capitali e merci.

"E’ curioso come ci sia un’insistenza su queste libertà di circolazione, quando invece è una libertà univoca: le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sono a garanzia degli interessi delle multinazionali e dei paesi avanzati, e a detrimento degli altri, attraverso pedaggi e regole che penalizzano le esportazioni dei paesi poveri. I paesi del Sud non possono entrare nei nostri mercati, conosco argentini e cileni che vorrebbero esportare tessuti nel nostro mercato, ma si trovano la strada sbarrata da un rigido protezionismo, che però non vale più quando si tratta dell’ingresso delle nostre merci nei loro paesi."

Insomma, si gioca con carte truccate, per derubare i deboli.

E non solo. L’aspetto forse più vistoso viene visto nell’attacco "ai diritti fondamentali dell’uomo, del lavoratore, a quelli dell’ambiente. Su questo, al contrario della libertà di movimento delle merci, gli organismi internazionali dimostrano scarsa preoccupazione." Anzi. "L’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) tende a ridurre ad ambiti mercantili diritti fondamentali come l’istruzione, la sanità: partiranno degli accordi sui cosiddetti servizi, per gestire un ospedale, una scuola, con delle normative WTO che dovranno sostituire quelle nazionali (che altrimenti sarebbero un impaccio per le multinazionali)." E questo diventa un ambito che interessa in maniera diretta il cittadino europeo, che gode di un sistema di protezione sociale unico al mondo: se si unificano le normative sulla sanità e sulla scuola, che resta del nostro welfare? Insomma: non è che ci stiano portando a stare peggio?

Questo percorso di "sviluppo" che senso ha?

Ainnescare le contestazioni di Seattle è stato proprio il tentativo di espandere le trattative dall’ambito commerciale agli altri. "Tra di essi, ricordiamo la brevettabilità, per cui se un’azienda farmaceutica riesce ad isolare il principio attivo di una pianta, ne diventa la proprietaria."

Su questa abnorme dilatazione dei principi di commercio e profitto, fin nei campi della vita, della natura, è insorto il popolo di Seattle, si è formato un movimento mondiale. "Ora le stesse norme, messe in un cassetto dopo il fallimento di Seattle, torneranno in campo a novembre nell’apposita riunione del WTO nel Quatar. Per cui la preoccupazione maggiore non è la riunione del G8, da cui in genere non scaturiscono altro che proclami, più o meno belli; ma dall’appuntamento del WTO. Genova dovrà essere una tappa per far crescere la consapevolezza dell’importanza del Quatar."

Attorno a questi temi comincia a decollare la discussione, anche in Trentino. Dove, ci ricorda Barbiero (ma QT lo ha già denunciato, vedi "La pesante impronta del Trentino", servizio d’apertura del numero 7 dell’aprile di quest’anno), si è messo rapidamente in un cassetto, negandogli ogni pubblicità, lo studio commissionato dalla Pat all’Università sull’impronta ecologica del Trentino, che ha indicato come noi stiamo consumando risorse ambientali superiori a quelle di cui disponiamo; come insomma stiamo vivendo alle spalle di altre zone del pianeta.

Ma oltre a questi pur elementari principi di giustizia e solidarietà, "la discussione non può non investire le conseguenze delle direttive del WTO (sull’agricoltura, sui rapporti di lavoro) che a breve ci riguarderanno direttamente."

Ed ecco quindi come attorno a Lilliput e più in generale, attorno alla risposta al G8, si siano aggregate prima varie associazioni, poi sia iniziato il dialogo anche con altri attori sociali: il sindacato, un partito (Rifondazione Comunista) e altri movimenti (ambientalisti, ecclesiali).

C’è il pericolo del minestrone?

" Si viene da mondi ed esperienze diversi. Per ora abbiamo lavorato soprattutto su temi che ci hanno accomunato; lo scopo è arrivare a una comunanza di obiettivi, senza penalizzare la pluralità delle culture, nell’ottica della diversità vista come ricchezza, non come limite, anche se èveroche molte delle associazioni hanno la tendenza, e io mi ci metto dentro (Barbiero opera nella Cooperativa Mandacarù, che gestisce i negozi del Commercio equo e solidale) a non vedere al di là del nostro mondo, perché la tua associazione ti assorbe, e puoi non capire l’importanza di lavorare assieme, di investire negli obiettivi comuni: è una difficoltà di cultura e di organizzazione.

La rete ha proprio tra i suoi scopi quello di aiutare a superare questo ostacolo."

In questo momento, a quasi un mese dall’evento, è ancora difficile dire come le associazioni trentine arriveranno all’appuntamento del G8.

Si possono comunque individuare tre gruppi: quelli intenzionati a seguire tutte le manifestazioni, che si terranno nell’arco di dieci giorni (attualmente una decina di persone); un gruppo disposto a partecipare e organizzare le due manifestazioni del 20 e 21 luglio (una trentina); i partecipanti al corteo del 21 luglio con pullmann che partiranno e torneranno in giornata (numero di partecipanti ancora fluido, si conta di arrivare a un numero significativo di pullman).

Sul fronte dei centri sociali, a livello nazionale ci sono le realtà come le tute bianche che hanno aderito al Genoa Social Forum, accettandone i codici di comportamento; altre ancora si presenteranno in modo indipendente.

A livello locale, invece, tutto tace: eventualmente ci saranno adesioni di singoli.