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Non basta schiacciare il mostro

Riflessioni all'indomani dell'attacco terroristico all'America.

Il presidente degli Stati Uniti stava progettando lo scudo spaziale, la vecchia idea di Reagan e di suo padre. Alla base di questo progetto c’era la visione di un mondo fatto di potenze ostili, ciascuna dotata di imponenti apparati missilistici con cariche nucleari. Il raccapricciante attacco terroristico che l’11 settembre si è abbattuto sui gangli vitali della potenza americana ha demolito anche una così arcaica visione del mondo contemporaneo.

Quattro aerei delle linee interne degli Stati Uniti sono decollati quasi simultaneamente da aeroporti civili, avendo a bordo ciascuno un nucleo di terroristi armati di soli coltelli, secondo quanto ha riferito con il suo telefono cellulare una passeggera al proprio marito.

Evidentemente per eludere i controlli di imbarco hanno dovuto ridurre al minimo i loro mezzi di attacco. I velivoli sono stati subito dirottati, e, molto probabilmente pilotati dagli stessi terroristi, due si sono avventati contro le torri gemelle del World Trade Center di Manhattan, uno si è schiantato sul Pentagono, il quarto è precipitato prima di raggiungere l’ignoto obiettivo. Mentre scrivo non è ancora noto il numero delle vittime, che deve essere impressionante, molte, molte di più di quelle causate ad Oklahoma City qualche anno fa da un solitario attentatore americano, recentemente giustiziato: all’ora dell’attentato gli edifici distrutti erano già popolati da migliaia di persone che vi lavoravano. Ma credo che i terroristi non puntassero tanto ad un elevato numero di vittime. Ciò che a loro premeva doveva essere il significato simbolico dell’operazione: dimostrare che potevano ferire l’impero nei centri più significativi della sua odiata potenza: il Pentagono, espressione del potere militare, il centro del commercio mondiale, espressione del potere economico.

E’ orribile pensare che in questi atti di guerra simbolici, che di per sé non sono risolutivi ma puramente dimostrativi, perdano la vita centinaia e forse migliaia di persone assolutamente innocenti. Ma questa è la conseguenza assurda ed insensata della condizione umana che è venuta formandosi. L’alta concentrazione di popolazione in agglomerati urbani ad organizzazione complessa crea l’ambiente più favorevole per l’attività terroristica, che implica l’impiego di mezzi modesti e pochi addetti e però raggiunge effetti micidiali.

Stupefacente è poi ciò che è avvenuto in questo caso, perché gli aerei, che sono sempre stati i vettori di missili o bombe, sono stati usati essi stessi come detonatori.

Quale sarà ora la reazione degli Stati Uniti e dei loro alleati? Le prime dichiarazioni di esponenti americani sono comprensibilmente influenzate dalla vecchia visione del mondo. Si insiste cioè sulla complicità di Stati che sarebbero tolleranti verso i terroristi, quasi a voler cercare un nemico da punire, un colpevole su cui scatenare la vendetta. Si evoca la misteriosa figura di questo Bin Laden, multimiliardario residente in Afghanistan, una specie di Spectre dei film di James Bond. Ciò che sorprende è la totale mancanza di attenzione per un aspetto che a me invece sembra di fondamentale importanza .

Pare che in Palestina ed in altri paese arabi vi siano state scene di giubilo alla notizia del l’attentato terroristico. Come è possibile che ciò avvenga? Cosa c’è nella mente e nel cuore di chi gioisce innanzi a un simile evento? E i kamikaze che hanno eseguito l’operazione terroristica, chi sono costoro, perché giungono a tanto? Abbiamo visto in Palestina lo stesso fenomeno ma, per così dire, a livello artigianale: l’11 settembre alcune decine di persone, dotate di freddezza esecutiva e di un coefficiente di intelligenza rispettabile, hanno agito di conserva in un progetto di passaggi articolati sapendo fin dall’inizio che tale impegno li avrebbe portati a morte. Come si può spiegare questo comportamento di una pluralità di persone? Fanatismo religioso? Eppure il suicidio non fa parte della cultura islamica. I kamikaze giapponesi dell’ultima guerra erano cresciuti in una cultura che conosceva il rituale del Harakiri. Tutto ciò è estraneo all’Islam. Secondo il Corano il suicidio è peccato. Dunque, se il kamikaze palestinese può spiegarsi come il gesto disperato di un fanatismo etnico, alla base del comportamento suicida del gruppo di terroristi che hanno agito l’11 settembre a New York ed a Washington forse c’è dell’altro. Non è il caso di cominciare ad esplorare anche il perché avvengono queste cose orribili?

Certo, combattiamo il terrorismo e distruggiamo il mostro colpevole di questa orribile strage (possibilmente dopo averlo individuato con precisione); ma ricordiamoci anche che, finché nel mondo esisteranno sacche di miseria e di disperazione, i mostri continueranno a nascere e ad operare, e non ci sarà tecnologia o misura di sicurezza capace di fermarli.