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QT n. 22, 23 dicembre 2005 Servizi

Tutti a cena con Wilma

Discussioni e piatti sorprendenti ad una cena “vegana”, da cui anche latte e uova sono banditi.

Invitati da Wilma, un’amica da tempo impegnata nel volontariato a favore degli animali, ci presentiamo in quattro alle 20.30 alla sala polivalente di Lavis per una cena vegetariana anzi, "vegana". Distinzione non da poco, perché quest’ultima, al contrario della prima, non ammette l’utilizzo di alcuna proteina animale nell’alimentazione. Per i nostri gusti, una cucina senza grassi, intingoli e fritti è roba da ipercolesterolemici o al più da penitenti, ed in effetti il menù esposto all’entrata non dà spazio a fantasticherie pantagrueliche. La causa, però, vale di sicuro i 13 euro chiesti: il rispetto di ogni essere vivente.

Si avvicina Wilma per ringraziarci di essere venuti. Mi scuso con lei: "Ti avevo garantito una decina di amici, ma sei si sono inventati le scuse più originali per non venire".

"Nessuna meraviglia, - risponde allargando le braccia - fintanto che i vegetariani saranno presentati soltanto come individui dalle abitudini alimentari bislacche".

Domanda scontata: chi è un vegano? "Uno che rifiuta in generale la crudeltà verso altre forme viventi, che non considera gli animali soltanto oggetti di consumo, da inscatolare o fare a fette, da spogliare per vestire altri, da sfruttare per lavoro, da esibire nei circhi o per testare creme di bellezza".

I cento posti disponibili si esauriscono in fretta e la serata può partire in perfetto orario, naturalmente con l’antipasto: crudità e pane integrale con salsa di gomasio, tofu e rucola mediterranea con pomodori secchi, olive e capperi.

I primi piatti scivolano dalle mani dei volontari sui tavoli accolti con sospettosa attenzione, presto sostituita da espressioni di compiacimento. "Non male, anzi saporito!" è il giudizio generale; e un giro extra lascia vuoti i piatti di portata già a metà sala.

Inevitabile per Marina, estroversa e fan dichiarata della cucina tradizionale, il confronto con un antipasto classico. Ci ricorda l’irraggiungibile bontà delle luganeghe affumicate di Sant’Orsola e di quelle d’asino, ma lo strabuzzar d’occhi degli occupanti l’altra metà del tavolo reagisce con fredda deplorazione: sono vegani doc. Allora tenta di stemperare l’affermazione con un: "Noi occidentali non mangiamo cani, i musulmani maiali, gli indiani mucche, gli ebrei aragoste. I cinesi invece mangiano qualsiasi animale e i vegetariani nessuno. E’ il gioco della vita, fa parte della varietà del mondo".

Abbozzano un sorrisetto di compassionevole indulgenza: per tutti non mangiare carne o pesce dovrebbe significare prima di tutto il rifiuto delle sofferenze degli animali, non essere complici delle uccisioni e dei trattamenti crudeli cui sono sottoposti. Ma la nostra amica non demorde e fa presente che il freddo di questo dicembre ha costretto tutti ad indossare qualcosa di lana: in giro, qualche decina di pecore batterà i denti al nostro posto! Milena, autodefinitasi "amica degli animali", si intromette per smorzare il contrasto, ma Marina, guardando ostentatamente sotto il tavolo: "Chi non ha un paio di scarpe di cuoio?"

Gelo, e tra noi e loro non ci saranno che i saluti finali.

Ancora chiacchiere, ed ecco il secondo, vellutata di patate e zucca, piatto gustoso e caldo che, tenuto conto della temperatura in sala, scivola graditissimo nella pancia. Soddisfazione generale e moltissimi bis.

Parlando di animali e di crudeltà inutili, Milena ricorda i metodi in uso fino a non molti anni fa per ammazzare i maiali senza che una sola goccia del loro sangue andasse persa. La costernazione viene esorcizzata da Marina con un: "Cosa sarebbero i crauti senza luganega e puntine?"

Wilma

Milena stavolta non ci sta: "Sono buoni anche da soli, basta abituarsi". Mette fine al dibattito Marina: "Puoi abituarti a mettere il di dietro nelle ortiche, ma prima che riesca a piacerti…".

Intanto un volontario sulla trentina legge al microfono una poesia tristissima, quasi ossianica, su presente e futuro degli animali. Gran silenzio e applausi. Inevitabile al tavolo tornare a parlare di crudeltà, di certi cacciatori che sparano nella pancia dei caprioli per farli dissanguare il più possibile, di pescatori che uccidono i pesci sbattendoli per terra, di altri che mettono bocconi avvelenati e di chi affoga cani e gatti appena partoriti. Marina sbotta in un "Che mondo infame!" subito ripresa da Milena in cerca di rivincita: "Taci tu che ci hai fatto mangiare polenta e lumache!" Rintuzza al volo Marina: "Sì, ma me le avete chieste voi!".

Piatto successivo, fagiolini neri alla messicana, polpette di miglio e carciofi freschi. E’ il piatto delle proteine, quello chiamato una volta "carne dei poveri", un surrogato efficace di quella vera. Davvero buono, con un dosaggio di spezie indovinato in cui risalta la radice di zenzero. Sui visi espressioni di soddisfatta sazietà, spesso tradotte in complimenti aperti per i due cuochi, Clara e Massimo, che hanno preparato tutto nella cucina di casa.

Inevitabile un confronto con cene a base di carni ricavate da vitelli racchiusi tra sbarre per un precoce raggiungimento del peso da macellazione, di polli allevati a 12 per metro quadrato cui si arrotonda il becco con una specie di temperamatite per impedire che si becchino l’un l’altro, di maiali allevati in gabbie a più piani, di aragoste e trote bollite vive in base a chissà quale necessità gastronomica, di animali castrati per una carne più tenera… un vero campionario di crudeltà inutile. Pare poi che, dopo la carne di struzzo apparsa qualche anno fa nei nostri supermercati, siano in arrivo nuove carni, un po’ per stare dietro alle consuetudini alimentari degli immigrati, un po’ per rinnovare il mercato con nuove proposte. Ecco così dall’Australia quella di canguro, dal Sudamerica quella di capibara, dal Medio Oriente, ma via Australia, quella di cammello e dalla California quella di scoiattolo! Cosa escogiteranno per farli crescere prima, meglio, di più e a minor costo?!

Ripassa una sorridente Wilma: "Perché no a latte e derivati?" - le chiedo.

"Le mucche fanno latte solo se partoriscono, come tutti i mammiferi. Appena nato, però, il vitello viene loro portato via perché il latte deve ciucciarselo la mungitrice. Dopo un po’ il livello di produttività cala in modo naturale ed ecco la necessità di un nuovo ingravidamento. Il gioco si ripete otto, dieci volte, finché l’eccessivo sfruttamento delle mammelle con la mungitrice non ne fa calare la resa: a quel punto non resta che cambiare mucca mandando al macello quella vecchia. Ecco perché non bere latte, insieme al non mangiare carne, è il mezzo più sicuro per chiudere allevamenti e macelli".

Provoco: pare che chi non mangia carne o comunque proteine animali, abbia grosse carenze organiche. Il tribunale di Milano, ad esempio, ha tolto nel ’99 a due vegani la figlia per malnutrizione!

Wilma: "La American Dietetic Association sostiene che diete vegetariane correttamente bilanciate sono adeguate dal punto di vista nutrizionale. La salute? I vegetariani hanno un indice di massa corporea più basso, muoiono meno per cardiopatia ischemica, hanno poco colesterolo plasmatico e una ridotta incidenza di ipertensione e di tumore alla prostata e al colon".

Verso le 23, dolci e tisane chiudono la serata vegana. Tra la ressa di chi recupera giacche e paltò solo commenti favorevoli per le pietanze e una condivisione dello spirito della cena, inconciliabile con la nostra percezione abituale degli animali come esseri inferiori, res, cose da utilizzare non importa con quali mezzi né per quali fini.

Osserva, a questo proposito, Milan Kindera nel suo "L’insostenibile leggerezza dell’essere": "La vera bontà dell’uomo può manifestarsi in tutta purezza e libertà soltanto nei confronti di chi non rappresenta alcuna forza. Il vero esame morale dell’umanità, l’esame fondamentale (posto così in profondità da sfuggire al nostro sguardo) è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali. E qui sta il fallimento fondamentale dell’uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri".

Tra questi fallimenti, da annoverare anche quello a carico di un certo John Nixon, messo a morte alle 10,16 di giovedì 15 dicembre nel carcere di Parchman, Missisipi, dopo vent’anni di braccio della morte. Aveva 77 anni.

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