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QT n. 4, 25 febbraio 2006 Servizi

Dietro le vignette sataniche

Il passato e il presente dei rapporti fra Islam e Cristianesimo. Da sempre i musulmani rispettano e venerano la figura di Gesù, vedendosi in cambio, da sempre, il loro profeta insultato e sbeffeggiato. Quanto all'oggi...

Dopo l’esplosione del caso "vignette satiriche" si sono sprecate le ipotesi dietrologiche: chi ha montato il caso, chi l’ha sfruttato, chi soffia sul fuoco, chi ci guadagna… Si è detto ad esempio che alcuni regimi arabi traballanti (Siria in testa) avrebbero colto al volo un’occasione per dimostrare la propria lealtà islamica ad una opinione pubblica dominata da sentimenti anti-governativi e sobillata dai fondamentalisti; che questi ultimi a loro volta si sono ritrovati tra le mani un argomento formidabile per dimostrare la bontà delle proprie tesi sull’Occidente cattivo, pervertito e nemico dei valori religiosi (argomento che specularmente, dall’altra parte della barricata, leghisti e destrorsi d’ogni specie sfruttano per dimostrare l’inemendabilità dell’Islam, strutturalmente violento e antidemocratico); su tutti, c’è poi stata la grande fanfara della "libertà di opinione" che suona a distesa sui media euro-americani ammettendo magari, a denti stretti, che sì, forse si è esagerato un po’, ma "noi abbiamo la libertà di parola" e "quelli lì devono accettare il fatto e farsene una ragione, se vogliono sperare di accedere un giorno alla nostra superiore civiltà".

I disordini di Bengasi.

Una brutta faccenda insomma, da qualunque parte la si guardi o riguardi. Il sentimento di reciproca estraneità tra mondo islamico e mondo occidentale è destinato sicuramente ad aumentare, il senso di insicurezza di chi viaggia nei paesi del Medio Oriente non diminuirà di certo; i (contestati o acclamati) profeti dello scontro di civiltà oggi gongolano…

Si potrebbe dividere la questione in due aspetti: uno pragmatico e uno etico. Per il primo aspetto, si nota che solo ora e con un terribile ritardo, le autorità danesi e norvegesi prospettano (interessati) "atti di riparazione": il sovrano di Norvegia ha presentato scuse ufficiali e il governo della Danimarca sta pensando a missioni diplomatiche in Medio Oriente.

Com’è noto, questi paesi, brillanti esempi della democrazia scandinava e che portano impresso sin nel vessillo nazionale il simbolo cruciforme della nostra civiltà, si sono di colpo accorti che rischiano di non riuscire più a vendere un solo euro di prodotti da quelle parti, che per i loro cittadini esibire passaporti danesi o norvegesi in Medio Oriente è diventato rischioso, sicché – abbassata la cresta - stanno predisponendo i necessari rimedi all’insegna del ben noto motto "Parigi val bene una messa"… Insomma, ragioni di opportunità e di interesse stanno facendo premio su quelle di principio: nessun paese europeo può evidentemente permettersi – in nome di una difesa ad oltranza della libertà di stampa e di opinione - di cacciarsi in un vicolo cieco come ha fatto la Danimarca, distruggendo in un colpo solo decenni di buoni rapporti e fruttuosi affari con il Medio Oriente. C’è da scommettere che le cancellerie europee hanno già emanato direttive discrete ma pressanti a direttori di giornali e testate radio-televisive affinché casi come quello delle vignette offensive non si ripetano più; anche la normativa vigente sulle offese alla religione, si può esserne certi, verrà rafforzata per fornire un efficace strumento giuridico alla dissuasione e prevenzione di simili casi.

L’aspetto etico è più complesso. Riducendolo ai minimi termini si potrebbe dire che "libertà dì opinione" non può significare "libertà di offesa" dei sentimenti altrui, tanto più quando sono in gioco valori identitari e religiosi. Il punto critico sta nel fatto che la satira di personaggi e valori religiosi (e politici) non è avvertita nel nostro comune sentire come una "offesa", bensì come una lecita espressione della libertà di opinione, laddove nel mondo medio-orientale la religione è, in linea di principio, cosa che non può essere fatta oggetto di satira.

Istanbul, Museo Topkapi: miniatura turca del XVI secolo che raffigura Maometto, seduto al centro, privo dei tratti del volto.

Il discorso si potrebbe allargare al costume. Colpisce ad esempio coloro che hanno avuto modo di vivere a lungo in paesi del Medio Oriente la pratica assenza della bestemmia e del turpiloquio nel linguaggio della gente che, al contrario, è spesso intercalato da piissime espressioni e giaculatorie da noi ormai cadute in disuso del tipo: "se Dio vuole", "Dio ti benedica", "grazie a Dio" e simili. L’arte, com’è noto, quantomeno in ambiente arabo, manifesta un grande pudore nel ritrarre forme umane (in pratica è solo nella miniatura persiana, turca e indiana che questo avviene con una certa libertà); in ogni caso non esistono "ritratti" di Dio, il volto del profeta Maometto è spesso non rappresentato o meglio coperto da una chiazza di colore chiaro che simboleggia la luce divina della profezia.

Quel che è meno noto è che lo straordinario rispetto che si ha nei riguardi di Maometto si estende anche alle altre principali figure profetiche ricordate nel Corano: Abramo, Mosè e Gesù. Gesù è certo ridimensionato: non è Dio ma devoto "servo di Dio" e soprattutto suo profeta. Ma il Corano, pur facendone un uomo, lo mette su un vero piedestallo di eccellenza considerandolo "l’eminente in questo mondo e in quell’altro" e dichiara che, non morto in croce, fu innalzato vivo al cielo da dove ridiscenderà alla fine dei tempi per annunciare a tutti l’ora del Giudizio finale; ancora, di Maria si legge "Iddio t’ha prescelta e elevata su tutte le donne del creato" e una sura (capitolo) del Corano porta nel titolo il suo nome.

Facile comprendere come queste due, ossia le figure di riferimento fondamentali dell’universo religioso cristiano, godano anche nell’Islam di un grande e incondizionato rispetto dal tempo di Maometto sino ai nostri giorni. A nessun musulmano verrebbe mai in mente (né gli verrebbe consentito), di scaricare su Gesù la responsabilità delle gesta di certi nostrani personaggi usciti da famiglie di "buoni cristiani" come Josef Stalin (ex seminarista) o Adolf Hitler, o le colpe dell’imperialismo coloniale europeo di ieri e di oggi. Neppure di fronte alle imprese dei vecchi crociati e dei nuovi, al desolante spettacolo offerto dalla più grande potenza cristiana di oggigiorno nelle prigioni di Guantanamo e Abu Grayb, si è mai levata una parola men che rispettosa nei riguardi di Gesù il "profeta dei cristiani".

Ben altro è stato l’atteggiamento storico della cristianità nei confronti di Maometto. Fin dal medioevo, la cristianità si è prodotta nella sistematica e violenta denigrazione della figura del profeta dell’Islam, che i nostri teologi e polemisti qualificavano come "falso profeta" e "impostore" e gratificavano di una serie infinita di epiteti ingiuriosi: "raptor, homicida, parricida multorum, proditor, adulter nefandus" e via dicendo. Insomma, siamo di fronte ad un palese squilibrio: i musulmani rispettano da sempre e venerano la figura di Gesù (popolarissima tra l’altro anche presso i mistici o sufi) e in cambio, da sempre si vedono il loro profeta insultato e sbeffeggiato.

Bologna, Basilica di S. Petronio: affresco che mostra Maometto all’inferno.

La prima conclusione che possiamo trarre è che la vicenda delle vignette non costituisce affatto un "caso unico e increscioso" dovuto a giornalisti incoscienti, l’azione sconsiderata di qualche testa calda, ma il prodotto di una mentalità diffusa e di un atteggiamento di secolare inveterato disprezzo per il fondatore di una religione che oggi richiama oltre un miliardo e duecento milioni di persone.

Se dopo aver brutalmente ri-colonizzato Iraq e Afghanistan con due guerre a dir poco discutibili, se dopo aver martellato sui media la figura di Osama bin Laden come icona dell’Islam attuale con ciò facendo di ogni musulmano – quantomeno agli occhi dell’opinione pubblica più sprovveduta - un potenziale "terrorista", ci permettiamo ora di sbeffeggiare – vantandoci persino di esercitare un nostro diritto inalienabile - la figura di Maometto, non meravigliamoci poi delle conseguenze paurose che sono sotto gli occhi di tutti.

Ulteriore considerazione. Il mondo cristiano che negli ultimi anni ha portato a termine il lungo processo di revisione e di riconoscimento delle sue storiche colpe per l’Olocausto degli ebrei, che anche con la voce coraggiosa dell’ultimo papa ha chiesto perdono, appare oggi come sollevato da un peso: si ha quasi l’impressione che si senta rifatto "vergine" e innocente. E torna a presentarsi candidamente nelle vesti di chi si sente di dare lezioni di diritto e civiltà a dritta e a manca.

Purtroppo non s’accorge neppure che al suo interno la storia del razzismo antisemita si sta ripetendo, questa volta con gli arabi e i musulmani.

Dalle farneticazioni anti-islamiche di "rabbiosi" giornalisti ai proclami insensati di certi politici (razzisti d’Italia, Olanda, Francia, Austria…); dalle prese di posizione di certi prelati che si sentono i nobili custodi di una superiore civiltà religiosa (che evidentemente ha ormai rimosso gli "incidenti" del massacro degli Indios operato dai conquistadores spagnoli, i pogrom anti-ebraici dell’Europa orientale, oltre che aver chiuso con l’Olocausto) sino al razzismo diffuso non solo tra il popolino ma anche tra le classi colte: ci pare che esistano tutti gli elementi storici e i tristi presupposti per la resurrezione di fantasmi che credevamo definitivamente seppelliti dalla storia.

Non è così, e faremmo bene a prenderne atto: la pulizia etnica e i massacri in Bosnia degli anni ’90 ci hanno già fornito un campanello d’allarme, purtroppo sottovalutato.

La storia, spesso vergognosa, dei nostri rapporti con le fedi altre non ci rassicura per niente e purtroppo ci consegna un solo sicuro trofeo, quello dei campioni della sopraffazione.