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QT n. 8, 22 aprile 2006 Servizi

Anestesisti: siamo all’emergenza

La Asl per "risparmiare" si trova con pochi anestesisti, le sale operatorie chiudono, i pazienti sono sottoposti a lunghe attese, anche dolorosissime. Ma è tutta la sanità trentina ad essere in sofferenza.

La sanità del Trentino offre, come scrivono le statistiche nazionali, un servizio di alta qualità? A leggere i quotidiani, le proteste sempre più diffuse degli utenti, le sofferenze dei professionisti medici e dei dipendenti del comparto, non sembrerebbe. O almeno, sembra che in ogni settore, una situazione prima buona e in alcuni casi ottimali, si stia degradando, fino a parlare apertamente di emergenza, di rischio ormai strutturale.

Partiamo da un primo dato preoccupante che nel Trentino governato dal centrosinistra sembrerebbe incredibile. Nessun medico si fida più a parlare direttamente, le notizie che ci vengono fornite non devono riportare le fonti, perché chi parla teme apertamente ripercussioni sul posto di lavoro, sulla carriera, sullo stipendio.

Oggi parliamo del servizio di anestesia, attualmente nell’occhio del ciclone (come raccontiamo nella testimonianza di pag. 27); ma avendo ben presente che la situazione descritta riassume le difficoltà di tutti i settori.

Tutto parte da delle intenzioni condivisibili: l’Azienda Sanitaria si propone una revisione dell’organizzazione del lavoro per flessibilizzarlo, nell’ottica di costruire una rete territoriale di servizi, con obiettivo la centralità del paziente; una patologia deve venir curata al meglio nella struttura più attrezzata, più idonea.

Ma cosa accade nella realtà?

Per arrivare all’obiettivo, vista la scarsità di personale, si chiede agli anestesisti di spostarsi sul territorio. Ma senza più regole, orari, riposi, ferie, giorni festivi. Il Trentino è l’unica provincia italiana dove non viene applicato il contratto. Non ci sono più limiti di orario di lavoro. Se nel mese di marzo i medici sono arrivati alla clamorosa proclamazione di tre giornate di sciopero, significa che la situazione è insostenibile ed ingestibile, che si sta mettendo a rischio l’intero settore della sanità trentina. Tutto l’insieme dei diritti viene congelato; ma di fatto centinaia di ore di straordinario, decine e decine di giorni di ferie maturati in questi anni vengono persi, né recuperati, né pagati. Agli anestesisti di Villa Igea vengono tolti d’imperio le indennità di rischio radiologico. Con quale logica si sia proceduto è incomprensibile, visto che negli altri ospedali le indennità vengono mantenute.

I dirigenti sono costretti a lunghi periodi di malattia? Non vengono sostituiti, i posti non vengono reintegrati. E ancora, i medici stanno aspettando arretrati contrattuali del 2000- 2002.

La prima giornata di sciopero doveva tenersi il 17 marzo. Dellai era intervenuto con fermezza, promettendo interessamento e soluzione dei temi proposti al confronto con l’APRAN (l’azienda che porta avanti la contrattazione per conto della Provincia, n.d.r.). Ma a tutt’oggi né Dellai né l’assessore alle politiche per la Salute, il diessino Remo Andreolli, hanno mosso un dito.

La sanità trentina, ci dicono i medici, ormai da anni non è più gestita dalla politica, ma dal dirigente del servizio Cura e Riabilitazione, dott. Fabrizio Fontana, e dal dott. Giorgio Paolino (peraltro di comprovata fede margheritina). Non c’è strategia, non c’è confronto, non c’è rispetto degli operatori. Il dott. Fontana fino a pochi mesi fa era addirittura consigliere dell’APRAN, una situazione di incompatibilità evidente; oggi si dice che il suo allontanamento di fatto sia solo formale.

Si annunciano servizi importanti, come cardiochirurgia, o il trasferimento dell’ospedale di Villa Igea al Santa Chiara. Ma non si spiega né come né con quale personale. Le condizioni di sicurezza degli edifici che dovrebbero ospitare il nuovo servizio sono trascurate, praticamente inesistenti.

Si annuncia con clamore mediatico l’avvio dell’ospedale senza dolore. Ma con chi? Con quale équipe? Dove ci sono queste strutture (Milano, Parma, Bologna), i servizi sono continui, operano équipe ad alta specializzazione, l’improvvisazione non è ammessa.

Davanti all’assenza di diritti e di certezze, alla carenza di progettualità e trasparenza, ogni annuncio rivela la sua fragilità e insostenibilità. Il personale viene portato all’esasperazione, con turni impossibili di 12, anche 24 ore di lavoro consecutive.

In questa situazione il primo ad esplodere è stato il disagio degli anestesisti, come abbiamo visto chiamati a coprire l’intero territorio, in una condizione di brutale restringimento dei diritti e della qualità del lavoro.

Basti pensare che ogni anestesista matura in un anno dalle 400 alle 550 ore di straordinario, una media di 2 ore al giorno. E stiamo parlando di media; in realtà poi, come con il pollo di Trilussa, le situazioni sono differenziate. Perchè negli ospedali di periferia si vive una certa serenità (a Cavalese, Borgo Valsugana, Riva, con tre anestesisti i reparti reggono) ma altrove si precipita nel caos. Come può lavorare a Mezzolombardo l’unico anestesista presente quando nella pianta organica sarebbero previsti quattro posti? E così a Villa Igea, dove per la carenza di personale si tagliano tre sale operatorie su quattro; e il tanto declamato servizio di cardiochirurgia non può partire, perché mancano 5 anestesisti.

E infatti il (prevedibile) risultato di questo disagio è stato l’acuirsi della carenza di anestesisti, con conseguente crisi del punto più delicato, anzi cruciale dell’intero sistema, l’attività delle sale operatorie.

Vengono così chiamati dei professionisti assunti a tempo determinato. Ma è la situazione che non è sostenibile: c’è chi vi resiste anche 28 giorni, ma altri scappano dopo 20 o anche 3 sole giornate di lavoro.

A questo punto, ormai all’emergenza, ci si appresta a chiamare da Verona altri professionisti a 1.200 euro al giorno. Una cifra spropositata, che dà l’idea della bancarotta - economica ed organizzativa - cui portano politiche inadeguate, perseguite proprio con l’idea di razionalizzare e risparmiare.

Il discorso infatti è generalizzabile alla politica gestionale dell’insieme dell’Azienda Sanitaria. Le direttive sul lavoro non ar-rivano più attraverso un confron-to diretto fra dirigente e medico subalterno, o una discussione con l’équipe sanitaria. Da via Degasperi arrivano le e-mail, ordini tassativi che non tengono in nessun conto le effettive risorse umane. I primari sono di fatto privi di ogni potere, sono diventati dei burocrati di reparto portati ad un continuo conflitto con i propri subalterni. Le scelte vengono infatti imposte solo dai capidipartimento con una logica verticistica, insostenibile in una società democratica e complessa, all’interno della più importante azienda del Trentino, 7100 dipendenti.

Risultato: nei reparti le équipe mediche o dirigenziali vengono costrette a camminare a capo chino; in tutti i settori, fra gli infermieri, gli ausiliari, il personale amministrativo.

In questo modo non si costruisce professionalità, con simili comportamenti della dirigenza amministrativa e sanitaria viene a mancare un presupposto fondamentale del settore sanità: la stabilità, la fedeltà del dipendente; oggi tutto è precario e privo di certezze.

Anche il percorso professionale non viene impostato in funzione della crescita del giovane medico, ma delle necessità organizzative. I neo assunti infatti finiscono per lo più nelle periferie, a coprire i buchi di organico in un valzer sempre più improvvisato. Nelle periferie non si impara, si seguono solo le emergenze o le piccole patologie; e negli ospedali importanti ci si deve quindi affidare alle costosissime consulenze esterne.

Lo ripetiamo: la crisi di anestesia è il caso ora più clamoroso, ma le stesse disfunzioni possiamo vederle in altri settori. A giugno se ne andranno 5 ortopedici e si cadrà in una nuova emergenza, altri medici di chirurgia o di radiologia andranno in pensione (questi ultimi disperati per la gestione personalistica del dipartimento): ma saranno sostituiti? E come? Con quali tempi?

Vittime del sistema sono certamente gli operatori, i medici e i dipendenti del comparto sanità, ma l’anello più debole della catena è sempre il cittadino che si trova ad avere bisogno della prestazione medica o ospedaliera. Ogni disfunzione organizzativa ha ed avrà ricadute pesanti; ed infatti i dati sull’emigrazione dei pazienti li abbiamo letti; ma nonostante i costi del disservizio, non si pone alcun correttivo sostanziale alla situazione. Come non si pone rimedio alla vergogna delle liste di attesa, un sistema che sembra costruito per indurre il cittadino a rivolgersi alle prestazioni mediche private.

Si pensi all’assurdità dei centri di prenotazione unica. Cittadini di Trento vengono spediti a Cavalese per la TAC e contemporaneamente residenti in Val di Fassa vengono costretti per la stessa prestazione a scendere a Trento.

Riprendendo una recente lucida analisi di Franco de Battaglia, se oggi la sanità trentina regge ancora un discreto livello qualitativo questo risultato non lo dobbiamo certo al personale dirigente, e nemmeno all’attuale inconsistente assessore, ma solo alla disponibilità, al sacrificio, alla correttezza verso i cittadini che il personale, nonostante tutto, riesce a dimostrare.

Un medico con tono veramente sconsolato conclude alcune sue considerazioni con una denuncia grave: la presenza di un degrado morale diffuso nella gestione della sanità trentina. Si lavora per l’immagine (si pensi alla presenza di un apposito ufficio stampa) senza investire in capitale umano ed in conoscenza, riducendo il più possibile i diritti dei lavoratori, togliendo ogni incentivazione e motivazione all’investimento in personale specializzato sul nostro territorio.

L’Azienda Sanitaria trentina è arrivata alla sfacciataggine di presentare una sua bozza di contratto, un vero e proprio contro-contratto aziendale. L’obiettivo? Cancellare la normativa dei diritti presente a livello nazionale.

Ora si attende l’intervento politico: l’assessorato non può continuamente sfuggire il confronto pubblico, serve un atto di umiltà verso il personale medico e di comparto, ma anche nei confronti dei pazienti e dei parenti dei malati. Anche perché la pazienza dei dipendenti, e degli stessi cittadini trentini sta arrivando al limite della sopportazione.