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Sanità trentina: emergenza? No, disastro

Marta Rossaro

E’ certamente condivisibile l’analisi di Luigi Casanova svolta nell’articolo Anestesisti: siamo all’emergenza, comparso sul numero scorso di Questotrentino. Tuttavia il quadro delineato è fin troppo ottimistico. Si può purtroppo affermare senza essere smentiti che la sanità  trentina è alla deriva. I dati sono incontestabili. Quarantanove milioni di euro è la voragine di soldi pagati dalla Provincia per i ricoveri di 16.000 malati trentini che si sono rivolti in ospedali extraprovinciali per interventi chirurgici nel solo 2004.

Quasi 6 milioni di euro è il buco nel bilancio del fondo sanitario provinciale dovuto alla fuga di utenti trentini che negli anni 2002-2004 si sono rivolti fuori provincia per eseguire esami radiologici.

Gli ospedali trentini sono privi di requisiti minimi (come la presenza di un ginecologo 24 ore su 24 nei punti nascita distrettuali) previsti da una legge statale del 1997, provinciale del 2000 e rinviati dall’assessore Andreolli al 2009 ed oltre.

Mancano radiologi reperibili negli ospedali di Arco, Cles, Cavalese e Tione, di sabato, nei giorni festivi e dalle ore 8 alle ore 20 dal lunedì al venerdì, con grave rischio per la salute dei cittadini.

Non esistono in Italia ospedali con un numero di possibili cittadini afferenti come quelli prima menzionati senza reperibilità  radiologica di notte, sabato e nei giorni festivi.

Secondo una recente ricerca del Corriere della Sera, il Trentino è all’ultimo posto tra le regioni italiane nell’attuazione dello screening del carcinoma del colon-retto. Decine di morti avrebbero potuto essere evitati e peseranno come macigni sulla coscienza dell’assessore Andreolli, che ha preferito sprecare 311.850 euro per un accreditamento della JCI, inutile ai pazienti, che è servito solo al dott. Favaretti (il direttore aziendale più pagato) nella futura ricerca di un posto al sole.

La mancanza di auto medica, al di fuori dell’ospedale S. Chiara di Trento ed il fallimento della riorganizzazione dell’emergenza che prevedeva l’abolizione dei medici di continuità  assistenziale (meglio noti come guardia medica) evidenziano la totale incapacità del neo assessore Andreolli di gestire persino le basi di un servizio sanitario.

Si è inaugurata la nuova Piastra servizi dell’ospedale di Rovereto, ma non i quattro nuovi posti letto di Rianimazione che avrebbero dovuto diminuire l’enorme carenza di posti rianimazione, tale da obbligare il trasporto in ospedali fuori provincia (anche a 300 chilometri) di malati trentini in fin di vita, con grave disagio degli stessi e dei parenti.

Il problema degli anestesisti, poi, esige una chiarificazione. L’attuale situazione di grave carenza di organico provinciale con riduzione delle sedute operatorie l’hanno voluta gli anestesisti stessi in nome del dio Soldo. Infatti i sindacati medici hanno firmato un contratto provinciale che prevedeva il mantenimento di organici anestesisti al di sotto di qualsiasi criterio minimo di sicurezza per i malati negli ospedali distrettuali, nei quali gli stessi anestesisti si recavano invece come "prestazioni aggiuntive", ossia con centinaia di euro in più nella busta paga. Lo stesso discorso vale per i radiologi: due categorie mediche che hanno contrattato con Favaretti una grossa torta di migliaia di euro e che di conseguenza meno medici radiologi e anestesisti più le fette della torta sono grandi per quelli che hanno sottoscritto un accordo virtuoso per le loro tasche.

Poi improvvisamente il giocattolo del profitto si è rotto per l’improvvisa mancanza di alcuni anestesisti, imprevista in quanto nessuno pensava che i concorsi trentini fossero disertati da anestesisti e radiologi. Sia chiaro: sul mercato gli anestesisti si trovano, perché le scuole di specialità  ne sfornano a decine, ma chi inizia a lavorare dopo dieci anni di studi può anche pensare, almeno all’inizio, non solo ai soldi, ma anche alla professionalità. Ma questa si è ormai persa ed il servizio sanitario provinciale, con le prestazioni "aggiuntive" e l’attività  libero-professionale dilagante è diventato un esempio unico in Italia di servizio sanitario pubblico in cui più che mai la salute è mercificata e la malattia trasformata in affare.

Non dimentichiamo che stiamo finanziando con soldi pubblici "un sospetto" corruttore. Infatti Andreolli non ha perso l’occasione di gettare la spugna, ammettendo che la radiologia pubblica non funziona e convenzionandosi con la Casa di Cura Solatrix, il cui maggior azionista ha già  spedito nelle patrie galere per sospetta corruzione tre noti personaggi.