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QT n. 18, 28 ottobre 2006 Cover story

Il marcio nel comune di Trento

Lo scandalo è ufficiale: il Tar certifica che lo scempio edilizio della collina di Trento viene compiuto con l’avallo degli Uffici comunali, ma contro le norme e le leggi. I meccanismi e i nomi dei responsabili del sacco della collina; la storia di un Comune che agisce contro i cittadini. E l’ultima proposta - indecente - dell’assessore primo responsabile, Alessandro Andreatta.

Guardate il condominio che riportiamo in copertina e qui sotto: palazzine a tre e quattro piani, in via Gocciadoro, che vanno a devastare – lo si nota subito - la collina e la sua prospettiva. Bene, si tratta di costruzioni illegittime. La concessione edilizia c’è, ma è stata rilasciata in contrasto con quanto prevede il Piano Regolatore. In buona sostanza, è un abuso; ma, a differenza che in altre parti d’Italia, un abuso legalizzato, o meglio, avallato dagli Uffici comunali.

E questo è il caso di tante costruzioni sulla collina di Trento (come riportiamo in un servizio fotografico Le foto dello scempio): piccoli e grandi mostri sorti e che continuano a sorgere ovunque, in spregio a elementari nozioni di urbanistica, di paesaggio, di vivibilità, di accessibilità. E, quel che più conta, in spregio alle normative, che gli Uffici comunali disattendono, anzi calpestano con sistematicità.

L’assessore Alessandro Andreatta. Dicono che sia un bravo ragazzo.

E la politica? L’assessore all’Urbanistica Alessandro Andreatta, bravo ragazzo, boy scout, che ogni due-tre mesi rilascia dure interviste (“Non permetteremo lo scempio della collina”)? Il bravo ragazzo, il boy scout è perfettamente a conoscenza di tutto, e tutto avalla, anzi, copre. E il sindaco, Alberto Pacher Cuor di leone? Fa finta di non vedere.

Questo scandalo ora è ufficiale. Ha i timbri e i crismi di una sentenza del Tar, che certifica come tali le illegittimità. E implicitamente pronuncia una durissima condanna della scellerata urbanizzazione selvaggia della collina.

Sì, perché qualsiasi cittadino, passando per Povo, Villazzano, Martignano, non può non chiedersi: come è stato possibile tutto questo? Nessuno ha pensato a un minimo di regole?

La risposta ora c’è. Le regole ci sono, ma le hanno infrante. Sappiamo come. E chi.

Partiamo dal quadro generale, per capire meglio l’operato del Comune. Il paesaggio, l’ambiente, e più in generale la vivibilità urbana sono valori apparentemente ovvi; ma solo recentemente riconosciuti in Italia. In Trentino la Provincia il problema se lo è posto ai tempi della legislazione dell’assessore Micheli, con la Legge urbanistica del ’91, che prescrive che i Piani regolatori dei Comuni debbano contenere, “ai fini della tutela paesaggistico-ambientale, le norme opportune in ordine alla tipologia, le altezze, la cubatura ecc”.

E’ un passaggio importante, che spiazza gli affarismi speculativi, costretti in tal modo a cercare di eluderlo. Negli anni ’90 a Trento è assessore all’Urbanistica Sergio Niccolini. Assessore esterno, nominato direttamente dall’allora sindaco Lorenzo Dellai, rappresenta il collegamento della politica con l’affarismo immobiliare: ha la faccia tosta di proporre ufficialmente, come terreno del nuovo ospedale, quello dell’ex-Carbochimica, superficie più piccola dell’ex-Santa Chiara, in una zona più congestionata, limitata dalla ferrovia, attraversata da un elettrodotto e soprattutto pesantissimamente inquinata; ma di proprietà dello speculatore bolzanino Pietro Tosolini. Ora che non è più assessore, che fa Niccolini? Fa il procuratore di Tosolini.

E’ sotto tale tempra di difensore del bene pubblico che, a cavallo tra il ’94 e il ’95, viene licenziato il Piano Regolatore, che passa, in Provincia, all’esame della Commissione Urbanistica Provinciale (Cup); la quale riscontra, in particolare per la collina, la mancanza delle prescrizioni previste dalla Legge urbanistica, quelle di cui abbiamo sopra parlato. Fuori dai termini burocratici, il messaggio della Cup al Comune è questo: se non provvedete a porre delle limitazioni, la collina viene massacrata, e questo non si può fare.

Qui chiediamo un attimo di pazienza al lettore, dobbiamo addentrarci in alcuni dettagli tecnici. Dunque, per ottemperare alle raccomandazioni della Cup il Consiglio Comunale appronta due strumenti urbanistici: il cosiddetto Allegato 5, un documento che impone tutta una serie di prescrizioni zona per zona (in collina quasi ovunque un massimo in altezza di tre piani e 10 metri); e l’introduzione nella cartografia, a fianco della zona B3 (indice volumetrico 2,5 metri cubi per metro quadro, altezza massima 12 metri) di una nuova zona urbanistica, la B3a (altezza massima di 10 metri pur con le stesse volumetrie della B3).

A questo punto il Piano va, con l’allegato 5, in Provincia per l’approvazione definitiva: la Cup rileva come l’adeguamento alla legge non sia ancora completo, perché alcune zone non sono state prese in considerazione, o le prescrizioni sono parziali, o ci sono discordanze nelle mappe. Il Comune (assessore sempre Niccolini) risponde che è vero, “consapevole dell’incompletezza di questo lavoro… ritiene che esso costituisce (il congiuntivo ormai è un optional, n.d.r.) una fase transitoria, in attesa di norme ambientali più articolate ed estese all’intero territorio”, che emanerà quanto prima. Promesse da marinaio: il Comune, ottenuta l’approvazione definitiva del Prg, da allora (10 ottobre ‘95) ad oggi non fa niente.

Questi passaggi sono molto illuminanti di un dato che vedremo costante: il Comune, l’allegato 5 lo digerisce di mala voglia. E la vivibilità della città? Quella è roba buona per i comizi.

Infatti, dopo l’approvazione del Prg, accade l’inghippo. In due fasi: da una parte per alcune aree gli Uffici comunali non prevedono il passaggio a B3a; dall’altra non considerano più l’allegato 5, lo ripongono in un cassetto e si comportano come se non fosse più operante, pur essendo parte integrante del Prg. Con quale autorità? Con quale legittimità? Mistero.

Il risultato è semplice: si rilasciano le concessioni edilizie come fossero B3.

La cosa non è per niente secondaria, quella letterina “a”, unita alla rimozione dell’allegato 5, stravolge tutto. Infatti la zona B3 è quella prevista da Niccolini, cioè via libera ai condomini, si possono costruire volumetrie abnormi (2,5 metri cubi per metro quadro è tanto) anche perché, come vedremo, sempre con la colpevole connivenza degli Uffici comunali, si può ulteriormente barare sulle altezze; invece la B3a, con la limitazione dell’altezza a 10 metri, rompe le uova nel paniere, la generosissima volumetria del Prg di Niccolini non è sfruttabile. In sostanza, sepolto l’allegato 5, con la B3 si possono sostituire le attuali villette mono/bifamiliari con condomini di 12-15 appartamenti.

In quelle aree prontamente intervengono le immobiliari. E sorgono i mostri, a deturpare e congestionare la collina.

E i cittadini? Si lamentano. I giornali? Scrivono contro il degrado. Le circoscrizioni? Protestano. Ma è un rumore di fondo, generico e quindi innocuo. I meccanismi dello stravolgimento non sono noti e la progressiva devastazione sembra un fenomeno naturale, infausto ma senza responsabili.

Un assessore come Alessandro Andreatta, bravo ragazzo e boy scout, può tranquillamente assorbire tutto, basta rilasciare ogni tanto un’intervista sull’”impegno ad arrestare lo scempio”.

Tutto questo finché un gruppo di cittadini, con tenacia, senso civico e anche testardaggine, non decide di andare a vedere i meccanismi fino in fondo.

Il fatto lo abbiamo già raccontato (“Quando il Comune ‘sbaglia’ favorendo la speculazione” nel n° 2 di quest’anno) e qui lo riassumiamo aggiornandolo.

I cittadini di via alla Val a Povo si vedono una casetta unifamiliare confinante acquistata da un’impresa, la Libardoni, e apprendono che, con regolare concessione edilizia, sta per essere trasformata in un condominio. Ma come? In una zona delicata, di pregio, con attorno tutte casette, una stradina di accesso così stretta che non puoi neanche fare inversione di marcia? Si mettono con pazienza a rovistare nelle carte e scoprono l’incredibile: la concessione edilizia è stata concessa in aperto spregio di almeno tre norme chiarissime.

Vediamole. La prima è la mancata applicazione dell’allegato 5, che inspiegabilmente gli Uffici comunali decidono di non applicare per quella zona, peraltro opportunamente (per l’impresa) ma erroneamente classificata B3 e non B3a.

L’imbroglio delle altezze Il disegno è quello del Regolamento Edilizio del Comune: e specifica come si misura l’altezza a valle (HFV) in un edificio costruito su un terreno in pendenza.
L’imbroglio delle altezze. Il disegno (nostra elaborazione) spiega invece come si imbroglia: si prevede, nella parete esterna, un muretto in cui si inserisce un pò di terra, e si calcola la sommità del muretto come quota del terreno da cui partire per misurare l’HFV; in un terreno in pendenza si guadagnano così due-tre metri o anche più di altezza della casa. E gli Uffici Comunali? Sono consenzienti.

La seconda è la misurazione dell’altezza. Per spiegare, ci aiutiamo con i disegni a pag. 14. Il Prg stabilisce che, quando si è su un terreno in pendenza, l’altezza di un edificio va computata o dal livello naturale del terreno, oppure a partire dallo “spiccato” (il piano di appoggio dell’edificio) se questo, in seguito ai lavori, risulta più basso. I costruttori cosa fanno invece? Calcolano l’altezza partendo dalla vecchia conformazione del terreno (quella prima dei lavori) ricorrendo a una gustosa gabola: incorporano nell’edificio un muro che arriva fino alla primitiva altezza del terreno, dentro il muro stipano alcune badilate di terra (questo sarebbe il “livello naturale del terreno”), e fanno partire il calcolo dell’altezza dalla sommità del muro, guadagnando così due-tre metri di altezza, un intero piano in più. Un imbroglio bello e buono, una cosa che sarebbe da ridere, da liquidare con una pedata nel sedere al progettista cialtrone, ma che invece viene preso per buono dai nostri ineffabili Uffici comunali, per i quali è tutto in regola. E così questo diventa lo standard per le costruzioni in collina, la moneta cattiva scaccia quella buona, gli studi tecnici ricorrono a questo trucco, e le altezze lievitano.

La terza norma violata è quella che riguarda l’accessibilità stradale. Prima ancora del cittadino, anche il legislatore sa che non si possono assiepare persone, e quindi macchine, attorno a stradine di campagna. Esistono quindi precise prescrizioni sulle caratteristiche (larghezza, pendenze, curvature) delle strade di accesso: nuove edificazioni si possono concedere solo se le strade sono adeguate, o se l’imprenditore provvede in tal senso. La parte in questione di Via alla Val è larga tra i 3 e i 3,5 metri (due vetture medie - cioè larghe 1,8 m - non ci passano, né – lunghe 4 metri – possono fare inversione di marcia); e lo stesso Comune nel 2004 aveva redatto una mappa della viabilità cittadina, ed evidenziato le zone in cui non era possibile concedere licenze per rendere abitabili i sottotetti, in quanto il maggior carico antropico/automobilistico non era sopportabile. Via alla Val, come tante altre aree collinari, rientra in questa categoria; ma lo stesso Comune, che non ritiene accettabili i sottotetti, rilascia invece tranquillamente le concessioni per le nuove mega-edificazioni, che decuplicano gli abitanti: da 1-2 a 12-15 famiglie.

Il grave è che in tutte queste illegittimità c’è del metodo. Non riguardano solo Via alla Val, ma decine di casi in tutta la collina. A pag. 6 riportiamo una documentazione fotografica degli edifici fuori norma sorti in collina, una sorta di galleria degli orrori; e questo è il costruito, ma altre aree sono pronte per essere cementificate, attendono il via dei lavori.

Ma il metodo del Comune, proprio in quanto tale, e quindi coinvolgente affarismi per centinaia di milioni, non viene abbandonato. Di fronte ai cittadini di Via della Val, che scoprono gli imbrogli, il Comune rivela la sua vera faccia.

Ci si aspetterebbe infatti che, di fronte alle rivelazioni, si ponessero dei rimedi; che gli Uffici parlassero di errori da rimediare; che l’assessore all’urbanistica, il bravo ragazzo e boy scout Andreatta, prendesse provvedimenti; che il sindaco, messo sull’avviso, desse a tutti una regolata. Niente di tutto questo.

Via alla Val: la villetta (degli anni ‘80!) prima di essere demolita per farvi sorgere un condominio (fuori legge).

Quando i cittadini, alla ricerca della salvaguardia della vivibilità della propria zona, si rivolgono al Tar, il Comune, invece di rettificare e fare pulizia al proprio interno, resiste al ricorso. Di più: quando, lo scorso dicembre al Tar viene sconfitto, ancora si rifiuta di cambiare rotta, e continua imperterrito a rilasciare concessioni edilizie in barba alle norme: il 27 dicembre 2005 rilascia una ulteriore concessione, per trasformare in Via della Val un’altra villetta in condominio. Più tutte le altre nel resto della collina.

Il caso però comincia a diventare clamoroso. I cittadini, ancora nel dicembre 2004, avevano presentato come osservazione alla variante del Prg le loro rimostranze (titolo: “Un errore di zonizzazione clamoroso”). Fra le oltre 1000 osservazioni, quasi tutte tendenti ad ottenere nuove edificabilità, questa è forse l’unica che chiede una limitazione (che per molti dei firmatari, essendo proprietari, è anche un’autolimitazione) e un rispetto delle norme; è invece quella che in Commissione Urbanistica viene continuamente rimandata. E manda in tilt l’apparato, che inizia ad agire senza criterio.

Agli Uffici (facciamo i nomi: nelle persone degli architetti Luisella Codolo e Paolo Penasa) viene lanciata una ciambella di salvataggio: ammettete che si tratta di errori, correggeteli, e tutto si risolve. Ma questi si guardano bene dall’afferrarla: insistono nel proclamare la legittimità del loro operato con osservazioni da azzeccagarbugli. L’assessore Andreatta, per quanto pesantemente sollecitato dalla stampa (oltre a noi, anche il Trentino, con un durissimo intervento di Franco de Battaglia), a parole rilascia le solite dichiarazioni bellicose, ma nei fatti perde tempo senza fare alcunché.

La situazione degenera, e coinvolge anche Pacher.

La demolizione della villetta

Un verbale della Commissione Urbanistica del 10 febbraio sancisce che “la Commissione respinge la richiesta” dei cittadini; ma è un falso (o un errore, fate voi): la Commissione non ha sancito un bel niente, e il verbale deve essere rifatto.

Ancora Andreatta, il bravo ragazzo e boy scout pasticcia: due volte, in Commissione Urbanistica (4 maggio e 12 maggio 2006), di fronte alle richieste di trattare l’osservazione su Via alla Val, risponde che la questione è già stata trattata. E non è vero.

Interviene il Difensore Civico dott. Borgonovo Re, cui esasperati si sono rivolti i cittadini; e chiede dei chiarimenti al sindaco: il quale, in data 17 luglio, risponde che “detta osservazione è stata trattata unitamente alle altre... non sono stati ravvisati elementi per procedere” alla correzione degli errori. Non è vero. La incomprensibile risposta di Pacher è stata redatta “sentita la dirigente del Servizio Urbanistica, arch. Luisella Codolo”. Ma la stessa Codolo contemporaneamente – e qui correttamente - scrive ai cittadini dicendo che la loro osservazione “non è stata ancora trattata”. Il Difensore Civico (vedi il caso ampiamente riportato nel sito www.consiglio.provincia.tn.it/consiglio/difensore_civico/art_articolo.it.asp) non ci sta ad essere menato per il naso: e in una durissima replica dell’ottobre (“La sua breve comunicazione non può essere considerata una risposta non essendo né congrua né esauriente”) arriva ad accusare Pacher di “falsità” (corsivo nel testo) in corrispondenza ufficiale. In realtà si è persa la testa. E si perde tempo in attesa di una seconda sentenza del Tar, cui i cittadini si sono rivolti per contestare la concessione edilizia rilasciata in dicembre.

Il 29 settembre il Tar si pronuncia. Ed è per il Comune una mazzata: perché revoca la concessione edilizia in Via alla Val, ufficialmente illegittima, condanna l’impresa e il Comune al pagamento delle spese processuali dei cittadini, e stabilisce in termini inequivocabili: che l’allegato 5, parte integrante del Prg, va applicato, e integralmente; che non si possono rilasciare concessioni con strade d’accesso inadeguate; che la misurazione delle altezze va eseguita come indicato nel Regolamento edilizio e non secondo la prassi allegramente accettata dagli Uffici comunali. Di più: nel concedere le concessioni occorre anche tenere presente l’accessibilità ai mezzi dei Vigili del Fuoco (dato importantissimo quando si parla di autorimesse, sempre potenzialmente pericolose, vedi l’esplosione di questi giorni a Gardolo), cosa assente in Via alla Val, come in tanti altri casi in collina.

Come dicevamo all’inizio, il Tar apre ufficialmente lo scandalo. Come può il Comune aver rilasciato per anni concessioni edilizie in palese contrasto con le norme? Chi ha deciso che alcune parti del Prg (l’allegato 5) non andavano rispettate? E che altre ancora (regole per misurare le altezze, prescrizioni sulla viabilità, accessibilità ai mezzi dei Vigili dl Fuoco) andavano stravolte o ignorate?

La voragine, profonda una decina di metri, che resta oggi. E che, dopo il pronunciamento del Tar, potrebbe essere riempita solo ricostruendovi (ma sopra un buco?) un’altra villetta. Della serie: il diavolo, la pentola, il coperchio.

Della cosa sarebbe bene si occupasse la Procura della Repubblica, per vedere se ci sono responsabilità penali. Ma intanto ci sono responsabilità amministrative e politiche.

I dirigenti, come si permettono di disapplicare le norme, di decidere loro le parti del Prg che vanno ottemperate, e quelle che vanno messe nel cestino? E questo comportamento è tutto farina del loro sacco o c’è stata qualche indicazione proveniente dal livello politico?

E l’assessore Andreatta, bravo ragazzo e boy scout, si è accorto di quanto stava succedendo? Certo che sì, è da un anno che cittadini e stampa martellano su questo; perché allora ha continuato a coprire un andazzo fuori da ogni legittimità? Perché ha permesso che l’allegato 5 continuasse a non essere applicato? Le illegittimità di queste persone hanno portato al disastro della collina. Sarebbe ora che se ne tirassero le conseguenze.

Ora si aprono in effetti nuovi scenari. Gli abitanti della collina, che vedono un crescendo di attacchi alla qualità della loro vita, sono esasperati. Le circoscrizioni dimostrano un’insofferenza sempre più palese e ormai ufficiale alla politica urbanistica del Comune. Crediamo dovrebbero porsi degli obiettivi concreti: l’allontanamento di Andreatta e l’applicazione integrale dell’allegato 5.

Cosa, quest’ultima, che non potrà che essere rigorosa e doverosa. Ormai qualsiasi costruzione con concessione in difformità dall’allegato 5 può essere bloccata con un (sacrosanto) ricorso al Tar. Anche quelle in corso d’opera, come l’edificio che riportiamo in copertina.

Ma qui registriamo l’ultima, incredibile puntata della vicenda. Il bravo ragazzo e boy scout Andreatta, se ne esce (prima pagina del Trentino del 23 ottobre) con la solita sparata: “Stop ai palazzi in collina... Ridurremo gli indici, nel 2007 nuova variante”.

Faccia di bronzo? Lui, primo responsabile dello scempio delle norme, cerca di rifarsi una verginità? Peggio, molto peggio.

Il bravo ragazzo, il boy scout sta cercando una via d’uscita per poter proseguire lo scempio. Infatti il giorno dopo su L’Adige prosegue e specifica: le scelte sulla collina “vanno collegate alla revisione dell’allegato 5. Uno strumento che è ormai superato e va ripensato”. Ecco la soluzione! L’allegato 5 messo in un cassetto (complice Andreatta) perché impediva lo scempio, ora che è stato tirato fuori va cambiato (sempre da Andreatta)!

Questo bravo ragazzo, questo boy scout, lo vogliamo rispedire in parrocchia? E l’allegato 5, lo vogliamo rispettare?

Altrimenti diciamolo chiaramente: della collina e della vivibilità, non ce ne frega niente.