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QT n. 20, 24 novembre 2007 Cover story

Il marcio al Comune di Trento: le responsabilità

L’assessore all’urbanistica ammette (finalmente) gli “effetti terribili” sulla città delle sostituzioni di villette con condomini. Non rileva però le responsabilità: che sono dei suoi Uffici, che hanno rilasciato abnormi concessioni edilizie, del tutto illegittime. Cosa ora si potrebbe e dovrebbe fare: demolire i mostri e rimuovere i dirigenti. Ma difficilmente lo si farà. Ed ecco allora la vicenda aggravarsi, perchè sono incombenti le responsabilità penali. Vediamo come...

Una settimana dopo il nostro servizio dello scorso numero, sul "Marcio nel Comune di Trento: speculazione, illegalità, menzogne" in merito ai mostri edilizi cresciuti in collina grazie a concessioni edilizie illegittime rilasciate dal Comune, qualcosa si è mosso.

Nelle foto di queste e delle prossime pagine: il mostro del Cernidor, eretto in flagrante violazione delle norme paesaggistiche, delle misure delle altezze, delle cubature, della viabilità e della sicurezza anti-incendio. E nonostante tutto questo, il progetto è stato approvato dagli Uffici Comunali.

E’ all’ordine del giorno in Consiglio comunale la "revisione degli indici", ossia (si spera) una sostanziale diminuzione delle altezze e cubature ammesse. Contemporaneamente, sul Trentino del 19 novembre, l’assessore comunale all’urbanistica, Lorenzo Andreatta, si lancia in una dura denuncia: "Dobbiamo evitare che si ripetano gli effetti terribili prodotti negli anni dalle sostituzioni edilizie, dove al posto di ville famigliari sono cresciuti condomini con una cubatura tre o quattro volte più alta". Sì, "effetti terribili": parole sante.

Per di più dette da chi ha sempre minimizzato, quando non negato, il problema, e in un dibattito pubblico (vedi Ancora sul marcio in Comune) aveva accusato chi scrive di propagare "falsità" e preannunciato un "documento di quindici pagine" che tali "falsità" avrebbe smascherato. Delle "quindici pagine" non se ne è vista neanche una; in compenso è venuta l’ammissione dei fatti e della loro gravità.

Tutto bene, dunque? QT può essere soddisfatto della campagna stampa intrapresa ormai da un anno? E soprattutto, i cittadini possono aspettarsi che gli sfregi urbanistici siano fermati?

Calma. Perché, mentre ci felicitiamo con l’assessore Andreatta per aver dismesso i panni dell’azzeccagarbugli che trovava sempre nuovi fantasiosi inghippi pseudo-legali per difendere atti pubblici scandalosi, in flagrante conflitto con gli interessi della città, non possiamo non rilevare come il suo attuale grido di dolore, la sua scandalizzata invettiva, sia per lo meno monca. Gravemente monca.

Questi "effetti terribili", da cosa sono stati causati? Alessandro Andreatta, da sette anni assessore all’urbanistica, quindi deputato a governare la problematica, se ne è fatto un’idea?

In attesa del Consiglio comunale in cui si discuterà la vicenda (tenuto dopo la chiusura del giornale, non ne possiamo quindi riferire) a noi frulla un’idea per la testa: che Andreatta intenda addossare la responsabilità dei mostri alla normativa inadeguata.

E qui non ci siamo proprio. Perché rivedere le norme, renderle più severe (soprattutto quella sulle cubature, cioè sui volumi edificabili) è cosa giusta. Ma addossare gli "effetti terribili" alle norme, è fuorviante: per la semplice ragione che i mostri sono stati costruiti non grazie alle norme, bensì calpestandole. Attraverso concessioni edilizie regolari in quanto sciaguratamente rilasciate dagli Uffici comunali, ma illegittime in quanto contrarie alle normative. A Trento, in questi anni, si sono fatti colossali abusi edilizi con il timbro del Comune.

Una cosa gravissima, su cui Andreatta ora cerca di sorvolare. Ricapitoliamoli, questi abusi e violazioni.

1. Gran parte dell’area collinare è tutelata paesaggisticamente da una parte del Prg intitolata Allegato 5, che fissa le altezze massime in 10 metri. Gli Uffici comunali, di loro iniziativa (magari con il beneplacito dell’assessore?), hanno imboscato l’Allegato 5 e lo hanno semplicemente ignorato, facendo passare le altezze da 10 metri a 12. C’è voluta una sentenza del Tar per far disseppellire l’Allegato 5.

2. Il metodo di misura delle altezze in terreno inclinato, come prescritto dal Regolamento Edilizio, è chiarissimo. Ma i progettisti ne hanno adottato altri, fasulli, che permettevano loro di guadagnare 2-3 metri in altezza; e gli Uffici comunali hanno costantemente avallato queste misurazioni truffaldine. Anche qui ci sono volute ben due sentenze del Tar per tornare alle misurazioni corrette.

3. Le normative prevedono precise prescrizioni sulle caratteristiche (larghezza, pendenze, curvature) delle strade di accesso alle nuove edificazioni, che si possono concedere solo se le strade sono adeguate, o se l’imprenditore provvede in tal senso. Il Comune nel 2004 aveva redatto una mappa della viabilità cittadina, ed evidenziato le zone in cui non era possibile concedere licenze per rendere abitabili i sottotetti, in quanto il maggior carico antropico/automobilistico non era sopportabile. Bene, in queste stesse zone dove non si poteva ampliare un sottotetto, gli Uffici comunali hanno concesso l’edificazione per dei nuovi condomini. Anche qui c’è voluta una sentenza del Tar e una del Consiglio di Stato a mettere in riga il Comune.

4. Le nuove edificazioni devono essere accessibili ai mezzi antincendio. Ci sono precise disposizioni attraverso norme statali di sicurezza (materia che non è di competenza della Provincia) che prevedono una "altezza antincendio" (dell’apertura – ad esempio finestra - più alta): deve essere tale (inferiore ai 12 metri) da essere raggiungibile con una normale scala dei pompieri; altrimenti il luogo deve essere accessibile ai mezzi speciali. Analogamente le autorimesse, che vengono considerate delle potenziali bombe di liquido infiammabile, devono essere accessibili ai mezzi antincendio. Bene, nei tre progetti in collina passati sotto esame in questi mesi, nessuno di questi requisiti è rispettato. Anzi, gli Uffici comunali ricorrevano a un trucchetto: sottoponevano ai Vigili del Fuoco la semplice piantina dell’autorimessa (non quella delle strade di accesso), ne ottenevano il nulla osta, e consideravano la pratica conclusa. Sperando che non capitasse un incendio, con le autopompe bloccate a valle. Ancora non ne è stata investita l’autorità giudiziaria, comunque queste colpevoli negligenze non sono ammesse: non ottemperare alle normative sulla sicurezza è reato.

5. Nell’ultimo mostro, quello in località Cernidor, è emerso, come rivelato in un ricorso presentato in Provincia dagli abitanti delle case limitrofe, anche uno sforamento delle pur generose cubature ammesse (2,5 metri cubi su metro quadro di terreno). In questo caso, su un terreno di 800 metri quadri, il Comune, invece dei dovuti 2.000 metri cubi, ne concede oltre 3.500. Addirittura computando nel calcolo una "cessione di cubatura" da parte dei proprietari di un’area limitrofa; un’operazione possibile solo se espressamente prevista e regolamentata dalla legge, come ad esempio nella Regione Lombardia, ma non (per fortuna, sarebbe una sciagura) nel Comune o nella Provincia di Trento. In questo caso gli Uffici comunali, per autorizzare il mostro, si sono addirittura inventati una norma ad hoc.

Insomma, gli "effetti terribili" hanno una causa precisa: la sistematica violazione delle norme esercitata congiuntamente dai progettisti e dagli Uffici comunali. A questo punto, una revisione di alcune norme (soprattutto una riduzione delle cubature), che pur sarebbe utile, in pratica diventa ridicola, quando chi deve vigilare al loro rispetto è il primo ad infrangerle. E’ grottesco rafforzare la palizzata esterna, quando a guardia del pollaio rimane la volpe.

Da un anno lo andiamo ripetendo: c’è del marcio nel Comune di Trento. E ora che si riconoscono i danni conseguenti, sarebbe il momento di porvi rimedio. Appurare come mai sia stato possibile uno stravolgimento delle norme così plateale. E renderlo irripetibile, sanzionando severamente e allontanando i responsabili (a iniziare dai dirigenti comunali arch. Codolo e Penasa); e procedendo a qualche esemplare demolizione dei mostri in costruzione.

Infatti sorge logica una domanda. Siamo sicuri che questa continua violazione delle norme sia limitata alla collina? Dal momento che è stata messa in opera dai massimi custodi del Prg, chi ci assicura che non abbiano adottato analoghe gabole per favorire gli immobiliaristi anche in pianura? E chi ci assicura che, calmatesi le acque, non continuino poi come prima? Non è quindi saggio, anzi doveroso, rimuovere i responsabili? Ed affidare un’indagine interna non a loro (come ancora adesso propone l’inqualificabile Andreatta), ma a persone terze? Ed attivare una segnalazione alla magistratura perché appuri eventuali, più gravi responsabilità?

In ogni caso operare la demolizione degli ultimi mostri in località Cernidor è un atto doveroso, perché si tratta di costruzioni illegittime gravemente lesive del paesaggio circostante la città; ed un atto esemplare, per far capire anche alle imprese in cosa si può incappare quando si calpestano le norme.

Questo dovrebbe essere il comportamento della giunta Pacher e dell’assessore Andreatta. Se questo faranno, sarebbe una novità, una bella novità.

E se invece Andreatta e la Giunta si limitassero a un modesto maquillage delle norme del Prg? Trascurando che il problema non è stata la normativa troppo "larga", ma l’aggiramento della stessa?

A questo punto secondo noi si aprirebbero nuovi, più gravi ed inquietanti scenari. Perché se il Comune non si autocorregge, se la politica non fa la sua parte, allora la scena non può che essere occupata dalla magistratura.

Vediamo come.

Il primo discorso riguarda la demolizione dei mostri. Il problema si pone in particolare per gli edifici del Cernidor, in primissimo piano sulla statale della Fricca a deturpare il paesaggio. Come abbiamo detto nello scorso numero, l’assessore Andreatta, con la dovuta calma, si attivò per arrestare una costruzione che - ormai era chiaro, dopo le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato - era del tutto illegittima. Ma quando il sopralluogo viene finalmente effettuato, secondo le parole dell’assessore, "l’edificio risultava terminato, terminato naturalmente al grezzo, e il tetto era già stato realizzato" e quindi, sempre secondo l’assessore, "non c’era più niente da fare".

Questa remissività di Andreatta ci lasciava molto dubbiosi. Abbiamo in proposito chiesto il parere a diversi giuristi (l’avv. Gianluigi Ceruti, l’avv. Renato Ballardini, e un magistrato) e tutti ci hanno espresso la stessa, secca, opinione: quelle di Andreatta, tanto per cambiare, sono favole: il Comune ha tutti gli strumenti giuridici non solo per interrompere l’edificazione, ma anche per ordinare la demolizione. In "Diritto Amministrativo vol. 2", Pietro Virga tratta proprio dell’annullamento della concessione edilizia, che il Comune può esercitare, "qualora si sia in presenza di illegittimità originaria dell’atto e vi sia un interesse pubblico concreto ed attuale diverso da quello del ripristino della legalità". Cioè non basta l’illegittimità, né il pur sacrosanto obiettivo di ripristinare la legalità calpestata, occorre un altro interesse pubblico: in questo caso il deturpamento del paesaggio, il soffocamento della viabilità, la mancanza di sicurezza antincendio.

"Ma sono già arrivati al tetto!" proclama l’ineffabile assessore. Non conta niente. La possibilità dell’annullamento (e quindi della demolizione) "decade solo dopo un lungo lasso di tempo" dopo il completamento dell’opera (altro che raggiungimento del tetto!). Quanto lungo? Per la legislazione della Provincia questo tempo è di dieci anni.

E difatti è di questi giorni la demolizione, in Puglia, di un intero villaggio turistico già terminato, realizzato con concessione edilizia all’interno di un’area protetta. In Puglia queste cose si fanno: e a Trento?

Quello che potrebbe ostare è il pericolo di una rivalsa dell’impresa costruttrice, la quale ha realizzato l’opera con regolare concessione, firmata dagli sciagurati Uffici del Comune, ed ora potrebbe chiedere i danni. Chi sarebbe responsabile? Il progettista e il Comune. E il Comune potrebbe (anzi, dovrebbe) rivalersi sui dirigenti degli Uffici tecnici, che peraltro hanno un’assicurazione che li copre da tali rischi (ma non nel caso in cui venisse riscontrata una loro responsabilità penale).

Nel nostro caso, poi, l’azione di rivalsa dell’impresa è in realtà più ardua. Proprio perché, come abbiamo evidenziato con una documentazione fotografica nello scorso numero, essa, dopo la sentenza della giustizia amministrativa, venuta quindi a conoscenza dell’illegittimità della concessione, ha accelerato i lavori, per "giungere al tetto" giusto giusto prima del sopralluogo e permettere così all’assessore di allargare le braccia ("ormai non c’è più niente da fare").

E allora non è possibile atteggiarsi a vittime e chiedere rimborsi per lavori effettuati di corsa in regime di acclarata illegittimità.

Come si vede, la materia si è ingarbugliata, e ormai si interseca con il livello penale. Così succede a non affrontare i problemi. E noi prevediamo che la Giunta Pacher, di cui ormai è noto lo stile, continuerà a non affrontarli. Non annullando le concessioni, non rimuovendo i dirigenti, esprimendo appoggio ad Andreatta. E cercando di attribuire la responsabilità degli "effetti terribili" sulla città a quelle norme che invece ha calpestato.

Se fa questo, a nostro avviso la Giunta sbaglia: non è così che si governa. E sbaglia perché si espone ad ulteriori contraccolpi. A questo punto, sul versante strettamente penale.

Infatti, è possibile che un’amministrazione possa violare impunemente le sue stesse norme? Arrecando vistosi danni ("terribili effetti") alla comunità, e tirando poi tranquilla una riga sul passato e sulle responsabilità? E quindi creando i presupposti per nuove deresponsabilizzazioni e nuovi danni?

Il problema se lo è posto la giurisprudenza. E in effetti – scrive il dott. Maurizio Santoloci, magistrato di Cassazione – fino a poco tempo fa, una concessione edilizia, per quanto palesemente illegittima e in contrasto con la legislazione ambientale e con il Prg, era impugnabile solo davanti al Tar, entro un termine tassativo di sessanta giorni da parte di privati cittadini che ne venivano danneggiati. "Non sussistevano violazioni penali, e dunque l’organo di vigilanza aveva le armi completamente spuntate e assisteva inerme al proliferare di opere che palesemente costituivano uno scempio, ma erano coperte da un atto amministrativo sì illegittimo amministrativamente, ma in se stesso non illecito penalmente".

Questa pacchia per amministratori compiacenti è però ora finita. Iniziano infatti a dispiegare i loro effetti due sentenze della Corte di Cassazione (n. 6247 del 29 maggio 2000 e n. 10441 del 4 ottobre 2000) che stabiliscono:

- "Integra il reato di abuso d’ufficio il rilascio da parte degli amministratori comunali di una concessione edilizia in assenza della prescritta autorizzazione ambientale" (che nel nostro caso sono prprio le norme dell’Allegato 5);

- "La concessione edilizia senza rispetto del Prg integra una violazione di legge rilevante al fine della configurabilità del reato di abuso d’ufficio".

Così conclude il dott. Santoloci: "Con queste due sentenze la Corte di Cassazione decreta che la concessione illegittima in assenza di nulla-osta sul vincolo paesaggistico o in difetto di rispetto del Prg costituisce anche reato di abuso d’ufficio previsto dal codice penale" (da tre a sei anni). E quindi "detta concessione è già affrontabile in quanto illecita penalmente dall’organo di Polizia Giudiziaria che può ben sequestrare il cantiere illecito... e il pubblico ministero procedere contro il pubblico amministratore per abuso di atti d’ufficio".

Più chiaro di così...

In Comune è meglio si diano una vivace regolata. Prima che cittadini esasperati ed associazioni ambientaliste inizino a percorrere questa strada.