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QT n. 3, 10 febbraio 2007 Servizi

Ancora sul marcio in Comune

Cronaca di un vivace dibattito. Con una (amara) conclusione.

Erano in tre i relatori all’Aula Magna del Museo di Scienze Naturali: l’assessore competente, Alessandro Andreatta, il prof. Vincenzo Calì, da poco dimessosi (vedi E io mi dimetto) per protesta dal Consiglio circoscrizionale dell’Argentario (la collina di Trento) e chi scrive (quindi questa cronaca non potrà non essere di parte). Doveva esserci anche il presidente della Commissione Urbanistica del Comune, avv. Marco Dallafior, ma all’ultimissimo minuto aveva pensato bene di far comunicare la sua assenza agli organizzatori, Legambiente.

Trento, via Gocciadoro: un condominio fuori norma, tipico caso di abuso legalizzato..

Il tema, “Urbanistica a Trento”, era invero di più scottante attualità un mese or sono, in contemporanea con le denunce di Questotrentino (Il marcio nel Comune di Trento) e il duro dibattito in Consiglio comunale sulla variante al Piano Regolatore. Ma il rinvio era stato d’obbligo, causa gli impegni dell’assessore, al quale non si poteva farne una colpa; a sostenere le proprie posizioni alla fine era comunque venuto, e l’aula magna nell’interrato era un po’ la sua fossa dei leoni, con un pubblico di ambientalisti e di cittadini torteggiati.

L’assessore la prendeva alla larga. Dopo l’introduzione della presidente di Legambiente, Maddalena Di Tolla, Andreatta illustrava la filosofia dell’amministrazione, che individuava per Trento due vocazioni: la città consapevole, orgogliosa del suo passato; e quella che guarda al futuro. Sulla prima spendeva poche, condivisibili parole: città storica e quindi turistica; c’è da conservare e migliorare. “Non è complicato” concludeva, e non si può non dargli ragione. Pur con qualche scelta pesante (il brutale ridimensionamento dei residenti nel centro), l’attuale amministrazione Pacher, come peraltro le precedenti, ha saputo valorizzare il grande patrimonio, prima negletto, della città storica.

Vincenzo Calì

Più problematiche le scelte per il futuro. E qui Andreatta furbescamente introduceva temi cari all’uditorio: “Abbiamo pianificato per riqualificare parti di città” (certo, secondo la metodologia per cui prima si autorizzano gli scempi, su cui gli speculatori fanno miliardi, poi si interviene – con soldi pubblici – per mitigarne l’impatto). “Non abbiamo lavorato per l’espansione della città” (non ce n’era bisogno, già le pianificazioni precedenti avevano autorizzato costruzioni per milioni di metri cubi non ancora realizzate); e poi interrogativi vagamente retorici: “Abbiamo sbagliato a chiamare architetti di grande fama?”. “Abbiamo sbagliato a fare un parco piccolo all’area ex-Michelin?” (e qui, come sanno i nostri lettori ci sarebbe moltissimo da dire…). Infine l’assessore elencava una serie di buoni propositi, sul verde, la mobilità, la qualità urbanistica che dipende dalle norme e dalla corresponsabilizzazione con il privato…

Sull’ultimo punto avevo molto da ridire. Preferivo però iniziare contestando l’assunto generale, il mettersi a parlare di urbanistica: i bei discorsi, gli ampi dibattiti, sul progetto di città, la visione, le problematiche ecc., quando poi la realtà dei fatti concreti è tutt’altra. “Il mio giornale ha dedicato molto al dibattito urbanistico. Sinceramente, credo che non sia più intellettualmente onesto continuare, quando ormai sappiamo che sono tutte favole”. Non si può partecipare a un rito che si sa ormai essere un inutile chiacchiericcio, volto a coprire ben altre dinamiche.

Il problema non è di Trento o del Trentino, ma dell’Italia. Le amministrazioni comunali hanno un grande potere: decidere quali cittadini diventeranno, di colpo, miliardari. Ma si è visto che questo potere è troppo oneroso, i Comuni non sono in grado di gestirlo, a fronte di un ceto economico, ricco, potente e ammanicato, nato proprio per appropriarsi di questo arricchimento. E ciò si traduce, oltre che nel caro-casa, nello sviluppo distorto delle città. E così a Trento tutte le porzioni di città cresciute nel dopoguerra sono un disastro: Trento nord, la collina, le aree industriali e artigianali, Gardolo.

Il punto è: come succede? Come si passa dai bei progetti allo sfascio?

E qui affrontavo il caso della collina, dove ai ripetuti e stucchevoli proclami del sindaco e dell’assessore (“Non permetteremo lo scempio della collina”), alle decisioni politiche che spiegavano come costruire in collina costasse alla collettività (per i servizi, le infrastutture, per non parlare del sempre incombente rischio idrogeologico) molto di più che in fondovalle, facesse da contraltare la pratica che ognuno può constatare: la continua costruzione di nuovi condomini.

“Bene – dicevo – oggi, grazie all’impegno di alcuni cittadini, che a prezzo di grandi sacrifici si sono opposti a tutto questo, siamo in grado di capire i meccanismi attraverso i quali l’amministrazione calpesta le sue stesse regole. Ora sappiamo cosa succede nelle segrete stanze degli uffici tecnici e dell’assessorato”. E qui illustravo i punti dello scandalo di via alla Val, ormai certificato con due sentenze del Tar. Sono cose note ai nostri lettori, che qui sintetizziamo per comodità. Si tratta di due casi di sostituzioni di villette monofamiliari con condomini da 12-14 appartamenti, provvisti di concessione edilizia, regolare ma illegittima. Un abuso con il timbro del Comune.

Per tre motivi, almeno.

Primo: il Prg, attraverso il cosiddetto Allegato 5 prescrive per via alla Val un’altezza massima di tre piani e 10 metri, introducendo, accanto alla zona urbanistica B3 (altezza massima 12 metri) la B3a (10 metri). Gli Uffici tecnici del Comune che fanno? Nel redigere la cartografia si “dimenticano” alcune zone (sul termine “dimenticano” l’assessore Andreatta mi contestava, come vedremo dopo), le lasciano B3; e decidono di non applicare l’Allegato 5.

Ettore Paris

Secondo: i progettisti barano sulle altezze. Con un incredibile trucchetto, duramente sanzionato dal Tar, computano l’inizio dell’altezza non dal terreno, ma da una quota più alta di due metri (vedi L'imbroglio delle altezze). Per poter meglio imbrogliare non presentano, nelle carte progettuali, un piano quotato, o meglio, lo presentano ma senza scrivervi alcuna quota. All’assemblea sottoponevo una copia di questo incredibile progetto, accettato ed avallato dagli Uffici Comunali. Risultato finale: l’edificio non è alto 10 metri come previsto dal Prg, ma 14.

Terzo: le norme prevedono caratteristiche minime della viabilità, per poter rilasciare la concessione edilizia. Via alla Val, larga tra i 3 e i 3,5 metri, con le macchine che non possono né incrociarsi né invertirsi, non le possiede. Eppure il Comune rilascia la concessione. “Si sarà trattato di un’autonoma valutazione degli Uffici. Discutibile, opinabile, ma legittima” – mi aveva a suo tempo risposto il presidente della Commissione Urbanistica Marco Dallafior. Legittima un bel niente: il Comune nel 2004 aveva redatto una mappa della viabilità cittadina ed evidenziato le zone in cui non era possibile concedere licenze per rendere abitabili i sottotetti, in quanto il maggior carico antropico/automobilistico non era sopportabile. Via alla Val rientra in questa categoria; come fanno gli Uffici comunali, che non ritengono accettabili i sottotetti, a rilasciare invece le concessioni per le nuove mega-edificazioni?

Insomma, concludevo, l’operato del Comune è univoco: si mette sotto i piedi le proprie norme, per perseguire un unico scopo, autorizzare gli scempi.

Dopo di me parlava il prof. Calì. Soprattutto dell’espansione universitaria, di Trento città della ricerca. Si esibiva anche in una serie di salamelecchi all’assessore (“come ha detto Andreatta… giustamente prima l’assessore sottolineava…”) che lasciavano di stucco. Calì si era dimesso da consigliere circoscrizionale per l’ultimo sfregio alla collina attraverso la variante, con l’edificazione in via dell’Albera. “Dallafior aveva definito via dell’Albera la linea del Piave. Concordo, e da storico so che la linea del Piave vuol dire che se si perde lì, non si perde una battaglia, si perde la guerra. E noi l’abbiamo persa”. Detto questo, offriva un’inusitata ciambella di salvataggio ad Andreatta, tenace propugnatore di quell’edificazione, assolvendolo di brutto: “La responsabilità non è sua, ma di tutto il Consiglio comunale”. Che alcuni anni fa aveva approvato una mozione che prevedeva la possibilità per un proprietario di una zona agricola di costruirvi anche la casa per il figlio. Ora, secondo Calì, quella mozione autorizzava, anzi obbligava ad autorizzare, in un’area intonsa, la costruzione di una zona artigianale, servizi, varie abitazioni… “La responsabilità è di tutti”. Cioè di nessuno.

Quindi lo spazio al pubblico e alle repliche. Duro l’intervento di Francesco Borzaga, presidente del Wwf. “Mi complimento con QT per il coraggio dimostrato nello scrivere sul marcio in Comune. Per parte nostra, abbiamo provveduto a segnalare il caso con un esposto alla Procura della Repubblica. Ma se avessi avuto qualche dubbio, signor assessore, dopo questa serata non ne avrei più: non è così che si risponde a certe accuse”.

L’assessore Alessandro Andreatta.

“Il sindaco ha già risposto in aula; e io mi accingo ora a replicare…”

“No. Non è questa la sede”.

“Mi lasci parlare e risponderò”.

“Le ho detto che altra è la sede, la stessa cui mi sono rivolto io. In altri tempi alle accuse di QT si sarebbe risposto con una sfida a duello” - ribatteva Borzaga.

In sostanza: dopo quello che ha scritto, Paris dovevate querelarlo. Se non lo avete fatto, è perché avete gli scheletri nell’armadio.

In questo clima, tutt’altro che benevolo, arrivava la replica dell’assessore: “Accetto le critiche, non le falsità” – esordiva vagamente minaccioso.

Batteva su tre punti. Sul piano generale, le concessioni sono state rispettosissime delle indicazioni volumetriche del Prg, non hanno autorizzato un metro cubo in più. Sul discorso delle altezze, è falso che si sia trattato di una “dimenticanza” dei tecnici comunali, non applicare l’Allegato 5: non modificare la cartografia è stata una scelta, che si riteneva compatibile con la normativa. Sulle misurazioni delle altezze, dipende da come si considera l’andamento naturale del terreno. “Ma qual è l’andamento del terreno? Quello del 1800? Del 1600? Si considerano muretti di sostegno? Non li si considerano?” Sul discorso della viabilità e dei progetti non quotati non profferiva verbo.

Infine il mio turno di replicare. Nessuno ha parlato di metri cubi in più, bensì di altezze fuori norma.

Sulla “dimenticanza” o “scelta” di non modificare la cartografia: nelle infinite corrispondenze tra Uffici, Commissione Urbanistica, Difensore Civico, Tar, le posizioni sono tante e contraddittorie. Però se si tratta di una “scelta”, chi l’ha fatta? Con quale autorità? Con quale atto? Con quale motivazione? A due anni dalle prime rimostranze dei cittadini, non si è ancora data una risposta.

In quanto ai discorsi sul profilo del terreno, ridicolizzati dalla sentenza del Tar, dimostrano una cosa: la ricerca da parte dell’amministrazione di tutti i cavilli per arrivare a uno scopo: autorizzare gli scempi edilizi.

Obiettavo anche a Calì e al suo inopinato buonismo filo-assessorile: “La scelta di via dell’Albera è stata urbanisticamente gravissima, un’area artigianale in collina! Non puoi diluirmi le responsabilità in questa maniera”. Calì replicava vivacemente: “Sei troppo polemico”.

“E tu è tutta la sera che sei culo e camicia con l’assessore: a che gioco stai giocando?”

“Andreatta ha ragione: se il Prg prevede una certa cubatura, è giusto andare su in altezza, altrimenti si costruisce in orizzontale, tutta una piastra di cemento”.

Di fronte a tale enormità il pubblico insorgeva: chi protestava, chi si alzava dalla sedia e si avvicinava al nostro tavolo. Avevamo largamente sforato l’orario previsto e la conduttrice, in fretta e furia, dichiarava chiusa la serata.

Fuori dal Museo, sulla strada, riprendevano, più pacatamente, le discussioni. All’assessore chiedevano dei progetti con piani quotati senza quote. “Vedi, Paris, – mi si rivolgeva – su questo non ho risposto perché per me è una novità. Adesso verificherò. Anzi, farò due verifiche, indipendenti, per controllare bene”.

Mi veniva da ridere. Finora le verifiche il Comune le ha fatte fare a quei dirigenti che ne hanno combinate di cotte e di crude. E poi era inutile che Andreatta si meravigliasse: il progetto non quotato era già stato pubblicato su QT  (Il progetto approvato (e impresentabile) e il progetto apparso dal nulla (e operativo))e se ci teneva davvero a controllare la correttezza degli Uffici, ne aveva avuto di tempo. Ma non avevo più voglia di polemizzare...

“Sulle scale mi hanno chiesto della viabilità – proseguiva lui – Ma il piano dei sottotetti è cosa vecchia, non lo usiamo più…”.

“E’ del 2004, e le concessioni sono del 2005…”.

“Sì, ma ormai lo abbiamo abbandonato…”. Appunto. Uno strumento che cerca di introdurre un po’ di razionalità, dopo un anno dall’approvazione del Consiglio comunale, l’amministrazione (ancora: con quale autorità? con quale provvedimento scritto?) lo cestina allegramente. E procede a tutto spiano con le concessioni selvagge.