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QT n. 3, marzo 2021 Servizi

‘Ndrangheta e società -2

Le contiguità con gli ‘ndranghetisti, ovvero l’habitat per la metastasi mafiosa

NOTA PER IL LETTORE

In questa pagina vengono riportati ampi brani dell’ordinanza e stralci dalle intercettazioni. Per distinguere le fonti, abbiamo usato questi artifici grafici:

In tondo sono parole nostre.

In corsivo sono frasi del Gip o degli investigatori.

In corsivo grassetto sono intercettazioni come riassunte dai trascrittori.

In corsivo grassetto sottolineato sono parole come effettivamente pronunciate.

Proseguiamo in questo numero la nostra analisi sugli intrecci tra presenza ‘ndranghetista (o presunta tale, fino a sentenza definitiva) e società trentina. Intrecci forse inevitabili in Cembra, dove operavano fianco a fianco sia storici imprenditori del luogo, sia i sodali oggi in carcere in quanto partecipi, secondo l’accusa, di un’organizzazione criminale. Ma in questo, appunto, consiste l’infiltrazione dei mafiosi: nel farsi prima accettare dalla realtà circostante, per poi diventarne egemoni. Con l’accettazione da parte dei locali che avviene nonostante l’evidente illegalità di tanti comportamenti.

Proseguiamo dunque la nostra disanima descrivendo le contiguità con gli arrestati da parte di diversi soggetti.

I fratelli Filippi di Albiano

Fanno sicuramente parte dell’imprenditoria emergente negli ultimi dieci anni, tra i primi a fiutare la nuova aria politica e a schierarsi con la Lega. Titolari della Porfido Elit srl; del secondo grande frantoio operante ad Albiano; controllano attraverso parentele la concessione della Porfidi Anesi snc nel comune di Lona-Lases. Sono inoltre proprietari di un capannone a Lona-Lases nel quale opera la Porfido Lases dei fratelli Pietro e Giuseppe Battaglia.

Ma il capannone non è l’unico collegamento con i calabresi.

L’ordinanza del Gip Marco La Ganga ci rivela che Saverio Arfuso (ora in carcere, cognato di Pietro Battaglia) “ha ricoperto un ruolo di rango elevato nell’organizzazione criminale a Cardeto” ed anche in Cembra è “punto di riferimento e rappresentante degli interessi della compagine calabrese”. “Anche tramite l’aiuto dei suoi paesani ed in particolare di Macheda Innocenzio, Ambrogio Domenico e Costantino Demetrio” è riuscito “ad essere assunto a Trento presso la ditta Porfido Elit srl, con sede in Albiano”, la ditta cioè dei Filippi.

Questa contiguità non si limita a supportare uno dei sodali, traspaiono convergenze d’interessi più specifiche: “Il 13 marzo 2018 Saltori Bruno e Battaglia Giuseppe progettano la costituzione di un deposito abusivo di rifiuti... Bruno dice a Giuseppe che gli deve parlare a voce di un altro lavoro, spiega a Giuseppe che c’è il Memi che vuole star sopra alla Ge.p.co. (Generale Porfidi Costruzioni di Albiano) per poter scaricare lì il limo, Bruno quindi dice che sarebbe da scavare tutto il possibile...”. Chi è il “Memi”? Remo Filippi.

Il 26 dicembre 2019 il capo della locale Innocenzio Macheda inizia ad elaborare una sanguinosa vendetta verso chi (la cosca dei Longobardi, pensa in quel momento) gli ha fatto lo sgarbo di dargli fuoco al fuoristrada. In una conversazione con Ambrogio Domenico “riferisce di volersi procurare l’arma idonea a compiere l’azione delittuosa da un suo amico cacciatore”. A proposito dello stesso, Macheda afferma: “Questo è un amico che... se c’è ‘na... questo è un super cacciatore!”.

Chi è il super cacciatore? Un indizio (o forse solo una coincidenza) può venire dal quotidiano l’Adige del 20 ottobre 2020, che scriveva: “Pizzicato il bracconiere”, aggiungendo “in casa armi da caccia modificate”. Vi si dava notizia che nella notte tra il 13 e il 14 ottobre il personale del Corpo Forestale Trentino aveva sorpreso “in flagranza di reato una persona che svolgeva attività venatoria in orario non consentito e con arma modificata con dispositivo silenziatore e visore notturno”.

La persona in oggetto, di cui nell’articolo non si fa il nome, è proprio Remo Filippi, sorpreso con un sofisticato fucile di ultimissima generazione dopo l’abbattimento di un cervo sul territorio comunale di Lona-Lases.

Qui apriamo una parentesi. I sodali calabresi parlano spesso di armi, ma gli inquirenti, nelle varie perquisizioni, non ne hanno trovate. L’intercettazione di cui sopra potrebbe ingenerare il dubbio sull’effettiva disponibilità di armi, se poi il capo bastone doveva rivolgersi a un cacciatore.

Per fugare questo dubbio, basta quest’altro passaggio, in cui Macheda riferisce a Mario Nania di non ricordare dove ha nascosto i proiettili per la pistola mitragliatrice: “Macheda si rammarica in quanto ha nascosto una cosa che non trova più. Spiega a Mario che si tratta dei proiettili della TEC (modello di pistola mitragliatrice leggera di nome TEC-9).

Bruno Fedrizzi. È concessionario di cava ad Albiano e risiede a Regnana, comune di Bedollo.

Da intercettazioni tra Giuseppe Battaglia e Bruno Saltori, di fatto un suo dipendente, sembrano apparire molto chiaramente complicità con Fedrizzi in operazioni illecite: il 22 settembre 2017, nella conversazione tra Saltori e Battaglia, il primo afferma che “il Fedrizzi gli avrebbe detto di andare in orari bruciati, la sera, il sabato, incominciando intorno alle quattro o alle undici e mezza”. Seguono poi ulteriori accorgimenti per sfuggire a possibili controlli: “Bruno specifica che dovrebbe mettere il camion sull’orlo e lo vedrebbero tutte le cave in quanto è troppo in vista. Aggiunge che allora lascia il camion, tira fuori l’escavatore e usa la pala perchè da lontano non la si riconosce. Quindi preferisce caricarlo con la pala anche se deve fare 20-30 metri ma comunque il camion è nascosto”.

Ezio Casagranda. Fratello di Giovanna Casagranda, sindacalista della CGIL e dopo il pensionamento fondatore in Trentino del sindacato di estrema sinistra USB.

Personaggio molto noto nella sinistra e nel sindacalismo trentino, irruente e spesso intransigente. Hanno suscitato sconcerto le notizie su un suo coinvolgimento nell’inchiesta: una vita su posizioni di accesa difesa dei lavoratori sembra in contrasto con ipotesi di collusioni con una compagine accusata di riduzione in schiavitù degli operai stranieri. E non può certo essere una colpa la parentela con Giovanna Casagranda, moglie di Giuseppe Battaglia e contabile dell’associazione criminosa, attualmente agli arresti domiciliari.

Casagranda, dopo aver querelato Vigilio Valentini del CLP, per analoghi motivi ci ha inviato, tramite avvocato, una ufficiale diffida a “riportare ulteriori (dopo quelle nei numeri scorsi n.d.r.) notizie inveritiere concernenti la sua persona”. Come abbiamo fatto con magistrati, prefetti, generali, primari ospedalieri, carabinieri che pure ci hanno diffidato, non ci facciamo intimidire: e non abbiamo nessun timore nel riportare – spiegandone il contesto – quanto il GIP scrive nell’ordinanza.

A pag. 110 dell’ordinanza il giudice infatti scrive: “Sulle condotte anche estorsive di Battaglia Giuseppe nei confronti dei dipendenti, appare illuminante la conversazione intercettata il 15 settembre 2018 tra il fratello Battaglia Pietro e Macheda Innocenzio, nel corso della quale il primo, riferendosi alla condanna subita da Nania per estorsione afferma che il fratello, quando è fallita l’azienda, anziché fare il concordato con i sindacati, cosa usuale, che non era un problema, ha costretto goffamente a fare firmare i dipendenti, consigliato malamente dal cognato sindacalista. Da questo è nata l’estorsione che è a tutti gli effetti reato. In più il datore di lavoro, ossia Mario (Nania, n.d.r.) ha firmato un documento, in quel caso falso. Pietro, allora, consigliò Mario che la cosa non andava, ma questi ha replicato che terze persone sapevano cosa stavano facendo”.

Il “cognato sindacalista” è senz’altro Ezio Casagranda. Il fatto è l’estorsione e truffa da parte di Mario Nania ai danni di cinque dipendenti della Anesi srl, minacciati e costretti “a firmare una dichiarazione con la quale attestavano sotto la loro responsabilità di aver ricevuto tutti gli stipendi loro dovuti fino al mese di giugno 2014” recita la sentenza che nell’aprile del 2019 ha condannato Nania a sei anni di reclusione.

Dunque, secondo Pietro Battaglia, quest’azione delittuosa (verso i dipendenti) e “goffa” (in quanto controproducente per lo stesso Nania, che ci ha rimediato una pesante condanna) sarebbe nata da uno stolto consiglio del sindacalista Casagranda.

All’epoca Ezio Casagranda faceva parte del Coordinamento Lavoro Porfido. Fu sotto la sua attenta regia che, nella primavera 2014, Pietro Battaglia (responsabile cave dell’Asuc presieduta da Roberto Dalmonego) e Manuel Ferrari (membro Asuc) intervennero ad un incontro del CLP presso il teatro di Lona sostenendo che l’Asuc avrebbe fatto la sua parte nel controllare che le ditte adempiessero agli obblighi nei confronti dei lavoratori e nello stesso tempo evidenziando che la ditta Anesi srl era probabilmente l’unica a rispettare tali obblighi nei confronti dei dipendenti. Sì, la ditta Anesi di Mario Nania e Giuseppe Battaglia, che non pagava i dipendenti, costretti due mesi dopo a firmare il contrario! Accusato, per queste ed altre vicende, di comportamenti ambigui, Ezio Casagranda fu poco dopo allontanato dal CLP.

L’ordinanza rivela un’altra situazione, ancor più pesante, rispetto alla quale Ezio Casagranda appare come potenziale vittima. Ma al contempo viene indicato dagli ‘ndranghetisti come collaterale al loro mondo.

È ancora la vicenda dell’incendio doloso dell’auto di Innocenzio Macheda. Si prende spunto da un altro incendio doloso di un’auto: presso la casa di Ezio Casagranda era andata a fuoco l’auto di un amico del figlio di Ezio. Parlando il 31 agosto 2018 con Bruna Piffer, Mario Nania svela di aver individuato nel giovane figlio di Ezio Casagranda la persona che può dare informazioni sugli autori del danno: “Nania: allora dobbiamo prendere un ragazzo di questi che lo torturiamo, sì lui deve cantare questo ragazzo di un suo amico capisci?… è il figlio di Ezio (Ezio Casagranda, n.d.r.), noi dobbiamo prendere a questo, che sono amici intimi e gli diciamo..come.. dobbiamo provare avete capito? Lo dobbiamo tirare e provare e vediamo se il problema esce…. Noi arriviamo prima di loro a vedere chi è… vado… da suo papà, da Ezio quello che è venuto da voi avete capito?” Bruna conferma. Mario quindi prosegue:“E gli dico …vedi che dobbiamo fare questo a tuo figlio per vedere la reazione… che il figlio di Casagranda Ezio e… che due mesi fa è uscito sul giornale che in località Sille (di Civezzano, dove abita Ezio Casagranda, n.d.r. ) hanno bruciato la macchina di un suo amico (del figlio di Ezio Casagranda, n.d.r.), asserisce perciò che potrebbe c’entrare qualcosa.”.

Così vanno le cose in Val di Cembra.

Errata corrige

Nell’articolo del numero scorso, “‘Ndrangheta e società”, siamo incorsi in due errori che qui correggiamo.

Il primo è relativo al referendum sull’unificazione dei comuni di Civezzano e Lona-Lases -avevamo scritto; l’unificazione invece riguardava Fornace con Civezzano e Lona-Lases con Albiano.

Il secondo, più grave, laddove avevamo scritto del misterioso ritrovamento di otto cisterne di liquidi pericolosi “nel piazzale dei Bertuzzi”. Il piazzale invece era quello della Arredo Porfidi, ditta di cui è titolare Giuseppe Fortugno (uno dei calabresi presente sia alla cena organizzata all’associazione Magna Grecia per supportare l’elezione di Bruno Groff a sindaco di Frassilongo, sia a una festa organizzata per i sodali trentini in Calabria, a Embrisi (RC) da Giuseppe Paviglianiti, presidente della Magna Grecia e attualmente agli arresti domiciliari). Unico collegamento di Fortugno con i Bertuzzi è il suo matrimonio con la figlia di Egidio Bertuzzi.