All’ombra della Palma
Inchiesta “Perfido”, in molti ignorano connivenze e opacità: la colpa è tutta e soltanto dei malavitosi calabresi.
La novità più importante nei comuni della zona del porfido, a quasi tre mesi dall’operazione “Perfido”, è rappresentata dalla delibera approvata nell’ultima riunione (virtuale) del Consiglio comunale di Lona-Lases, a fine 2020, che ha impegnato la Giunta a costituirsi parte civile “ricorrendone i presupposti”.
Bene, se non fosse che tale delibera, calata dal sindaco Manuel Ferrari, sembra voglia troncare più che non aprire una riflessione su quanto è successo.
Come fidarsi di un sindaco che nella primavera 2014, in veste di membro Asuc, si presentò unitamente a Pietro Battaglia (responsabile cave dell’Asuc) ad una riunione del Coordinamento Lavoro Porfido (CLP) nel teatro di Lona, sostenendo che l’Asuc vigilava sull’operato delle ditte e che la Anesi srl rispettava i diritti dei lavoratori? Quanto tale ditta rispettasse i diritti dei lavoratori e l’Asuc vigilasse sta scritto nella sentenza di primo grado, con la quale nel 2019 i suoi amministratori (Mario Nania e Giuseppe Battaglia) sono stati condannati rispettivamente per i reati commessi nel 2013-14, quali l’estorsione nei confronti dei dipendenti e la truffa al Comune.
Speriamo dunque che la cittadinanza vigili sugli ottimi propositi espressi dal Consiglio comunale. Si ha infatti l’impressione che si sia passati dal negazionismo, ben espresso un paio d’anni fa dalla ex sindaca di Albiano Mariagrazia Odorizzi che, a margine di una seduta del Consiglio comunale, mi rivolse l’invito: “Se vuoi cercare la mafia vai in Sicilia!”, alla formale presa di distanza dai soggetti in custodia cautelare. Questo all’insegna della famosa frase pronunciata da Tancredi, nipote del principe di Salina nel “Gattopardo”: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”; cultura ritenuta tipica della nostra isola maggiore, dove rigogliosa cresce la palma.
Quanto sia difficile per questa valle guardarsi allo specchio sfuggendo ai luoghi comuni è ben testimoniato dall’intervento, durante il recente dibattito in Consiglio provinciale, dell’illustre rappresentante cembrano Alessandro Savoi (Lega). Reagendo con fiera opposizione alla proposta di una commissione d’indagine avanzata dal consigliere Filippo Degasperi (Onda Civica) e appoggiata da Alex Marini (M5stelle), Savoi ha descritto i suoi convalligiani come “gente tosta che piega la schiena”, attribuendo quanto venuto alla luce con l’operazione “Perfido” alle “malefatte di qualche lazzarone”. Il suo leit-motiv - “In val di Cembra è tutta gente per bene” - è condiviso da molti, anche da coloro che non sottovalutano la presenza della ‘ndrangheta ma, tuttavia, ritengono quanto accaduto un fenomeno legato alla presenza calabrese, senza alcuna connessione con imprenditori e amministratori locali. Una visione semplicistica ed auto-assolutoria del tutto inadeguata ad affrontare il problema con efficacia.
Così l’opacità del settore del porfido viene gelosamente custodita, a confermare quanto affermava Leonardo Sciascia sulla migrazione verso nord della “linea della palma”, intesa come linea della corruzione e del compromesso.
Quanto questo costume sia ormai radicato anche da noi è testimoniato dalle seguenti parole, pronunciate da un noto politico provinciale: “L’Europa da qualche anno ci sta tenendo d’occhio perché ci chiede liberalizzazioni anche nel settore estrattivo e anche per le concessioni in essere ci chiede l’introduzione del meccanismo della gara pubblica. Questa è la burocrazia cattiva, perché non tiene conto dei rapporti fra imprese e territorio. E noi in questo momento stiamo facendo di tutto per dribblare questo obbligo”.
Sbaglia chi pensa siano affermazioni fatte dal presidente Fugatti, si tratta infatti delle parole usate dall’allora assessore Alessandro Olivi (PD) nel suo intervento all’assemblea del Consorzio estrattivo Trentino, il 25 settembre 2009 nella sede delle Cave Manara a Pilcante di Ala (vedi l’Adige, 26.9.2009).
Una lunga storia
Esattamente tre anni prima il Consiglio provinciale aveva rivisto la legge sulle cave risalente al 1980 la quale, pur prevedendo formalmente che lo sfruttamento dei lotti cava potesse essere “concesso a terzi solo mediante asta pubblica o licitazione privata” (art. 14), di fatto aveva consentito la proroga delle concessioni a tempo indefinito.
La revisione della legge era resa necessaria dall’apertura di una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles, che la riteneva in contrasto con i principi europei in materia di concorrenza proprio a causa della mancata asta pubblica delle concessioni insistenti sulle aree di proprietà comunale (inutile ricordare come il monopolio sulle concessioni di una ristretta lobby fosse ed è fondamentale per mantenere canoni di concessione irrisori).
La nuova legge, approvata nel 2006 da un Consiglio provinciale in cui erano fortemente rappresentati gli interessi dei concessionari, prevedeva che le concessioni vigenti mantenessero “la loro validità fino al completamento della coltivazione del volume definito dal Comune con proprio provvedimento” entro due anni dall’entrata in vigore della legge. Vale a dire che, in barba ai richiami di Bruxelles, le concessioni sarebbero state prorogate all’infinito, visto che a decidere sui volumi sarebbero stati i Comuni in mano ai concessionari!
I termini per adempiere erano stati stabiliti entro il 15 novembre 2008 e l’assessore Benedetti aveva fatto presente, in una nota inviata il 13 marzo 2007, che “in caso d’inerzia del comune la Giunta provinciale diffida a provvedere e, persistendo l’inadempienza, nomina un commissario che adotta il provvedimento”. Però quando si arrivò al 2008 senza che niente fosse successo, la Provincia si limitò a fissare un nuovo termine, il 28 febbraio 2010.
I Comuni se la presero comoda, e nel febbraio del 2011 ottemperarono all’obbligo, ma definendo volumi così ampi da consentire in pratica una lunghissima durata delle concessioni. A questo punto la Giunta provinciale, fino allora inerte, non poté sottrarsi dal richiamare i Comuni ad introdurre anche un termine temporale e così Lona-Lases lo stabilì in 12 anni, Fornace in 20 e Albiano in 26. Deliberazioni talmente scandalose che la Giunta provinciale si vide costretta ad invitare formalmente gli ultimi due Comuni a rivedere le loro delibere, indicando per la prima volta un termine temporale massimo di 18 anni.
C’è poi il tema dell’occupazione. La legge del 2006 stabiliva che contestualmente all’aggiornamento delle concessioni “il Comune provvede” a stabilire “con apposita clausola, i livelli occupazionali da mantenere per la durata della concessione”. Una norma, questa, introdotta per giustificare la proroga delle concessioni con la tutela dell’occupazione. Il suo recepimento avrebbe ostacolato il processo, avviato ormai da un decennio, di esternalizzazione delle lavorazioni verso aziendine artigiane (il “mondo di mezzo” lo abbiamo chiamato nelle nostre inchieste), più difficilmente controllabili dalle agenzie pubbliche, ma del tutto dipendenti dai concessionari, che gli delegavano il lavoro sporco del (mal)trattamento della forza lavoro. La sua attuazione avrebbe potuto arginare la deriva del settore.
Ebbene, nessun Comune ha recepito tale indicazione di legge!
Nonostante ciò, quando nel 2017 un’altra Giunta provinciale e un nuovo assessore – Alessandro Olivi del PD – hanno varato una revisione della legge cave, si sono ben guardati dall’intervenire in proposito, se non per mettere al riparo gli amministratori comunali e la stessa Giunta provinciale da possibili conseguenze degli esposti presentati dal CLP e denuncianti queste omissioni. È bastato introdurre nel comma 5 sopra riportato, dopo “il Comune provvede”, le seguenti parole: “entro il 31 dicembre 2017” e il gioco è stato fatto! Tutte le omissioni (che hanno permesso il disastro occupazionale) perpetrate in dieci anni sono state così condonate. D’altronde, cos’altro ci si poteva aspettare da chi otto anni prima aveva inaugurato il suo incarico di assessore con il proposito di “dribblare” le norme?
E il sindacato cosa ha fatto in tutti questi anni per arginare il degrado delle condizioni di lavoro?
Si è limitato a dichiarare, in sede di audizione del Tavolo di coordinamento per la valutazione delle leggi provinciali (Commissione Viola), che sono “stati disattesi gli indirizzi formulati dalla Giunta provinciale sui vincoli occupazionali (gli addetti del settore si sono ridotti di circa due terzi)” (Relazione conclusiva 17 dicembre 2015).
Questo, si badi bene, dopo aver sottofirmato nel 2009 e 2012 ben tre Protocolli d’intesa, con sindaci ed imprenditori, al fine di consentire alle aziende concessionarie di ridurre l’occupazione, senza nulla eccepire sull’inadempienza di cui sopra.
Ecco il quadro in cui ha trovato fertile terreno il malaffare e avrebbe potuto emergere nella sua interezza qualora fosse stata istituita una Commissione d’indagine provinciale; ma evidentemente si vogliono tenere nascoste le responsabilità politiche nostrane.