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QT n. 8, 19 aprile 2008 Cover story

Il marcio in Comune: si corre ai ripari

La Giunta comunale di Trento vara una nuova variante: in cui, dopo aver per mesi negato il problema, ora accoglie in pieno le nostre denunce sui “mostri” in collina. In cosa consiste questa svolta di 180°, a cosa è dovuta; e chi vi rema contro.

Il Comune di Trento ora è un po’ meno marcio. Decisamente meno, se si proseguirà sulla strada testè imboccata. In questi giorni infatti la Giunta Comunale ha approvato la bozza di una nuova variante con la quale si sterza di 180° rispetto alla consolidata prassi di edilizia selvaggia in collina; si accolgono in pieno le denunce da noi presentate e - pur tardivamente, ma meglio tardi che mai – vi si pone rimedio. Cioé: i guasti perpetrati, i mostri edilizi, tali rimangono (si vedrà se si potrà arrivare a un qualche esemplare abbattimento); ma nel futuro non saranno più possibili.

Era iniziata nell’ottobre di due anni fa la nostra campagna stampa contro Il marcio nel Comune di Trento (n° 18 del 2006), sul "sacco della collina di Trento compiuto contro le norme e le leggi, ma con l’avallo degli Uffici comunali"; proseguita poi e approfondita in altri servizi, ripresa dai quotidiani, deflagrata in Consiglio comunale ("I responsabili degli Uffici sono i killer della vivibilità e dell’ambiente" aveva tuonato in aula il consigliere Salvati). Nata sulla scorta della documentazione prodotta da un gruppo di cittadini ribellatisi a uno scempio edilizio che si voleva consumare sui loro confini, e in base alle sentenze in merito emesse dal Tar, si era allargata a nuovi, sempre più sconcertanti casi, incontrando il caldo favore della pubblica opinione, consapevole dei rischi per la vivibilità connessi con l’evidente continuo progredire degli scempi edilizi.

Su alcuni punti noi avevamo focalizzato l’attenzione: le altezze massime degli edifici, concesse in barba alle norme del PRG e misurate secondo modalità truffaldine, in barba alle indicazioni del Regolamento edilizio; le norme sulla viabilità di accesso, per cui si costruivano condomini di decine di appartamenti a lato di stradine campestri che non permettevano né l’incrocio di due macchine né l’inversione di marcia, calpestando anche qui varie norme provinciali e comunali.

A queste contestazioni, nostre e dei cittadini, fatte proprie da sentenze della giustizia amministrativa, gli Uffici comunali e l’assessore all’Urbanistica Alessandro Andreatta rispondevano con il latinorum urbanistico, come don Abbondio o l’Azzeccagarbugli con Renzo Tramaglino: facendo un gran polverone di termini, dispositivi, criteri, rimestando le parole, spaccando i capelli in quattro, nel tentativo di dimostrare che i mostri urbanistici erano legittimi anche quando le norme dicevano l’esatto contrario.

Un esempio di stradina campestre a servizio di nuove grandi edificazioni. Con le attuali norme non sarebbe possibile, con quelle nuove, ancora meno: ma c’è chi le ritiene “punitive”...

Questa protervia nel voler perseverare in pratiche illegittime e devastanti si scontrava però contro due ostacoli: le sentenze della magistratura, che a ripetizione accoglievano le proteste dei cittadini, e l’insofferenza della pubblica opinione, ormai sensibilizzata sul tema.

Ed ecco quindi la svolta attuale. Le norme (il cosiddetto Allegato 5) non applicate dagli Uffici vengono ora giudicate vincolanti, e anzi vengono rese più stringenti ed inasprite.

Vediamo come. Si sono date nuove altezze massime. Le zone classificate B3 e B3a, dove si poteva costruire fino a un massimo, rispettivamente, di 12 e 10 metri (in realtà poi, con gli imbrogli cui abbiamo accennato, si arrivava a 14 metri), sono ora quasi tutte convertite in B2, con un’altezza massima di 9,5 metri. Poi si è agito sulla volumetria. Infatti le altezze costituivano il punto critico, su cui i costruttori spingevano perché venisse superato, in quanto, per motivi paesaggistici, erano tenute basse; ma al contempo – e incongruamente – le stesse norme permettevano consistenti volumetrie che a quel punto divenivano impossibili da realizzare; di qui la spinta sui progettisti (compiacenti) e sugli Uffici (mettete voi l’aggettivo che ritenete opportuno), per trovare il modo, di diritto o di traverso, di realizzare i volumi ammessi e i conseguenti ricavi milionari. E’ per questo che, correttamente, l’attuale variante agisce anche sui volumi, che passano da 1,85 a 1,45 metri cubi di edificato per metro quadro di terreno. Un bel taglio.

C’è poi il nodo della viabilità. In collina il reticolo viario è quello che è: stradine di campagna. Si potrebbe mettervi mano, ma sarebbe molto costoso. E tutto in un colpo rivelerebbe in maniera plateale quello che, passo dopo passo, si sta facendo: se si costruiscono strade belle larghe, è chiaro che vogliono cementificare tutto; mentre invece, ufficialmente, il programma di questa giunta (e delle precedenti) è un rigoroso "basta con l’edificazione in collina!". Una situazione caratterizzata dall’ipocrisia; che come risultato ha prodotto una stridente divaricazione non solo tra i proclami e la realtà, ma anche tra le norme e i comportamenti; perché infatti non solo il buon senso, ma anche le norme stabiliscono precisi criteri nella viabilità di accesso per permettere nuove edificazioni (addirittura per ampliare i sottotetti); ma al contrario gli Uffici comunali rilasciano concessioni edilizie a ruota libera, autorizzando condomini dove non si potrebbe neanche trasformare una soffitta in mansarda.

Anche qui la variante interviene drasticamente. Stabilisce che "la viabilità di accesso tra il lotto oggetto di intervento e la viabilità definita idonea" (dagli studi e dalla cartografia preesistente, assolutamente rigorosi, n.d.r.) deve essere larga almeno 4,5 metri. In altre parole, si ribadisce che ci si deve appoggiare a una viabilità adeguata (cosa che in realtà veniva ignorata) attraverso dei nuovi collegamenti di larghezza consistente; e questa è una doverosa novità. Insomma, tutte quelle nuove costruzioni che insistono su stradine non si potranno più fare. Un esempio tra i tanti? La demenziale lottizzazione in cima alla strettissima via dei Cappuccini, contro la quale i residenti da anni giustamente combattono; con questa direttiva il Comune, implicitamente, dà loro ragione.

Insomma, la variante fin dal titolo ("Per il riequilibrio delle aree residenziali di recente insediamento") segna una benemerita e brusca inversione di tendenza nella politica urbanistica del Comune. Neanche ci fosse stato un ribaltone, o un cambio di Giunta in seguito ad elezioni. Invece sindaco è sempre Pacher, assessore all’urbanistica sempre Andreatta. E ad elaborare le nuove direttive, a presentarle in Commissione Urbanistica sono gli stessi dirigenti degli Uffici comunali che fino a poco fa approvavano i progetti illegittimi, e sostenevano a spada tratta che l’Allegato 5 non si doveva applicare, che i cittadini che protestavano non capivano niente, ecc.

Cosa è cambiato?

I retroscena non li conosciamo, di questo repentino mutamento conosciamo solo la tempistica. La svolta avvenne un paio di mesi fa. Era atteso il pronunciamento del Consiglio di Stato di fronte all’ennesimo contenzioso fra un gruppo di cittadini da una parte, che invocava il rispetto delle norme, e un’impresa dall’altra che, spalleggiata dal Comune, dava di queste norme un’interpretazione capziosa per poter così erigere il solito mostro. In città giunse la notizia: il Consiglio di Stato aveva rigettato l’istanza dei cittadini. A Palazzo Thun si festeggiò, era la prima vittoria legale dopo una serie impressionante di sconfitte, e l’assessore Andreatta se ne uscì con un’improvvida dichiarazione: "Ci hanno dato ragione", possiamo continuare ad autorizzare i mostri. Ma era stato troppo frettoloso: la sentenza del Consiglio di Stato riguardava solo la procedura: il ricorso dei cittadini era stato presentato fuori tempo. Per quanto riguardava il merito, rimaneva la giurisprudenza delle precedenti sentenze: le norme non si potevano aggirare. E allora a Palazzo Thun decisero di alzare bandiera bianca.

Di qui l’inversione di rotta. Anche perché, persa la speranza di qualche decisione favorevole da parte della giustizia amministrativa, la situazione stava diventando preoccupante. Dal punto di vista politico: l’opinione pubblica era ormai ipersensibile all’argomento ("Ogni volta che passo per via Asiago, e mi trovo di fronte il mostro del Cernidor, mi viene un attacco di ulcera" ci confidava un lettore). E preoccupante anche dal punto di vista giudiziario: era incombente la magistratura penale, che stava svolgendo delle indagini, aveva sequestrato incartamenti, e – tanto per cominciare? – aveva iscritto nel registro degli indagati Andreatta per il caso Auto In (secondo noi molto più innocuo).

Ecco quindi l’improvvisa solerzia degli Uffici, divenuti rigorosi custodi dell’ambiente; la stesura delle nuove norme stringenti e coerenti, la loro presentazione in Commissione Urbanistica e l’approvazione in Giunta Comunale poi.

E adesso? L’iter non sarà breve. Dovranno prima esprimersi le circoscrizioni, poi il Consiglio Comunale. In teoria organi favorevoli alla tutela della collina: le circoscrizioni contro gli scempi hanno a suo tempo fatto fuoco e fiamme; e così, anzi, ancor di più, le opposizioni in Consiglio Comunale, mentre la maggioranza dovrebbe allinearsi alla decisione della Giunta.

In pratica le cose non sono così semplici. Gli speculatori hanno ottimi agganci e lavorano sott’acqua. Così sono incominciate ad emergere "perplessità" sulla norma che prescrive 4,5 metri di larghezza delle strade di accesso. Il consigliere di Forza Italia Giorgio Manuali, che a suo tempo si scagliò contro la Giunta riprendendo passo passo i nostri articoli, ora si dichiara contrario alla prescrizione, perché troppo "penalizzante" (per gli immobiliaristi, non per i cittadini che poi sulle strade devono transitare). E altri (l’arch. Roberto Bortolotti, già presidente dell’Ordine) in un recente convegno (Le norme e le chiacchiere) ha sostenuto che "non è corretto punire tutti gli abitanti della collina perché alcuni hanno fatto delle speculazioni": dove con "punire gli abitanti" l’architetto non vuol dire rovinargli l’ambiente e la vivibilità, bensì impedirgli di realizzare nuove costruzioni in un contesto che non le può sopportare. E’ questo purtroppo il principio, di fatto, largamente diffuso: per cui è punitivo, e quindi sbagliato, non permettere a un proprietario di realizzare una nuova ricca rendita, anche se questa comporterebbe un grave danno per l’insieme della comunità. La quale è vista come mera sommatoria di singoli proprietari, che si danneggiano l’un l’altro (e calpestano chi proprietario non è).

La variante invece torna ai principi conclamati proprio dal sindaco Pacher in campagna elettorale e ribaditi di tanto in tanto: si costruisce seguendo non gli interessi, ma la razionalità. Quindi, "basta con l’edificazione in collina" come ha ribadito, nel convegno di cui sopra, il presidente della Commissione urbanistica Marco Dallafior. Vedremo se Pacher, Dallafior, il centro-sinistra, le circoscrizioni, le opposizioni, sapranno tener fede a questi principi sempre conclamati.