Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca

Il muro Cavit e le strade in collina

Trento: sul muro della Cavit a Ravina e sulla cementificazione della collina, i Comitati dei cittadini arginano il degrado della vivibilità, rivelando responsabilità e connivenze del Comune e dagli Ordini professionali. Prime, significative vittorie, di una contesa ancora lunga.

A Trento, possiamo tirare una prima conclusione su due vicende urbanistiche, ben note ai nostri lettori, che riguardano la vivibilità della città. La prima è il muro Cavit, sequestrato dall’autorità giudiziaria in quanto è in corso un’indagine penale sul rendering fasullo che ne avrebbe facilitato la stolta approvazione in Comune. La notizia è importante, perché segna un punto a favore dei cittadini (anzitutto quelli riunitisi nel Comitato anti-muro di Ravina, ma in realtà di tutti) che ci sembra strategico. Giocherellare con le regole, e magari addirittura falsificare i documenti, non deve fare solo i conti con istituzioni (in questo caso quelle comunali) distratte e benevole (verso i forti, naturalmente), ma anche con l’opposizione dei cittadini, che si sta dimostrando, da Ravina a via alla Val, tutt’altro che velleitaria. Oggi alla Cavit si stanno mordendo le mani: se fossero stati meno avidi, meno sprezzanti delle esigenze della comunità, meno sicuri delle protezioni offerte dagli ammanicamenti di palazzo, non si troverebbero con un importante progetto in alto mare. Spiace per la Cavit, che è un’importante e positiva realtà economica, ma così imparerà a non tirare la corda, approfittando oltre misura del proprio peso politico.

Ma la storia contiene un’altra lezione. E riguarda la deontologia dei tecnici. Se nei mesi scorsi abbiamo visto e denunciato il marcio negli uffici comunali, altrettanto grave è quello negli studi tecnici. In questo caso abbiamo non solo la presentazione in Comune di un elaborato tecnico sfacciatamente fasullo (con "errori" di 6 metri in altezza, diverse decine in lunghezza, una superficie rimpicciolita del 120%!) per il quale il progettista responsabile – l’arch. Andrea Tomasi – è ora inquisito penalmente; abbiamo anche l’Ordine degli Architetti, nelle vesti del suo presidente arch. Mario Agostini, che platealmente difende il collega. Anzi, fa di peggio (vedi La città e l’Ordine (degli architetti)): avvia un procedimento disciplinare non contro l’amico Agostini, ma contro l’arch. Dellanna, che su QT aveva smascherato l’entità dell’imbroglio (L’imbroglio del rendering). E saputo dell’intervento della magistratura, che dice Agostini? A domanda del Corriere del Trentino sulla deontologia professionale, risponde: "Su questo aspettiamo il pronunciamento della magistratura".

Il che è il colmo. Gli Ordini professionali, residui dei tempi delle corporazioni, avrebbero uno scopo precipuo: vigilare sulla deontologia, prima e a prescindere dagli interventi giudiziari. Il comportamento di Agostini svela come la deontologia non interessi proprio nulla: gli Ordini sono, quando va bene, entità corporative per tenere alte le parcelle; quando va male, cricche di professionisti che, insediatisi negli organismi dirigenti degli Ordini, lì fanno i propri personali interessi di gruppo, proteggendosi vicendevolmente. La riprova? Nella sciagurata Commissione Edilizia che in Comune ha approvato l’obbrobrio del muro Cavit, i componenti tecnici presenti erano proprio lo stesso Agostini e l’arch. Gino Pisoni, progettista dell’ancor più celebre "mostro" del Cernidor. Le volpi, rappresentanti dell’Ordine, a guardia del pollaio.

La seconda vicenda è quella dell’edificazione in collina. Dopo le nostre inchieste sul "marcio in Comune", dopo le svariate sentenze di TAR e Consiglio di Stato, l’amministrazione ha preso alcuni – doverosi – provvedimenti (Il marcio in Comune: si corre ai ripari). Ha riconosciuto la piena vigenza dell’Allegato 5 (sconfessando tutte le gabole, inventate dalla dirigente arch. Codolo e sottoscritte dal sindaco, per giustificare la sua non applicazione) e quindi riconosce tutta una serie di tutele paesaggistiche che limitano le altezze di un paio di metri. Ha poi approvato una variante che, sempre in collina, ridimensiona ulteriormente le volumetrie edificabili (in termini tecnici, le aree B3 e B3a sono trasformate quasi tutte in B2): il che comporta una riduzione complessiva del 20% della volumetria, a detta dell’assessore circa 500.000 mc.

Ragioniamo su questo dato. 500.000 metri cubi sono quanto, con tutti i bonus ai privati perché così si finanzino la bonifica dei terreni, si vuole edificare a Trento nord sulle aree ex-Sloi e Carbochimica. E’ quindi una volumetria considerevole, impressionante se ci si riferisce alla collina, dove questa amministrazione ha proclamato "fermeremo l’edificazione". Ma questo è il 20% che, grazie alle denunce non si edificherà; rimarrà però l’altro 80%, cioè 2 milioni di metri cubi che si potranno ancora edificare! Il che rivela come, pur di fronte a un significativo risultato delle denunce, in realtà la pianificazione della città sia e rimanga scellerata. Si continueranno a costruire migliaia di appartamenti in un’area delicata, dove i nostri amministratori insistono che non si deve proprio, e promettono che non si farà.

La riprova di questo atteggiamento strategico, solo temporaneamente incrinato dalle proteste, è nelle norme sulla viabilità, che ragionevolmente stabiliscono come, per costruire ancora, le strade d’accesso debbano essere larghe almeno 4,5 metri, in modo da permettere l’incrocio di due vetture. Bene, nella variante testé approvata e illusoriamente denominata "per il riequilibrio delle aree residenziali", si approva una lunga e complicata serie di deroghe a questo elementare vincolo, prevedendo nuove costruzioni anche con larghezze di tre metri (dove cioè un camion e un pedone non ci stanno). Il Consiglio comunale ha poi cercato di salvarsi l’anima prevedendo di "predisporre entro 12-18 mesi uno studio puntuale delle aree collinari che consenta una più approfondita conoscenza del territorio..." Aria fritta.

In contemporanea si è appreso dal Corriere del Trentino che una sentenza del Consiglio di Stato non considera legittime le concessioni edilizie per case che insistono su strade più strette di 4,5 metri. Sarà opportuno che, appoggiandosi a tale sentenza, i cittadini continuino nell’opposizione alla demente cementificazione che si vuole continuare a proporre.