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Rendering: sotto accusa chi ha denunciato l’imbroglio

Muro Cavit, l'Ordine degli Architetti avvia un procedimento: non contro chi presenta in Comune elaborati fasulli, ma contro chi solleva il problema.

L’imbroglio del rendering avevamo titolato un articolo in cui parlavamo del rendering fasullo che il progettista arch. Andrea Tomasi aveva allegato al fascicolo sull’ormai mitico "Muro di Ravina", il mostro di 22 metri sorto a fianco dell’abitato, prima porzione del gigantesco nuovo stabilimento della Cavit. Il Comune si era trovato a dover decidere se concedere alla Cavit una (generosa) deroga alle altezze previste; e aveva richiesto il rendering come strumento per poter meglio valutare l’inserimento paesaggistico.

Il murto della Cavit a Ravina.

Solo che il rendering presentato era fasullo: e nel nostro articolo l’arch. Sergio Dellanna spiegava come l’errore fosse macroscopico, 6 metri in meno in altezza e diverse decine in larghezza, per una superficie totale del 120% inferiore a quella reale.

Noi auspicavamo un intervento dell’Ordine degli Architetti. Non abbiamo molta simpatia per gli Ordini professionali, che ci sembrano residui medioevali per ingessare le professioni. Eppure una delle principali ragioni per cui gli Ordini motivano la propria esistenza è la tutela della deontologia professionale. Di qui la nostra l’aspettativa.

Bene, in effetti l’Ordine sta intervenendo. Ma in che termini? Aprendo un procedimento non contro l’autore del falso, ma contro chi lo ha denunciato; non contro Tomasi, ma contro Dellanna.

Ora, che Tomasi fosse in colpa era evidente anche ai ciechi. Il suo errore infatti è incredibilmente grossolano, individuabile al primo sguardo. Quindi i casi sono due: o Tomasi, professionalmente è un cane, e non si accorge di bestialità nei suoi elaborati; oppure ha scientemente presentato un elaborato ingannevole. E noi sappiamo che l’arch. Andrea Tomasi è un professionista preparato.

Ma il presidente dell’Ordine, arch. Mario Agostini, che fa? Convoca Dellanna contestandogli l’art. 40 del Codice Deontologico, che così recita "L’iscritto (all’Ordine ndr) deve astenersi da apprezzamenti denigratori nei confronti di un collega, in particolare quando ne prosegue l’opera iniziata ed interrotta". Ora, è evidente che l’ambito della norma riguarda la concorrenzialità sul lavoro: non si accetta che, per ingraziarsi un cliente, si denigri l’attività di un collega.

"Ma questo non è assolutamente il mio caso – ci dice Dellanna – Il mio intervento, in cui peraltro non facevo nemmeno il nome di Tomasi, voleva avere un significato civico, a tutela della deontologia della professione". E difatti lo stesso Codice Deontologico cui si appella il presidente Agostini, afferma nelle sue prime righe, di essere "rivolto non solo agli Architetti ma a tutti i cittadini, affinchè siano dotati di uno strumento idoneo a valutare la correttezza e professionalità dei professionisti".

"Infatti il mio intervento non era una bega tra professionisti concorrenti, ma apriva un tema civico. Con cui l’Ordine non c’entra, o, semmai, essere dalla mia parte" ribadisce Dellanna "E invece mette me sotto accusa".

La cosa sembra un’autentica intimidazione. Perché il procedimento disciplinare può portare a sanzioni decisamente pesanti, tipo la sospensione dalla professione, cioè togliere il lavoro.

Il problema è la deriva delle professioni e degli Ordini professionali. Noi già abbiamo presentato su queste pagine il caso di un progetto in collina presentato (e accettato) in Comune senza quote (!) per imbrogliare sulle altezze e fare un piano in più (Il progetto approvato (e impresentabile) e il progetto apparso dal nulla (e operativo)). Anche su questo caso l’Ordine nulla ha detto; la deontologia non è un problema che lo sfiori.

Il fatto è che gli Ordini si configurano sempre più come cricche di persone che curano gli interessi del giro di amici. E il presidente arch. Agostini si è formato proprio nello studio di Tomasi, con cui ancora collabora. E allora il problema dell’Ordine non è che ci siano architetti (amici) che presentano documentazione fasulla, ma che ci sia qualcuno che il fatto lo denunci, e rompa l’omertà.