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QT n. 10, 20 maggio 2006 Monitor

Faganello, ovvero la modernità del neorealismo

Personale del grande fotografo trentino recentemente scomparso: 200 scatti suddivisi in tematiche, sulla gente e il paesaggio trentino, che parlano un linguaggio internazionale.

Anche chi non nutre una passione per la fotografia si è imbattuto, prima o poi, in uno scatto di Flavio Faganello. Nato in Val di Sole nel 1933 e recentemente scomparso, per cinquant’anni è stato un attento osservatore del territorio regionale, delle sue lente ma inesorabili trasformazioni e, in qualche caso, distruzioni. Decine sono le pubblicazioni che hanno ospitato le sue inconfondibili fotografie, su tutte quelle realizzate assieme all’amico Aldo Gorfer, col quale ha condiviso, in innumerevoli progetti, un amore sincero per il territorio e per le persone che quel territorio quotidianamente lo vivono, lo lavorano, lo plasmano. Un occhio attento al particolare, alle piccole cose, al dettaglio etnografico destinato ad assumere preziosità col passare del tempo, con la sua sempre minore consuetudine.

Valle dei Mocheni.

Dopo vent’anni esatti il Mart torna sulle fotografie di Faganello, presentandole nella sede di Palazzo delle Albere (fino al 27 agosto) con un respiro espositivo più ampio, antologico e - vista la fortuna che sta vivendo la fotografia - per lo meno nazionale, o almeno questo è l’auspicio. Circa 200 scatti suddivisi in tematiche, situazioni, volti e paesaggi sfiorati dal fotografo con uno sguardo, quel tanto che basta per coglierne l’anima, l’essenza più pura ed immediata.

Faganello era nel suo lavoro tutt’altro che un formalista, il contrario, insomma, di fotografi alla Weston, che hanno il proprio milieu naturale nello studio, tra luci, ombre, rifrazioni calcolate al millimetro; lui amava l’avventura, il perdersi - come ebbe a dire Nietzsche a proposito di taluni filosofi - "troppo in alto", e lassù, a un passo sopra le nuvole, tra boschi e masi, roccia e vento, non poteva trovare che una vita aspra, essenziale, ascetica, eppure tutt’altro che priva di sentimento, mitopoiesi, quotidiana poesia.

Questo è il mondo amato e raccontato da Faganello a partire dai primi anni ‘60, quando intraprese le prime ricerche sulla Valle dei Mocheni, poi sfociate in pubblicazioni come "Solo il vento bussa alla porta", "Gli eredi della solitudine" e il suo recente e avvincente seguito, datato 2003. La vita nei masi, il corpo e il paesaggio piegati dal lavoro, le secolari tradizioni che si ripetono con impercettibili varianti, il quotidiano incontro-scontro con la natura e le sue forze; fotografie cariche di tutta l’intensità e la lucidità del neorealismo, in cui la vita stessa, nella sua essenza ready made, è occasione di stupore, e lo è tanto più quanto essa è lontana dai noi, dai nostri canoni, dai nostri lavori d’ufficio, dalla nostra assenza di quotidiani binari, dalla nostra precarietà, in tutte le sue sfaccettature. Un neorealismo poetico e al contempo etnografico, capace di narrarci mondi e mentalità perduti - o comunque assolutamente marginali - meglio di mille parole. Questo attento sguardo sul territorio regionale non è però il limite della poetica di Faganello. Pur essendo un raffinato conoscitore del territorio (il suo sguardo si nutrì anche a suon di campagne catalografiche dei beni culturali della Provincia), Faganello non deve essere visto come una pur prestigiosa voce del localismo trentino. Il suo sguardo, come detto spiccatamente neorealista, parla una lingua internazionale. I progenitori delle sue fotografie dei masi, dei forzuti boscaioli della Val Moena, delle fiere contadine della Valle dei Mocheni, si trovano nei precedenti scatti dedicati alle bidonville napoletane realizzati nella metà degli anni ‘50, o in quelli eseguiti nelle strade cittadine di Barcellona di pochi anni dopo, per citare solo un paio delle sorprese che questa mostra ci riserva, assieme alle immagini eseguite nell’ex Jugoslavia per un libro, "Stivor, ritorno a casa", che come afferma Kezich nelle pagine del catalogo è tra i lavori migliori del fotografo.

Flavio Faganello.

Dal 2001 l’Archivio fotografico della Provincia possiede una straordinaria quantità di fotografie di Faganello - ben 277.000 - realizzate tra 1960 e 1995; l’auspicio è che tale patrimonio venga valorizzato ben oltre il confini regionali, facendo sì che non accada più che in importanti mostre dedicate alla fotografia italiana di paesaggio, come quella tenutasi nel 2003 alla Civica di Modena, il nome di questo ineccepibile fotografo non venga nemmeno preso in considerazione. Una valorizzazione che oggi può trovare un’onda senz’altro favorevole, non solo per la già detta riscoperta della fotografia tout court, ma specificamente per il linguaggio quanto mai moderno della fotografia di Faganello, che in tempi di globalizzazione, di ipertensione, di edonismo e di doping all’orologio riesce a offrirci immagini fluttuanti, quasi iconiche, di vecchi dalle lunghe barbe con la pipa in bocca, di donne abbellite dal tempo, di paesaggi salubri solo a guardarli; immagini che offrono non solo un ricordo, ma anche una possibile alternativa, o comunque una pausa, assolutamente salutare, di riflessione.