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QT n. 21, 9 dicembre 2006 Servizi

Il Papa in Turchia: una boccata di ossigeno

Benedetto XVI ha smentito Joseph Ratzinger. E gli atei devoti non si danno pace.

Questa volta Benedetto XVI ha stupito tutti. Il suo viaggio in Turchia, nato sotto sinistri quanto ingigantiti timori e svoltosi in un momento molto delicato per gli equilibri internazionali, è stato un grande successo che ha rilanciato Ratzinger dopo l’infelice citazione di Ratisbona. Il Papa non ha sbagliato nulla: dall’inaspettata apertura all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, alla foto con in mano la bandierina turca, dalla sobria visita a Santa Sofia (l’ex basilica costantiniana, poi moschea ottomana, ora museo laico, dove Paolo VI si inginocchiò per pregare) all’inaudita preghiera silenziosa accanto al Muftì nella moschea blu di Istanbul. Il tutto accompagnato da proficui incontri ecumenici, giuste rivendicazioni per una libertà religiosa ancora imperfetta in Turchia senza i toni drastici e gli attacchi frontali al temuto relativismo.

Questa è la riprova che il papa Benedetto XVI non è più il prefetto cardinal Ratzinger. Nessuno avrebbe creduto che l’ex cardinale avrebbe compiuto una svolta diplomatica nei confronti della Turchia dopo che, appena tre settimane prima di diventare Papa, aveva parlato di due mondi inconciliabili. Sentite cosa scriveva nel settembre 2004: “Storicamente e culturalmente la Turchia ha poco da spartire con l’Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell’Unione Europea. (...) L’Europa non è un concetto geografico, ma culturale, formatosi in un percorso storico anche conflittuale imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l’impero ottomano è sempre stato in contrapposizione con l’Europa…. Perciò l’ingresso della Turchia nell’UE sarebbe antistorico”.

Nessuno avrebbe creduto che l’estensore della dichiarazione “Dominus Jesus” (in cui viene riproposta la visione della Chiesa cattolica come unico luogo di salvezza), che il critico degli incontri ecumenici e interreligiosi di Giovanni Paolo II, si ritrovasse a pregare in moschea in direzione della Mecca (che per fortuna era anche la direzione di Gerusalemme)! Certo è stato un momento di meditazione silenziosa, la croce era ben visibile e il Papa addirittura la toccava, si sono affrettati a dire i nostrani difensori della vera fede, ma Benedetto XVI ha manifestato visivamente la possibilità di un dialogo con i musulmani sul terreno della religione e non solo sul piano morale o razionale.

Gesti che hanno lanciato ponti e riaperto speranze, ma che hanno non poco sconcertato i teocon di ogni latitudine, i fautori della difesa dei valori occidentali che vedevano in Ratzinger l’ultima trincea contro l’islamizzazione dell’Europa. Povera Oriana Fallaci, cosa avrebbe mai detto nel vedere, non lontano dall’antica Ilio, il Papa che apriva le porte al cavallo di Troia islamico, anzi andava nell’accampamento del nemico con parole di dialogo e comprensione: neanche il tanto criticato Wojtyla era giunto a questo punto.

Se gli integralisti cristiani americani non hanno avuto remore nell’esprimere sui loro siti Internet tutta la delusione, quasi la rabbia nel vedere un ulteriore cedimento all’avanzata della guerra santa islamica, gli atei devoti e gli abituali difensori dell’occidente di casa nostra si sono trovati spiazzati. Criticare il Papa? In questo momento in Italia è impossibile, è anche una colpa fare satira sul segretario: figuriamoci se la destra si appiattisce sulle posizioni dei laicisti. Ma sotto sotto il disagio è grande: c’è stato il tentativo di minimizzare, di affermare l’assoluta continuità del pensiero papale, di giustificare certe uscite come abili o necessarie mosse diplomatiche, oppure semplicemente di ignorare. E’ facile comunque cogliere la disillusione.

Chi l’ha manifestate più chiaramente è stato Giuliano Ferrara. Già commentando l’apertura di credito alla Turchia Ferrara scriveva sul suo giornale: “Un caso comprensibile di relativismo diplomatico, che con la verità del pensiero di Ratzinger sulla materia, espresso in altre sedi e in altri tempi in modo netto e chiaro, ha poco a che fare... Tuttavia il paesaggio che noi vediamo… non è quello di un franco e sincero dialogo tra culture né di un libero viaggio papale in partibus infidelium. Vediamo la costrizione politica nella sua massima espressione... E’ politicamente necessario che sia così, non poteva andare diversamente, ma non c’è di che stare tanto allegri.”

Per completare l’opera, il giorno dopo 30 novembre il Foglio spiegava il concetto di “sincero dialogo tra culture” con sei editoriali a tutta pagina dedicati alla poligamia, al caso del professore francese minacciato dagli integralisti fino all’evidenza dell’invasione islamica dell’Europa: il viaggio del pontefice finiva in secondo piano.

Sul problema dell’adesione della Turchia all’Unione Europea l’apertura papale ha coinciso con la frenata della Commissione di Barroso e l’aperta ostilità di Germania e Francia. Sia detto fra parentesi, ma la burocrazia europea commette un grosso errore a chiudere la porta in faccia a uno Stato che, con tutte le sue arretratezze e limiti, è pur sempre laico e resta un esempio da imitare per gli altri paesi a maggioranza musulmana. Escludere la Turchia dall’Europa potrebbe avere esiti imprevedibili: l’anno prossimo ci sono le elezioni politiche e per la prima volta un partito islamico massimalista entrerebbe in forze in parlamento; in questo quadro sarebbe anche possibile un colpo di stato dei militari.

Nei commenti dei giornali di destra, stranamente anche su quelli turco-scettici, si è preferito soffermarsi sull’inerzia europea piuttosto che sulla quasi svolta papale, rubricata comunque semplicemente come astuta mossa diplomatica. Sapendo che l’Europa chiudeva, hanno affermato illustri commentatori, il Vaticano, per favorire il buon esito del viaggio, si dimostrava positivo nei confronti della Turchia.

Il secondo aspetto del viaggio è stato quello del rilancio del dialogo con l’Islam (tralasciamo per ragioni di spazio l’importante incontro ecumenico con il patriarca degli ortodossi Bartolomeo I). I discorsi papali e soprattutto la visita in moschea hanno dimostrato che alcuni passaggi del discorso di Ratisbona erano solamente infelici citazioni senza volontà di rottura e provocazione. Ma c’è qualcuno che non la pensa ancora così. Interrogato da Avvenire del 29 novembre circa la sottolineatura di Benedetto XVI della “necessità vitale del dialogo interreligioso”, uno sconcertato Marcello Pera rispondeva: “Personalmente ritengo che il dialogo interreligioso non sia praticabile, in quanto credere che una fede sia ‘verità’ esclude un confronto con altre ‘verità’, a meno di cadere nel sincretismo o nel meticciato spirituale... Se proprio dobbiamo portarlo al livello della religione, occorre seguire la lezione di Ratisbona. Bisogna chiedere se anche nel mondo musulmano vi è spazio per il Dio-logos, come accade nel cristianesimo”. E sulla Turchia nell’Unione europea l’ex presidente del Senato ci dà un esempio del suo tipico contorto ragionamento a pera: “Mi pare che oggi il Papa, proprio per non assumere un ruolo politico, desideri non interferire con l’autonomia della sfera istituzionale europea. Non è compito suo decidere, lo deve fare l’Europa. Personalmente, continuo a rimanere contrario all’idea di una Turchia europea. Ottanta milioni di cittadini di fede islamica creerebbero un problema non solo politico, ma di identità”. Insomma, Pera è rimasto a Ratisbona.

La moschea blu di Istanbul.

Altri commentatori, nel tentativo di diminuire la novità dei gesti di Benedetto XVI, scelgono di legare l’apertura di credito verso i musulmani con l’appello alla libertà religiosa e con la condanna del terrorismo e della violenza. Chiarisce il professor Massimo Introvigne dalle colonne de il Giornale: “Il Papa è pronto ad aprirsi al dialogo con l’islam, ma non con tutto l’islam, e non senza condizioni”. Il quotidiano berlusconiano è stato molto attento a non criticare il pontefice, anche se don Gianni Baget Bozzo non ha resistito a chiedersi, di fronte alla meditazione (vietatissimo chiamarla preghiera) del papa in moschea: “Si può però domandare al Papa: che cosa penseranno i cristiani che in nome di Maometto sono perseguitati e uccisi?”

Insomma, alla destra occidentalista questo viaggio non è proprio piaciuto. Viceversa ci sembra una prima boccata di ossigeno dopo anni di apnea. Il triste autunno wojtyliano, l’esaltazione dei “martiri” di Nassiriya da parte di Ruini, il referendum sulla procreazione assistita, l’elezione del nuovo Papa in un clima di restaurazione, le continue denunce papali contro il relativismo, il discorso di Ratisbona sono solo alcuni episodi che segnalavano una crescente chiusura della Chiesa con il relativo trionfo teocon. Dalla Turchia Benedetto XVI non esce troppo cambiato, né ci sono da attendersi ulteriori svolte: però emerge un timido segno di speranza. Che i tempi stiano cambiando?