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QT n. 19, 10 novembre 2007 Monitor

L’epopea del popolo gitano: dalla strada al palcoscenico

Grande spettacolo del Ballet Flamenco di Cristina Hoyos: accompagnando testi di Garcia Lorca, una danza che ripercorre, sul registro lirico come (più spesso) su quello drammatico, la vita dei gitani in terra di Spagna.

Inizio col botto per la stagione di InDanza che, grazie allo spettacolo travolgente portato in scena dal Ballet Flamenco de Andalucía, ha registrato il tutto esaurito ed un vero e proprio tripudio di pubblico, accorso a riempire i palchi del Teatro Sociale per un ultimo saluto ad una delle icone del flamenco, Cristina Hoyos.

Cristina Hoyos

Superata la soglia dei sessant’anni, la coreografa e ballerina sivigliana ha da poco proclamato il suo ritiro ufficiale dalle scene per dedicarsi completamente alla gestione del Museo del Baile Flamenco, prima istituzione in Europa interamente dedicata al tradizionale stile di danza spagnolo, inaugurato circa una anno fa a Siviglia per sua diretta iniziativa. Con questa nuova realizzazione la Hoyos corona uno dei sogni principali legati alla passione che ha occupato la sua intera vita, nata fin dalla più tenera età tra le povere viuzze della capitale andalusa e portata a termine con grande tenacia e determinazione, anche come sentito omaggio alla propria città natale e alla sua vivace popolazione. Chi ha avuto l’occasione di visitare il Museo racconta di un luogo affascinante e suggestivo, in grado di conciliare istanze nostalgiche e iper-tecnologiche grazie ad un allestimento interattivo, che accompagna il visitatore in una full immersion totale nella più autentica tradizione flamenca.

Tale commistione di immagini, voci recitanti, suoni e passi di danza fa parte del modo di operare della Hoyos anche a teatro, e gli spettatori presenti al Sociale ne hanno avuto un’entusiasmante dimostrazione. Romancero gitano ha infatti stupito il pubblico ben oltre le normali aspettative, anche grazie a degli elementi scenici mutevoli e per nulla banali.

In una non ben precisata e alquanto desolante periferia urbana, connotata da uno schermo su cui scorre un lento ma incessante via vai di automobili e da un muro di filo spinato che delimita l’area dell’azione, si raggruppano intorno al fuoco una serie di personaggi capaci di incarnare alla perfezione aspirazioni, dubbi e contraddizioni di un popolo fiero e passionale, che in tale trasposizione scenica incute certamente meno timore che nell’attuale condizione esistenziale. Cornice e pretesto di tale affresco corale le parole di Federico Garcia Lorca, tratte dall’omonima raccolta di poesie, data alle stampe nel 1928 e artefice del successo popolare del poeta spagnolo.

I romances sono un genere letterario antico, portato di una tradizione letteraria tramandata nel corso dei secoli da giullari e cantastorie, che Lorca recupera in senso epico per narrare le vicende e le gesta degli "eroi" gitani. Nello spettacolo, diretto insieme alla Hoyos dal regista José Carlos Plaza, i titoli delle composizioni diventano l’apertura per dei siparietti a tratti lirici e drammatici, a tratti comici ed esuberanti, presi a prestito dallo spirito e dalle vicende storiche della tradizione spagnola, accompagnati dall’immancabile canto jondo che ne scandisce i momenti salienti.

Si comincia con il Romance de la luna, luna che da un inizio "focoso" - in tutti i sensi, visto che lo spettacolo si apre con il duro lavoro dei fabbri nella fucina - passa ad una poetica danza sul tema della luna, ammirata e concupita da un giovane ragazzo destinato ad una fine drammatica. Stessa evoluzione in senso tragico e ancor più passionale anche per La preciosa y el aire, dove un’altra luna, questa volta di pergamena, scherza audacemente con il vento fino a soccombere alla sua forza.

La monja gitana stempera l’atmosfera con uno stacchetto forse un po’ troppo ammiccante sui desideri repressi di una monaca gitana e si ritorna poi nel pieno del dramma a tinte fosche incarnato dallo scontro sanguinario messo in scena in Reyerta.

La casada infiel è invece un gioioso inno alla spensieratezza legata al furtivo incontro amoroso tra due giovani in riva al fiume, che si conclude con l’esilarante rivelazione dell’infedeltà della giovane al marito. Le tre liriche successive, Prendimento de Antonito el Camborio, Muerte de Antonito el Camborio e Romance de la Guardia Civil espanola, tornano invece sul tema del conflitto - a tratti crudele e sanguinario - tra il popolo gitano e l’autorità giuridica spagnola: vicende storiche ma allo stesso tempo universali nel loro valore simbolico, che non può non riportare alla mente lo scontro mai sopito e balzato proprio in questi giorni agli onori della cronaca tra Stato e popolazioni nomadi.

Lo spettacolo si conclude infine con un intenso assolo della vera protagonista della serata, Cristina Hoyos, che in Romance de la pena negra regala al pubblico trentino un’indimenticabile perla di talento e di prestanza scenica. Il tutto arricchito da sapienti giochi di luci dalle tinte accese, che esaltano i passi veloci e le emozioni intense suscitate dall’arte flamenca, come quel colore verde a cui è dedicato l’epilogo di Romancero gitano e che Garcia Lorca sintetizza nei seguenti versi: "Verde ti voglio proprio verde./ Verde vento. Verdi rami./ La barca sul mare/ e il cavallo sulla montagna".

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